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Viaggio nella Città Invisibile: Venezia Attraverso le Parole di Italo Calvino

“Un po’ come la città di Venezia stessa, non ci sono percorsi specifici da A a B, solo vagabondaggi attraverso calle, campi e sottoportegi nascosti.”

Le parole non sono solo strumenti per descrivere ciò che ci circonda; creano mondi intricati nella mente di chi le usa. Il linguaggio fa da contenitore per le nostre emozioni, ricordi e sogni. Questo concetto trova la sua incredibile incarnazione nell’opera di Italo Calvino Le città invisibili o Le Città Invisibili. Originally published in Italian in 1972 and translated into English two years later, this concise 170-page work may seem easily digestible at first glance, but its depth transcends simplicity. A casual skim won’t suffice to grasp its essence. Calvino’s masterpiece is a profound exploration of the potency of words to navigate the intricate boundaries between reality and imagination.

Nato a Cuba ma adottato dall’Italia, Italo Calvino è tra gli scrittori italiani più amati e tradotti. Sempre alla ricerca di innovazione in letteratura, Calvino ha sperimentato con la metanarrativa e la struttura narrativa, era un maestro dei giochi di parole, e si è cimentato in vari generi, dalla letteratura combinatoria (in cui ha fuso discipline come matematica, scienza e musica) alla scrittura di viaggio e al realismo magico.

Ma nonostante il suo vasto repertorio letterario, è Le città invisibili ad essere considerato il suo capolavoro. Adottando la prospettiva di uno dei primi scrittori di viaggi, Marco Polo, l’opera di Calvino si sviluppa come un diario di viaggio, portando i lettori in luoghi a cavallo tra esistenza e non esistenza. Nel 1271, Marco Polo partì dalla sua Venezia natale, intraprendendo un viaggio di 14 anni lungo la Via della Seta che lo portò non solo attraverso vaste distanze ma anche in un mondo completamente nuovo. Grazie alla sua intelligenza e alle sue connessioni, fu nominato emissario di Kublai Khan, l’Imperatore della dinastia Yuan della Cina, che lo inviò in missioni in tutta l’Asia meridionale. Quando Marco Polo alla fine lasciò la corte di Khan, il suo viaggio di ritorno lo portò attraverso la Persia e Costantinopoli (ora conosciuta come Istanbul). La somma di questi incontri ed esperienze straordinarie fu documentata quando Marco Polo le raccontò a un compagno di cella in una prigione genovese; il suo racconto fu poi pubblicato in un libro noto come Il Milione, o Il libro delle meraviglie del mondo.

Le descrizioni di Marco Polo di queste terre straniere servono da base per le narrazioni fantastiche di Italo Calvino, in particolare i suoi racconti di città “invisibili”. Il romanzo assume la forma di un dialogo immaginario tra Marco Polo e Kublai Khan, durante il quale il veneziano intrattiene l’imperatore con storie dei luoghi che ha visitato e dei viaggi che ha fatto. Solo alla fine di questi discorsi scopriamo che le città invisibili sono, in realtà, un’unica città invisibile: Venezia. “Ogni volta che descrivo una città, sto dicendo qualcosa di Venezia”, ammette Polo.

Sembra solo giusto paragonare un luogo complesso e stratificato come Venezia a 55 città diverse. Innumerevoli parole sono state dedicate a La Serenissima nel corso della storia, eppure non sembra mai essere abbastanza: indipendentemente da quanto spesso si sia scritto di Venezia, ci sarà sempre un altro scrittore che cercherà di elogiarla. Sembra forse essere un luogo impossibile da racchiudere in parole. Ciò che evoca la città è al di là della descrizione.

Non sorprende che Le città invisibili non sia mai stato concepito come un romanzo completo. Piuttosto, è stato immaginato come una raccolta di poesie separate o, nelle parole di Italo Calvino, “una serie di resoconti verbali”. Queste descrizioni non sono state scritte in sequenza; invece, sono state accumulate nel tempo, come costruire un album di ritagli. Quando Calvino ritenne di aver raccolto abbastanza materiale, le categorizzò in vari temi: memoria, desiderio, segni, occhi, nomi, i morti, il cielo, città continue, città nascoste, città sottili e città commerciali. Per aggiungere complessità, Calvino sottolineò che Le città invisibili non è un romanzo, ma uno spazio in cui il lettore può vagare liberamente… Un po’ come la città di Venezia stessa, non ci sono percorsi specifici da A a B, solo vagabondaggi attraverso nascoste calle, campi e sottoportegi.

Calvino ha dato alle sue 55 città immaginarie nomi di donne – Eufemia, Ottavia, Irene, Berenice – ognuna delle quali accentua diversi elementi di Venezia: “una città d’oro puro, con serrature d’argento e cancelli di diamanti” (Beersheba), “una città d’acqua, una rete di canali” (Esmeralda), “una città bianca, ben esposta alla luna” (Zobeide). La bellezza di queste città è travolgentemente femminile, e dopotutto, Venezia è femmina: La Serenissima è il suo nome. Qui, Calvino sottolinea sottilmente un tropo linguistico, quello della tendenza ad associare il linguaggio femminile a luoghi e oggetti belli, di usare un quadro femminile per evocare grazia, eleganza e dolcezza.

Per qualcuno che non ha già familiarità con Venezia, le descrizioni di Calvino potrebbero essere difficili da riconciliare con la città stessa. Eppure, per quanto queste città siano lontane dai veri mattoni e malta di Venezia, la scelta del linguaggio serve a suggerirne l’essenza. Cosa più importante, però, non bisogna dimenticare che questa è una descrizione completamente personale di una città. Lo stesso Calvino ha descritto Le città invisibili come il suo “personale poema d’amore per una città che è diventata sempre più difficile da vivere.”

Ho letto Le città invisibili sia in italiano che in inglese. Anche se l’italiano non è la mia madrelingua e ci sono alcune regole grammaticali che mi sfuggiranno per sempre, posso dirti una cosa per certo: i registri scritti italiano e inglese sono mondi a parte. Il flusso delle parole, la costruzione delle frasi è necessariamente perso nella traduzione. Per andare oltre, l’uso del femminile in italiano per descrivere le città immaginate – come in ” l’uomo arriva a Zobeide città bianca ben esposta alla luna” – semplicemente non si registra nell’inglese grammaticalmente non generico. La sfumatura, quindi, di uno scrittore maschio che descrive il suo percorso attraverso un luogo femminile funziona solo quando leggiamo una copia di Le Città Invisibili nella sua lingua nativa. Leggendo la visione di Calvino di luoghi immaginari in inglese, vediamo la città, ancora una volta, in un modo diverso – una 56esima versione, se vuoi.

In sostanza, Le città invisibili è un miraggio – un viaggio nella rappresentazione fantastica di Venezia di Italo Calvino. Non serve come un resoconto di viaggio convenzionale o una guida della città; invece, conferma che Venezia è tanto un’opera d’arte quanto un’entità architettonica. E così Le città invisibili è un tesoro di ricordi che persisteranno ed evolveranno nella mente del lettore, esistendo in tante sfumature diverse quante sono le persone che lo leggono – proprio come Venezia mostra un volto diverso a tutti quelli che ci passano.