Al giorno d’oggi, la vita corre veloce – e le nostre tradizioni alimentari fanno fatica a stare al passo. I sapori che un tempo ci legavano a luoghi, persone e ricordi sono sempre più difficili da trovare, persi in una nebbia alimentata da corsie di supermercati inquietantemente identiche, dal richiamo della comodità (confezionata) e, come sempre, dal cambiamento climatico. Mentre questi cibi scompaiono dalle nostre tavole, lo fanno anche le storie che raccontano e le persone che rappresentano.
In tutto il mondo, la gente sta lottando per mantenere vive queste tradizioni alimentari, per proteggere la biodiversità, per assicurarsi che la conoscenza indigena non venga spazzata via dalla prossima barretta proteica sopravvalutata o mela OGM. Non sorprende che in un paese con una storia alimentare così ricca come l’Italia – ma che non è meno immune ai cambiamenti climatici, alle monocolture e ai prodotti zuccherati – ci sia un movimento locale che apre la strada sia a livello locale che internazionale. Slow Food è nato nel 1986 quando il piemontese Carlo Petrini e un gruppo di amici protestarono contro l’apertura di un McDonald’s a Piazza di Spagna a Roma. La loro idea era semplice: dire no al fast food (in tutti gli aspetti della frase) e dire sì al cibo buono, pulito e giusto. Da allora, Slow Food è cresciuto fino a diventare una rete che lavora con agricoltori, cuochi e comunità in tutto il mondo e ha persino fondato un’università. Tra i suoi risultati più importanti c’è l’Arca del Gusto.
In parte catalogo, in parte chiamata all’azione, l’iniziativa dell’Arca del Gusto mira a salvare i cibi a rischio di estinzione. Ma invece di preservare solo i nomi di ciò che una volta era, l’obiettivo dell’Arca è di riportare questi prodotti – e le persone che li coltivano, li producono e ci vivono – in primo piano nel patrimonio culinario e nella cucina del paese. La sua missione è iniziata nel 1996 al primo Salone del Gusto di Torino, un raduno globale di piccoli produttori alimentari, con l’idea di raccogliere e creare una sorta di arca di Noè per i cibi: da frutti rari e cereali antichi a formaggi, pani, razze animali autoctone e dolci.

Oggi, l’Arca elenca oltre 6.000 prodotti provenienti da più di 150 paesi, selezionati non solo per il loro sapore, ma per i loro profondi legami con il luogo e la tradizione. Ognuno deve essere prodotto in piccole quantità e correre il rischio di scomparire – che sia a causa della perdita di conoscenze, di ecosistemi fragili o di cambiamenti economici. Non c’è una checklist rigida; chiunque – agricoltori, comunità, individui – può nominare un prodotto, purché ne racconti la storia.
Ho parlato con Abdullah Faiz, il Coordinatore della Rete per l’Arca del Gusto, Global South, sul ruolo e il futuro dell’Arca. ‘Quando una pianta, un animale o un cibo tradizionale profondamente legato alla vita e alla cultura è sull’orlo dell’estinzione e dell’oblio, il semplice riconoscerlo e sensibilizzare sulla sua situazione di pericolo può ispirare azioni per proteggerlo,’ mi ha detto. ‘Abbiamo ricevuto segnalazioni dagli angoli più remoti d’Italia che le materie prime stavano scomparendo. Non era più possibile continuare a cucinare certi piatti o fare salumi tradizionali, formaggi e altro,’ ha continuato. ‘Nuovi metodi di coltivazione e pressioni di mercato rendevano quasi impossibile continuare a produrli.’
È qui che entra in gioco l’Arca. Mentre i famosi prodotti DOP – una diversa designazione legale dell’UE che si concentra sulla garanzia di autenticità– come il Parmigiano Reggiano, l’Aceto Balsamico di Modena e il Prosciutto di Parma godono di fama e protezione mondiale, l’Arca si occupa più di salvare i cibi che altrimenti potrebbero essere dimenticati prima di essere mai celebrati. ‘Oggi, 1.206 prodotti italiani sono stati riconosciuti,’ ha condiviso Faiz con orgoglio. Tra questi 1.206 ci sono alcuni nomi che potresti conoscere, ma molti che probabilmente non conosci.
Ecco 10 di questi tesori regionali meno conosciuti da cercare, per aiutare a mantenerli sulle tavole – e semplicemente perché vale la pena assaggiarli.

“Al Ceppo” Salsiccia di Linguaglossa
Sicilia
Da Linguaglossa, alle pendici dell’Etna, questa salsiccia è tritata su un tronco di quercia secco (ceppo), una tecnica antichissima che ne esalta la consistenza. Fatta con un mix di tagli di coscia, pancetta, guanciale, lardo e capocollo, la carne viene finemente tritata con una partiture (un coltello locale), impastata a mano e condita con sale, pepe nero e finocchietto selvatico dell’Etna. Alcuni macellai aggiungono un tocco di classe con cipollotti, pomodori semi-secchi o provola.
Asiago stagionato
Veneto
Prodotto nelle malghe dell’altopiano dei Sette Comuni in Veneto, questo formaggio ha note di frutta matura e muschio. Ma nonostante il suo sapore ricco, solo poche delle 70 latterie della regione lo producono ancora. Una ragione chiave? Per guadagnare l’ambita etichetta di ” stravecchio” o stagionato, l’Asiago deve maturare per almeno 18 mesi, e molti casari optano per un turnover più rapido per motivi economici.
Asparago Violetto di Albenga
Liguria
Un tempo popolare negli anni ’30, questo asparago ligure si distingue per la punta viola intenso che sfuma in un gambo color crema. E no, la sua tonalità sorprendente non deriva da tecniche di coltivazione, ma da un patrimonio genetico unico. È pieno di sapore, come tutti gli asparagi, ma ancora più divertente da mangiare e servire.

Culatello
Emilia-Romagna
Uno dei salumi più pregiati d’Italia, il culatello proviene dall’Emilia-Romagna. Fatto con il muscolo grande della coscia del maiale, è tradizionalmente lavorato a mano solo in inverno, avvolto in una rete a maglie larghe e stagionato senza refrigerazione, una pratica sempre più rara ai giorni nostri.
Cipolla “Dell’Acqua” di Santarcangelo
Emilia-Romagna
Grande, gialla e succosa, con il soprannome zvòla da aqua (cipolla d’acqua), questa cipolla dolce precoce un tempo fioriva lungo i fossi del fiume Marecchia. I locali di Santarcangelo, spesso chiamati cipolloni (cipolle grandi), facevano essiccare al sole il loro raccolto per un mese, poi lo spostavano in fresche cantine. Lì, le cipolle venivano legate in trecce chiamate reste e conservate fino all’11 novembre, quando la Fiera di San Martino le riportava sotto i riflettori. Eccellente cruda in una piadina o caramellata in piatti agrodolci, la cipolla è quasi scomparsa dopo gli anni ’40, ma è viva oggi grazie a pochi agricoltori dedicati.

Salsiccia di Bra
Piemonte
Proveniente da Bra, città natale di Carlo Petrini nelle colline delle Langhe, questa salsiccia setosa e saporita è fatta con il 70-80% di vitello magro e solo il grasso di maiale sufficiente a mantenerla tenera. È tradizionalmente condita con cannella e Parmigiano, e fatta con la locale razza bovina Piemontese. La leggenda narra che sia stata creata dai macellai locali per la comunità ebraica della vicina Cherasco, che non poteva mangiare maiale. Nella zona, spesso troverai la salsiccia trasformata in un delizioso ragù, servito sopra sottili tajarin.
Shëtridhlat
Basilicata
Simile a una tagliatella, questa pasta fresca fatta a mano proviene dalla comunità Arbëreshë, discendenti di coloni albanesi nell’Italia meridionale. L’impasto è fatto con farina di carosella (un antico grano locale), semola, acqua calda e olio extravergine d’oliva e steso interamente a mano – senza mattarello o macchina per la pasta. Le anziane del posto spesso si riuniscono per fare la pasta, cantando e chiacchierando mentre impastano prima di servirla con i legumi tradizionali.
Cavolo Cuore di Vinigo
Veneto
Nascosti sotto le Dolomiti Bellunesi, gli orti di montagna di Vinigo coltivano questo cavolo dolce e croccante. Spesso viene baciato dal gelo autunnale prima della raccolta, il che lo rende ancora più croccante. La sua testa leggermente appiattita e il gambo interno tenero lo rendono perfetto da consumare crudo in insalata o fermentato in capùze gàrbe o crauti.

Salsiccia di Bra
Pisello Nano di Zollino
Puglia
Coltivato nella regione interna vicino a Lecce, dove il vecchio dialetto griko (una variante del greco) resiste ancora, questo minuscolo pisello giallo-verde è stato preservato con cura dagli agricoltori locali per generazioni. Seminato non prima dell’8 dicembre e raccolto tra fine maggio e inizio giugno, viene coltivato a secco nei terreni per garantire una riserva d’acqua adeguata, trebbiato e selezionato completamente a mano. Tradizionalmente, il pisello viene cucinato in pentole di terracotta con aglio, cipolle, sedano, pomodori, o servito con una pasta fatta a mano di farina di grano duro.
Zotolo (Sepiola rondeleti)
Veneto
Un tempo considerato un ‘nessuno’ del mare, lo zotolo – una minuscola seppia marrone rossastra con curiosi occhi sporgenti – ha giocato un ruolo silenzioso nelle cucine veneziane per anni. Trovato nelle acque basse e ricche di piante della laguna, è protagonista di risotti, fritti di pesce e pasta con sugo di pomodoro o bianco. Oggi, purtroppo, la maggior parte degli zotoli viene usata come esca per catturare prede più grandi e impressionanti. Raramente servito nei ristoranti e spesso confuso con i suoi cugini, il delicato e nutriente cefalopode rischia di scivolare nella dimenticanza, portando con sé un pezzo della storia culinaria di Venezia.
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Al di là dell’idea del riconoscimento come conservazione, alcuni prodotti dell’Arca diventano parte dei Presìdi Slow Food, che va un passo oltre concentrandosi sul rapporto con i produttori e organizzando iniziative concrete per sostenerli. In Italia, vedrai spesso i prodotti dei Presìdi evidenziati nei menu dei ristoranti. Questo supporto si estende anche oltre i confini italiani. Un’iniziativa globale è il kit annuale Plant a Seed di Slow Food USA, che invita le persone a coltivare varietà elencate nell’Arca nei loro orti di casa e scuola. La morale della storia è: se vuoi proteggere ciò che è raro, inizia notando ciò che è a rischio.
Per saperne di più, visita il sito web dell’Arca del Gusto qui.