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Vallombrosa: serenità e rifugio fuori città

Questo borgo storico è davvero un paradiso ritrovato

“Oggi Vallombrosa è ancora una boccata d’aria fresca, dove ci si può rilassare nella natura e osservare le stelle dalla cima del Monte Secchieta.”

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.

Nel cuore della Toscana, a circa trenta chilometri da Firenze, si trova una gemma nascosta che da secoli funge da rifugio per chi si avventura nella foresta di abeti alla sua ricerca: Vallombrosa. Vallombrosa è stata fondata con la sua omonima Abbazia. Quest’ultima e il piccolo borgo che la circonda sono incastonati tra le montagne dell’Appennino, in quella che oggi è diventata la Riserva Naturale di Vallombrosa, un luogo sereno che sembra lontano anni luce dal caos del centro di Firenze. 

Tutto ebbe inizio nel 1036, quando San Giovanni Gualberto si perse nei boschi durante una tempesta. Si rifugiò sotto un faggio gigante e riuscì miracolosamente a rimanere asciutto per tutta la notte. Il giorno dopo decise di costruire un eremo proprio in quel luogo e così nacque Vallombrosa. Nel corso dei secoli, questo umile eremo si trasformò in una grande abbazia, immersa in una fitta foresta di abeti imponenti. I monaci che vi risiedevano erano abili nell’arte della lavorazione del legno e utilizzarono la resina, la corteccia e le piante della foresta per costruire l’abbazia, per riscaldarsi e persino per creare rimedi medicinali, alcuni dei quali vengono ancora prodotti nell’Antica Farmacia dell’Abbazia.

Nonostante la sua posizione isolata, nei primi anni Vallombrosa attirò una manciata di visitatori, tutti ospiti dei monaci, John Milton, ad esempio, che trovò ispirazione in questi luoghi sacri e vi attinse per la sua opera “Paradiso perduto”. Nel XIX secolo, il misticismo di Vallombrosa attirò anche William Wordsworth e Mary Shelley durante i loro viaggi in Italia.

Solo nel 1877 fu costruita una strada carrozzabile che collegava l’abbazia al vicino villaggio di Tosi, rendendo più accessibile questa località precedentemente isolata. Il primo albergo, noto come “Croce di Savoia”, fu allestito proprio davanti all’ingresso dell’Abbazia, e non passò molto tempo prima che venisse costruita una linea ferroviaria e che la gente iniziasse a edificare le proprie ville nella zona. Vallombrosa divenne più di una semplice abbazia nascosta: divenne una meta per i viaggiatori ricchi ed esigenti che cercavano un po’ di riposo nella bellezza della natura.

Oggi Vallombrosa è ancora una boccata d’aria fresca, dove ci si può rilassare nella natura e osservare le stelle dalla cima del Monte Secchieta. Qui il tempo scorre più lentamente e le ore dalle 14 alle 16 sono considerate sacre. Si può prendere un aperitivo al Bar, adiacente al Grand Hotel, fare un salto al negozio di alimentari per comprare pane e finocchiona, stendere coperte a quadri al Pratone, godersi il fruscio del vento misto al profumo della carne alla brace.

L’Abbazia 

Il vero nucleo storico e artistico di Vallombrosa è l’Abbazia. Questo eremo dimenticato è rimasto per secoli intimamente legato al territorio circostante e per i sette monaci che ancora vi abitano costituisce il fondamento stesso della loro vita religiosa. La chiesa romanica, un tempo piuttosto spoglia e disadorna, ha subito una trasformazione nel Settecento, assumendo uno stile barocco. Gli stucchi e gli ori, tuttavia, sono rimasti modesti, in conformità con la regola monastica che richiede sobrietà e un atteggiamento di “basso profilo”.

Gli affreschi, la fontana d’acqua nella sacrestia e i ritratti degli abati nel grande refettorio sono tutti magnifici. Ma il vero tesoro si trova nella cucina del XV secolo, che vanta un camino monumentale utilizzato ancora oggi dai monaci. È qui che si riuniscono per i brindisi e le feste natalizie e l’atmosfera rimane ricca e vibrante come secoli fa. Ancora oggi è possibile degustare tisane e antichi tonici a base di piante ed erbe medicinali, nonché il Dry Gin di Vallombrosa, ognuno dei quali vanta mistiche proprietà curative.

Grand Hotel Vallombrosa

Che decidiate o meno di prenotare un soggiorno al Grand Hotel Vallombrosa, vale la pena di visitare questo classico albergo immerso nel verde. Nelle giornate più limpide, dalle finestre si può persino scorgere Firenze. All’inizio del XX secolo, il Grand Hotel Vallombrosa divnetò una meta ambita dall’alta società, non solo in Italia ma anche oltre i suoi confini. Sebbene non fosse così sfarzoso come i grandi alberghi delle capitali europee, il Grand Hotel Vallombrosa emanava un’innegabile eleganza che attirava personaggi di spicco dell’aristocrazia e illustri politici del Regno. 

Personaggi del calibro di Donna Franca Florio, che notoriamente arrivò a Vallombrosa con una carrozza riservata esclusivamente al suo guardaroba chiuso in bauli, Gabriele d’Annunzio, Eleonora Duse, Re Umberto di Savoia e una lunga lista di nobili e industriali furono tutti attratti dal fascino del Grand Hotel. Partecipavano ai Gran Balli, assistevano a spettacoli teatrali, giocavano a tennis su prato e, mentre le tate si occupavano dei loro bambini, le signore con cappelli a tesa larga e veli di chiffon sorseggiavano il tè nei vasti giardini.

Nell’estate del 1902, il Grand Hotel Vallombrosa andò a fuoco, presumibilmente a causa della vendetta personale di un ex dipendente che era stato licenziato. Non rimase che uno scheletro carbonizzato, ma fu ricostruito alla svelta e nel 1903 fu completamente ristrutturato e riaperto in pompa magna. 

Oggi l’hotel conserva gran parte del suo fascino originale, in particolare l’affresco all’ingresso che raffigura una fenice che risorge dalle ceneri e l’iscrizione latina “Post fata resurgo” (che si traduce in “risorgere dopo la morte”), uno struggente ricordo del tragico evento che si verificò.

Il Circuito delle Cappelle 

Tra i sentieri più facili e più belli che attraversano i boschi circostanti c’è il Circuito delle Cappelle, un percorso che ripercorre una sorta di Via Crucis. Che lo si veda come un pellegrinaggio religioso o come un modo per immergersi in un’atmosfera serena, si attraversano cappelle dedicate a santi come San Girolamo e Santa Caterina prima di raggiungere la Scala Santa. Questi gradini conducono al Paradisino, dove una vista panoramica sulla foresta vi ricompenserà delle vostre fatiche. Qui soggiornò il poeta inglese John Milton nel XVII secolo. 

Il circuito passa anche per il Faggio Santo, l’albero sotto cui Gualberto si rifugiò in quella fatidica notte. Oggi l’imponente faggio ha centocinquant’anni ed è stato piantato nello stesso punto dell’originale.

I Villini 

Squisiti villini dei primi del Novecento punteggiano il paesaggio di Vallombrosa. Nel 1903, quando il Grand Hotel fu riaperto e l’alta società si riversò in questa destinazione idilliaca per i suoi soggiorni estivi, lo Stato concesse il permesso di costruire alcune case lungo la strada. Le famiglie aristocratiche e dell’alta borghesia tra Firenze e Roma colsero l’opportunità di acquistare lotti e costruire le proprie ville di lusso.

Queste ville a tre piani, intonacate nei toni del bianco, del giallo e del rosa, erano incorniciate dalla sobria pietra serena (una pietra arenaria grigio-azzurra spesso presente nell’architettura fiorentina del Rinascimento) e presentavano giardini lussureggianti con siepi e ortensie fiorite disposte su balconi e vialetti. Qui le famiglie sfuggivano ai rigori della vita cittadina da giugno a settembre inoltrato e generazione dopo generazione di nipoti crescevano insieme tra i giardini verdeggianti e le terrazze assolate.

Tra i villini più splendenti c’erano il Villino Olschki (di proprietà della celebre casa editrice), i Guicciardini, gli Aboaf (aristocratici di origine egiziana), i Cerruti (oggi purtroppo abbandonati) e il grandioso castello neo-medievale dell’Acquabella, anch’esso lasciato a languire nell’incuria. Ma soprattutto il Villino De Benedetti, costruito nel 1906 per volere del mio trisnonno, che occupa un posto speciale nel mio cuore. La leggenda narra che egli volle che fosse costruito proprio nel punto in cui suo figlio era guarito da un’infezione polmonare, respirando l’aria pura di Vallombrosa.