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Cultura

Cooperative: Cosa Resta dei Più Importanti Incubatori Sociali del Dopoguerra Italiano

Non Si Fa Servizio ai Tavoli

“La cooperativa era il cuore sociale di Sant’Antonio. Ora c’è solo chiacchierare con gli amici – quelli che sono rimasti.”

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.

È fin troppo facile lasciarsi prendere dalla malinconia in un pomeriggio piovoso di inizio giugno. La maggior parte dei bar è chiusa, così come i negozi; in effetti, l’intera città sembra esistere dietro le serrande abbassate. Però, c’è sempre un posto su cui puoi contare: la cooperativa, con il suo bancone di zinco e i vecchi cimeli di sinistra, una capsula del tempo di un’epoca passata. Questi posti sono per lo più scomparsi ormai, ma le cooperative di quartiere erano una volta tra i più importanti punti di ritrovo nell’Italia del dopoguerra. Erano luoghi dove si parlava di politica – la roccaforte del PCI (Partito Comunista Italiano) – ma anche posti dove lavoratori, giovani e anziani si riunivano per giocare a carte, chiacchierare, bere un bicchiere di vino e mangiare a poco prezzo.

Renzo

Anche se la prima cooperativa italiana fu fondata nel 1854, la sua rinascita laica può essere fatta risalire alla Costituzione italiana del dopoguerra, in cui l’Articolo 45 riconosceva questo modello di business come alternativa all’impresa privata a scopo di lucro. Questa struttura – in cui i membri eleggevano un consiglio e un presidente, e i profitti venivano reinvestiti nella gestione dell’attività o nel finanziamento di iniziative sociali – poteva in teoria applicarsi a qualsiasi tipo di organizzazione, e non aveva (almeno originariamente) alcuna affiliazione politica. Soprattutto, nel contesto dell’Italia del dopoguerra, le cooperative erano principalmente uno strumento per i lavoratori per organizzarsi e promuovere la coesione sociale, un’altra forma di associazionismo (associazionismo). Solo più tardi – a causa del clima iper-politicizzato e dello stile di politica di massa promosso dal Partito Comunista Italiano all’epoca – divennero sinonimo, in luoghi come l’Emilia-Romagna e la Lombardia, di cultura di sinistra e di un certo tipo di bar-osteria.

È difficile spiegare quanto fossero centrali questi posti per le comunità nel loro complesso, ma non sarebbe esagerato paragonarli alle chiese, luoghi di incontro per credenti in una religione laica che, all’epoca, poteva rivaleggiare con il cattolicesimo radicato nel paese. A differenza di un normale circolo, o altre forme di club e associazioni, le cooperative erano per tutti; non era richiesta alcuna quota associativa, e i prezzi erano sovvenzionati per rimanere bassi e accessibili – anche ora si può facilmente comprare una bottiglia di vino per 7€ e uno spritz per 3€ – poiché il loro scopo ultimo era promuovere un’idea di tempo libero come estensione della militanza politica e dell’identità. Noi siamo troppo giovani per ricordare l’epoca d’oro delle cooperative, ma, crescendo, adoravamo l’idea e passavamo molte serate afose d’estate lì a discutere dei difetti di Berlusconi bevendo caraffe da un litro di frizzante Gutturnio della casa.

Renzo and Gianni

Questa energia di un tempo è per lo più scomparsa, ma non significa che la sua eredità non viva ancora – anche se in una veste leggermente diversa. Per capire il ruolo della cooperativa oggi, abbiamo visitato due: quella in cui andavamo da piccoli, ora ancora meno frequentata di prima, e un’altra a Milano, che ha trovato una nuova vita adattandosi ai tempi che cambiano.

Cooperativa Sant’Antonio, Piacenza

Una pergola parzialmente coperta di gelsomino protegge un ampio patio, sedie di plastica e tavoli di granito in file ordinate; dietro di loro, si staglia un edificio in stile anni ’50. Così appare la Cooperativa Sant’Antonio, alla periferia di Piacenza, in una giornata nuvolosa di inizio giugno. Anziani stanno giocando a Briscola mentre amici/spettatori si aggirano dietro di loro, dispensando consigli e scambiandosi battute amichevoli. All’interno, gli interni sfoggiano un vecchio perlinato–un tipo di pannellatura in legno degli anni ’60 che copre le pareti. Sul bancone, piatti di carta carichi di patatine, noci e mini panini accompagnano il bicchiere di aperitivo, mentre, dietro il bancone, bottiglie di Campari e punch Barbieri trovano il loro posto tra la macchina per il caffè espresso, l’affettatrice (un requisito per ogni bar in Emilia-Romagna) e un avviso di servizio che dice “ Non si fa servizio ai tavoli”. Una stampa del dipinto Il Quarto Stato (The Fourth Estate) di Giuseppe Pellizza da Volpedo, un simbolo della lotta di classe e onnipresente in tutte le cooperative, si trova accanto a due frigoriferi gialli Sammontana pieni di gelati e ghiaccioli–un vestigio pop degli anni ’90 italiani.

Il Quarto Stato (The Fourth Estate) by Giuseppe Pellizza

Quando chiediamo a Elisa–una tatuatrice che di sera fa la barista–chi sono i clienti abituali, lei indica un uomo anziano: “Tato, lui è sempre qui.” Non scopriamo mai il suo vero nome; è semplicemente “Il Tato”, un comune vezzeggiativo (termine affettuoso) per i bambini nel nord Italia. È seduto ai tavoli fuori a giocare a Briscola con gli amici in una polo rosa; gli occhiali da sole riposano sulla testa nonostante non ci sia sole. Ha 70 anni e trascorre quasi tutta la sua vita da pensionato alla cooperativa–anche se un occhiolino indica che era così anche prima di andare in pensione. La cooperativa è stata fondata nel 1957 e costruita dai lavoratori che vivevano nel quartiere Sant’Antonio nei fine settimana o durante il loro tempo libero, ci racconta.

Gianni, Renzo, and il Tato

Il Tato ricorda la bottega nella stanza accanto che vendeva cibo a tutto il quartiere. La gente andava alla coop la mattina per fare colazione, a pranzo per mangiare un pasto caldo, e poi nel pomeriggio per chiacchierare con gli amici e fare uno spuntino dalla bottega. Though it closed in the 1980s, Il Tato still remembers the discussions locals would have and the initiatives for the neighborhood that they would come up with. “The coop was the social heart of Sant’Antonio. Now there’s just chatting with friends–the ones who are left,” interjects Sergio, an 80-year-old retired bricklayer who resembles Steve McQueen. We look around and realize we’re the only ones under 60 in the entire joint, with the exception of Elisa’s fiancé, a 30-year-old tattoo artist, who confides in us that he comes to the coop exclusively as he would a bar, or rather “what else but a bar?” It’s like vivendo nella canzone di Gino Paoli ”Quattro Amici”–senza il finale speranzoso di un cambio generazionale.

Sergio (Steve McQueen) and Sergio

“Quando la gente viaggiava meno, viveva davvero i propri quartieri, e la coop era un punto di incontro. Ora i giovani vanno in giro di più e non vengono qui.” Renzo, presidente della Cooperativa Sant’Antonio negli ultimi dieci anni, è il prossimo a parlare. Ci racconta che, fino a pochi anni fa, i turtlitt ad Sant’Antonï–dolci ripieni di mostarda, amaretti, cioccolato e castagne secche, tipici del quartiere–venivano preparati freschi in cucina quasi ogni giorno.

Ora, però, la cucina apre solo per il Cuncertass, il concerto che accompagna le celebrazioni del Primo Maggio, ma anche quest’ultima tradizione potrebbe scomparire per la mancanza di giovani e volontari. “Ai vecchi tempi, tutti si aiutavano a vicenda,” aggiunge Renzo con nostalgia. Il Covid-19, la mancanza di un ricambio generazionale e il disinteresse sempre crescente per la politica hanno trasformato la coop in una versione del Bar Sport di Stefano Benni piuttosto che in un’impresa sociale e luogo di ritrovo per la comunità. I clienti rimasti ci raccontano che, non molto tempo fa, organizzavano serate di canto e intonavano i loro canti d’osteria preferiti mentre condividevano un bicchiere di vino; hanno smesso. canti d’osteria mentre condividevano un bicchiere di vino; hanno smesso.

Cooperativa Sant’Antonio

Quando si parla di musica, è il cugino di Enzo, Gianni–una carriera da tenore alle spalle–che prende la parola dopo aver lanciato un asso di coppe (asso di coppe) sul tavolo. Ci porta dentro, nella piccola stanza dove la bottega era, per mostrarci un archivio fotografico dei cantanti d’opera di Piacenzahttps://italysegreta.com/the-women-of-italian-opera/font-weight: 400font-weight: 400font-weight: 400. Six slot machines light up the photographs–there must be around 50 of them–of opera singers day and night. One of these captures Gianni himself, portrayed in 1983 alongside Pavarotti–he definitely has the font-weight: 400physique du rôlefont-weight: 400. As a send off, he sings us an font-weight: 400aria da La Bohème, insistendo che è “una rivisitazione popolare.”font-weight: 400font-weight: 400font-weight: 400Cooperativa La Liberazione, Milanofont-weight: 400Ci sono molte versioni diverse di Milano. La maggior parte delle persone, soprattutto all’estero, conoscehttps://italysegreta.com/drinking-milan-the-historic-bar-basso/font-weight: 400Milano da berefont-weight: 400, la Milano delle settimane della moda e del design. C’è lafont-weight: 400“Milano vicino all’Europa” come Lucio Dallahttps://italysegreta.com/lucio-dalla-from-bologna-with-melody-and-irony/font-weight: 400font-weight: 400font-weight: 400la chiamava – la città dei grattacieli e della finanza aziendale. E poi c’è un altro tipo di Milano – una Milano operaia, nascosta – che esiste ancora e resiste.font-weight: 400Cooperativa La Liberazionefont-weight: 400fa parte di questa Milano. Fondata nel 1946 dai genitori del partigiano Elvezio Rossi, ucciso dai fascisti nel 1943, la cooperativa si presenta come un museo della Resistenza, pieno zeppo di cimeli degli anni ’40. La prima pagina dell’font-weight: 400Avanti del 26 aprile 1945 – il giorno in cui l’Italia fu liberata dal fascismo – è esposta, così come i ritratti giganti di Antonio Gramsci e Che Guevara e una riproduzione imperdibile de Il Quarto Stato – che, giustamente, fu originariamente dipinta per commemorare le voci dei lavoratori durante la violenta repressione delle rivolte milanesi del 1898. font-weight: 400font-weight: 400font-weight: 400font-weight: 400L’istituzione non è più un centro di organizzazione politica, anche se la sua anima sociale è rimasta intatta, anche di fronte alla galoppante gentrificazione del quartiere. Un menu che cambia quotidianamente annuncia piatti semplici e regionali –font-weight: 400pasta al ragù, costoletta alla milanese, rognonehttps://italysegreta.com/milanese-costoletta-dont-call-it-schnitzel/font-weight: 400font-weight: 400font-weight: 400font-weight: 400font-weight: 400con purè – a prezzi che sono diventati impensabili nel resto di Milano (puoi facilmente cenare qui per meno di €20). Gli anziani sono pochi e rari, e i clienti non sono più lavoratori, ma millennial che gustano i loro aperitivi; l’atmosfera è comunque vivace e conviviale.font-weight: 400“Cosa stai scrivendo lì?” Damon e Serena ci avvicinano mentre prendiamo appunti sulla scena. Una coppia sui 40 anni, vivono a Milano. “La Liberazione non è solo un luogo di incontro, è davvero una casa,” aggiunge Serena, originaria del Friuli e che vive a Milano da oltre 10 anni.font-weight: 400Si erano trasferiti nella capitale lombarda per lavoro, cambiando quartieri più volte dopo aver incontrato razzismo, prima di stabilirsi nellahttps://italysegreta.com/on-being-mixed-race-in-italy/%20%E2%80%8Efont-weight: 400Zona delle Regioni, a est di Porta Romana. “Ci siamo sentiti rifiutati diverse volte perché Damon è un uomo di colore, ma fortunatamente abbiamo trovato due case: la nostra casa e la cooperativa,” dice Serena. Damon è di Washington D.C. e insegna alla IULM, una rinomata università milanese di comunicazione. Ci racconta che, per lui, la cooperativa incarna la vera essenza di Milano: ogni sera puoi incontrare persone diverse, costruire amicizie decennali (indica un paio di altri ragazzi dietro di noi) parlare di lavoro e cose stupide senza mai sentirti escluso; puoi partecipare alle iniziative, come le presentazioni di libri, che si tengono ogni lunedì nella grande sala interna; oppure puoi semplicemente goderti un pasto a un prezzo impareggiabile. Entrambi sottolineano l’importanza di preservare un luogo pieno di valori e significati, e entrambi fanno parte del cambiamento generazionale che mantiene viva la cooperativa.font-weight: 400Ci presentano Renato, l’autorità locale di La Liberazione di 80 anni. Ci racconta delhttp://talysegreta.com/bocce-the-pastime-of-the-elderly/font-weight: 400 boccefont-weight: 400cortile negli anni ’50 e di come trascorreva il suo tempo giocando, discutendo di agende politiche e impegnandosi in piccole battaglie come quella “per far rimuovere le slot machine” dall’interno della cooperativa. Le sue parole sono piene di passione, e non possiamo fare a meno di notare come si adattino meglio alla storia del luogo rispetto ai negroni e alle glacettes. È un paradosso interessante. Nella provincia che abbiamo lasciato alle spalle,font-weight: 400le cooperativefont-weight: 400sono snobbate dai giovani, che – quando sanno cosa sono – considerano le istituzioni come reliquie degli anziani. In città, giovani come noi – nostalgici di uno stile di vita che non abbiamo vissuto – cercano luoghi comefont-weight: 400le cooperativefont-weight: 400per riscoprire un senso di socialità e comunità che sembra ogni giorno più fuori portata e sfuggente. È facile piangere per un passato perduto, “migliore”, ma forse, dopo tutto, vale la pena vedere come le cose potrebbero evolversi o essere reinterpretate per un futuro ancora migliore.Cooperative: Cosa Resta dei Più Importanti Incubatori Sociali del Dopoguerra Italianotext-align: centerfont-weight: 400“La cooperativa era il cuore sociale di Sant’Antonio. Ora c’è solo chiacchierare con gli amici – quelli che sono rimasti.”. Six slot machines light up the photographs–there must be around 50 of them–of opera singers day and night. One of these captures Gianni himself, portrayed in 1983 alongside Pavarotti–he definitely has the physique du rôle. As a send off, he sings us an aria da La Bohème, insistendo che è “una rivisitazione popolare.”

Gianni singing La Bohème

Cooperativa La Liberazione, Milano

Ci sono molte versioni diverse di Milano. La maggior parte delle persone, soprattutto all’estero, conosce Milano da bere, la Milano delle settimane della moda e del design. C’è la “Milano vicino all’Europa” come Lucio Dalla la chiamava – la città dei grattacieli e della finanza aziendale. E poi c’è un altro tipo di Milano – una Milano operaia, nascosta – che esiste ancora e resiste.

Cooperativa La Liberazione fa parte di questa Milano. Fondata nel 1946 dai genitori del partigiano Elvezio Rossi, ucciso dai fascisti nel 1943, la cooperativa si presenta come un museo della Resistenza, pieno zeppo di cimeli degli anni ’40. La prima pagina dell’ Avanti del 26 aprile 1945 – il giorno in cui l’Italia fu liberata dal fascismo – è esposta, così come i ritratti giganti di Antonio Gramsci e Che Guevara e una riproduzione imperdibile de Il Quarto Stato – che, giustamente, fu originariamente dipinta per commemorare le voci dei lavoratori durante la violenta repressione delle rivolte milanesi del 1898.

Cooperativa La Liberazione

L’istituzione non è più un centro di organizzazione politica, anche se la sua anima sociale è rimasta intatta, anche di fronte alla galoppante gentrificazione del quartiere. Un menu che cambia quotidianamente annuncia piatti semplici e regionali – pasta al ragù, costoletta alla milanese, rognone con purè – a prezzi che sono diventati impensabili nel resto di Milano (puoi facilmente cenare qui per meno di €20). Gli anziani sono pochi e rari, e i clienti non sono più lavoratori, ma millennial che gustano i loro aperitivi; l’atmosfera è comunque vivace e conviviale.

“Cosa stai scrivendo lì?” Damon e Serena ci avvicinano mentre prendiamo appunti sulla scena. Una coppia sui 40 anni, vivono a Milano. “La Liberazione non è solo un luogo di incontro, è davvero una casa,” aggiunge Serena, originaria del Friuli e che vive a Milano da oltre 10 anni.

Si erano trasferiti nella capitale lombarda per lavoro, cambiando quartieri più volte dopo aver incontrato razzismo, prima di stabilirsi nella Zona delle Regioni, a est di Porta Romana. “Ci siamo sentiti rifiutati diverse volte perché Damon è un uomo di colore, ma fortunatamente abbiamo trovato due case: la nostra casa e la cooperativa,” dice Serena. Damon è di Washington D.C. e insegna alla IULM, una rinomata università milanese di comunicazione. Ci racconta che, per lui, la cooperativa incarna la vera essenza di Milano: ogni sera puoi incontrare persone diverse, costruire amicizie decennali (indica un paio di altri ragazzi dietro di noi) parlare di lavoro e cose stupide senza mai sentirti escluso; puoi partecipare alle iniziative, come le presentazioni di libri, che si tengono ogni lunedì nella grande sala interna; oppure puoi semplicemente goderti un pasto a un prezzo impareggiabile. Entrambi sottolineano l’importanza di preservare un luogo pieno di valori e significati, e entrambi fanno parte del cambiamento generazionale che mantiene viva la cooperativa.

Ci presentano Renato, l’autorità locale di La Liberazione di 80 anni. Ci racconta del bocce cortile negli anni ’50 e di come trascorreva il suo tempo giocando, discutendo di agende politiche e impegnandosi in piccole battaglie come quella “per far rimuovere le slot machine” dall’interno della cooperativa. Le sue parole sono piene di passione, e non possiamo fare a meno di notare come si adattino meglio alla storia del luogo rispetto ai negroni e alle glacettes. È un paradosso interessante. Nella provincia che abbiamo lasciato alle spalle, le cooperative sono snobbate dai giovani, che – quando sanno cosa sono – considerano le istituzioni come reliquie degli anziani. In città, giovani come noi – nostalgici di uno stile di vita che non abbiamo vissuto – cercano luoghi come le cooperative per riscoprire un senso di socialità e comunità che sembra ogni giorno più fuori portata e sfuggente. È facile piangere per un passato perduto, “migliore”, ma forse, dopo tutto, vale la pena vedere come le cose potrebbero evolversi o essere reinterpretate per un futuro ancora migliore.

Cooperativa La Liberazione

Gianni

Sergio (Steve McQueen) and Sergio; Photo by Tommaso Serra

Photography by Tommaso Serra

Elegante ristorante dalle pareti blu con sedie arancioni, tovaglie bianche, opere d'arte, specchio dorato e vista sul bar. Arredamento caldo e classico. Elegante sala da pranzo con pareti blu, specchio dorato e poster d'epoca. Sedie arancioni su tavoli rivestiti di bianco. Presenti i loghi Helvetia e Bristol.

Cooperativa Sant'Antonio, Piacenza

Cooperativa La Liberazione, Milano