

Non mi ero mai emozionata particolarmente per la geometria fino a quando non ho visitato Villa Caffetto. Ma è lì che mi sono innamorata di un triangolo e di un cerchio. Nascosta in una strada anonima a Calcinato vicino a Brescia, questa casa-museo (che forse sarebbe più accurato descrivere come un museo-casa) esiste come un apparentemente impossibile insieme di forme, figure e angoli che convergono in una sorta di colossale banchetto brutalista. Il suo rigore architettonico è complesso; una testimonianza del radicale sperimentalismo del design italiano modernista degli anni ’70. Allo stesso tempo, ti manda in tilt la vista, invitando a una sinfonia di “Ahhhh!” esclamazioni che a stento riesci a contenere. Ti senti un po’ come Alice nel Paese delle Meraviglie dal momento in cui entri a Villa Caffetto, ma invece di tane di coniglio, spirali infinite e gatti che svaniscono, ci sono scale nascoste, finestre travestite da armadi e spesso non si capisce dove finisce “dentro” e inizia “fuori”. Andiamo?
“Crescere qui era come vivere in un museo”, condividono Metilde e Giovanna Caffetto, figlie del defunto artista e scultore Claudio Caffetto (1942-2022), il proprietario originale della villa. Ci guidano attraverso la casa della loro infanzia, che è nata come un seme nell’immaginazione del loro padre quando aveva poco più di 30 anni. Villa Caffetto non solo rimane nella famiglia Caffetto oggi, ma sta entrando nel suo prossimo capitolo. Il nuovo direttore artistico Stefano Soso sta lavorando a stretto contatto con le figlie di Caffetto per trasformarla in una delle destinazioni culturali “da non perdere” della Lombardia.
“Forse non era l’ambiente più facile in cui crescere dei bambini, ma ricordiamo di aver sempre avuto questo senso infinito di fascino per la nostra casa, soprattutto per tutti quegli spazi segreti in cui ci si poteva nascondere”, dice Giovanna.
“Anche da adulti, la casa ha ancora questo senso senza tempo di scoperta”, aggiunge Metilde.

Photo by Victoria

Claudio Caffetto, una figura ben nota nell’ambiente artistico di Brescia durante gli anni ’70 e ’80, ha incaricato l’architetto e amico Fausto Bontempi (nato nel 1935) di progettare la villa nel 1972. Caffetto aveva l’idea di creare una specie di enclave dove poter fare arte, vivere con l’arte e accogliere artisti del suo giro. Mentre ai suoi tempi poteva essere piena di opere dei suoi amici artisti, oggi la villa mostra una selezione dei dipinti astratti dinamici e delle sculture figurative in bronzo e peltro di Caffetto stesso (che si trovano in una galleria con tetto in vetro all’ultimo piano della villa). Con una fusione di elementi modernisti e brutalisti, l’arte di Caffetto esplorava un’interazione tra forma, spazio e materiale. La sua casa è, in molti modi, una testimonianza vivente del suo ethos artistico. Tra il rigore formale del lavoro dell’artista e le peculiarità architettoniche della villa che si rivelano ad ogni angolo, navigare Villa Cafetto per la prima volta richiede una buona visione periferica, un buon equilibrio (quella scala a trapezio ‘mutaforma’ è piuttosto emozionante), e la volontà di arrendersi alla definizione di spazio e tempo della residenza che sembra esistere al di là dei parametri convenzionali.

Si può solo immaginare i residenti di Via Branca nel 1974, guardare con stupore mentre questa imponente struttura iniziava a sorgere dal terreno con le sue pareti modulari, pilastri imponenti, elevazioni curve e sporgenze geometriche che sfidano la categorizzazione…“Cosa mai? È un aeroporto?” (“Che diavolo? È un aeroporto?”). Da alcune angolazioni, Villa Caffetto è un trionfo di precisione brutalista, mentre da altre sembra il culmine dello sperimentalismo post-moderno. In ogni caso, la struttura è una testimonianza della profondità della curiosità intellettuale sia di Bontempi che del suo cliente Caffetto. Bontempi – le cui influenze spaziavano dal Bauhaus, Le Corbusier, Frank Lloyd Wright e l’architetto veneziano Carlo Scarpa (il suo insegnante universitario) – ha reinventato lo spazio domestico come un luogo in cui forma, struttura e materialità non sono semplicemente parte della vita, sono il modo di vivere.
Allora si può chiamare Villa Caffetto una “casa”? Certamente. Con la sua cucina, sala da pranzo, soggiorno, bagni e camere da letto, è una casa perfettamente funzionante. Le figlie di Caffetto lo sanno bene, sono cresciute facendo colazione lì ogni mattina. Anche se, come dice Metilde, le sue configurazioni spaziali interne si rivelano difficili quando si tratta di alcune attività domestiche convenzionali, come organizzare grandi feste (…probabilmente non è consigliabile esplorare Villa Caffetto con un Negroni in mano comunque). Non c’è dubbio che la praticità domestica sia passata in secondo piano nel progetto architettonico di Bontempi, che invece ha favorito l’espressione artistica, la sperimentazione formale drammatica e quella che sembra essere un’attenzione quasi ossessiva ai dettagli.

“Ho sempre amato il concetto di casa-museo, specialmente quelle in Italia, ma penso che Villa Caffetto sia davvero una museo-casa. È stata progettata e costruita con l’intenzione di esporre arte, il che aggiunge al suo fascino,” dice Stefano Soso, il nuovo direttore artistico di Villa Caffetto.
Entrato nel ruolo lo scorso ottobre, Soso è concentrato a scrivere il prossimo capitolo della narrativa della villa; uno che la collocherà “sulla mappa” come punto di riferimento culturale per la città di Brescia e oltre.
“Questo è il primo anno in cui stiamo gestendo un programma artistico nella villa, che include una serie di mostre, concerti, workshop e progetti speciali con le principali organizzazioni culturali. Stiamo anche organizzando workshop specializzati per bambini basati sul metodo Munari,” dice Soso.
“Vogliamo raggiungere persone di diversi background e con interessi diversi. Vogliamo ispirare le persone a non solo visitare Villa Caffetto una volta, ma a tornare più volte.”
Non ci vuole molto per sentire una strana sensazione di familiarità a Villa Caffetto; quasi come se ci avessi vissuto da bambino, o avessi salito le sue scale svanenti in un sogno. Scoprila tu stesso e, chissà, potresti persino innamorarti di un triangolo.
