È venerdì pomeriggio e Bologna è in piena attività. Studenti e lavoratori popolano i tavolini sparsi per le piazze, un artista in una strada laterale inizia a dipingere i muri mentre un altro sta fuori da una libreria a promuovere il suo nuovo fumetto, variazioni umoristiche della falce e martello con didascalie come “compagni sporcaccioni” e “compagni confusi”. Altrove, un ragazzino suona il pianoforte fuori dalla facciata dimezzata di San Petronio, e un manifesto appena affisso consiglia “se qualcosa che riconosci come sbagliato non viene cambiato, devi essere tu a cambiarlo”. È il tipo di slogan di principio che evoca immagini di giovani attivisti dai capelli blu, ma qui, nell’arzilla Emilia-Romagna, c’è un’altra improbabile fascia di popolazione che condivide lo stesso sentimento sociale. E mentre la città si sta preparando per il fine settimana, anche loro si stanno preparando, si stanno fermando e si stanno facendo largo, probabilmente intorno ai cantieri più vicini.
Sto parlando degli umarell, gli appassionati pensionati italiani con un debole per l’edilizia. Di solito li si può trovare lì che circondano i lavori in corso della città come falene intorno a una lampada. Anche se, a differenza delle falene – e dei giochi di parole smielati – gli unici buchi che si lasciano alle spalle sono quelli nelle costruzioni che impediscono loro di sbirciare i lavori in corso. Le ragioni che li spingono a farlo sono varie: per dovere verso la comunità, per nostalgia della propria vita lavorativa, per rivendicare un senso di autonomia o semplicemente per noia. Per molti bolognesi, la presenza degli umarell è piacevole e familiare: sono un punto fisso del paesaggio urbano, con i loro cappotti beige, i berretti piatti e la loro posizione tipica: due mani strette dietro la schiena e un’inclinazione curiosa in avanti che fa intuire agli altri che fanno sul serio. Il loro itinerario quotidiano comprende l’osservazione, il controllo, la domanda, il suggerimento e, sicuramente, l’offerta occasionale di consigli non richiesti. Un piccolo prezzo da pagare, si potrebbe dire, per una bellezza duratura. Le due torri? I portici? Non sono sicuramente uno storico, ma sono pronto a scommettere che c’era un umarell in orbita al momento della loro costruzione.
Nonostante questi contributi speculativi all’architettura, gli umarell hanno trascorso la loro vita in gran parte inosservati: non così glamour come le loro controparti milanesi, le sciure, né così celebrati come le archetipiche nonne in grembiule del Paese. Ma tutto è cambiato nel 2005, quando il giornalista Danilo Masotti ha coniato il termine “umarell” (derivato dall’omarello o “omino” del dialetto bolognese) e li ha catapultati sotto i riflettori. Il progetto personale di Masotti di documentare online gli umarell della città si è trasformato in un’ossessione nazionale. Quando ho parlato per la prima volta del fenomeno sul mio blog, sono stato inondato di risposte di persone che dicevano: “Ne conosco uno!”, e ho ricevuto foto di uomini in fila per studiare i lavori stradali”, ha raccontato Masotti al Times.
In breve tempo, gli operai edili hanno iniziato ad affiggere avvisi (sempre indirizzati agli umarell) per informare del loro prossimo progetto, e online sono spuntati calendari dedicati ai “supervisori dei marciapiedi” della città. Poi sono arrivati i libri, il gioco da tavolo, le app, le action figure (o, forse più appropriatamente, le inaction figure). Grazie a Masotti, l’umarell è diventato una figura così amata che nel 2017 Bologna ha permesso di rinominare una piazza di periferia, Piazza degli Umarell, mentre Burger King ha reclutato cinque di loro per farne gli improbabili eroi di una campagna pubblicitaria televisiva.

Allo stesso modo, a San Lazzaro di Savena, il residente Franco Bonini è diventato il primo “Umarell dell’anno”, nonché il cittadino più famoso del paese con un’ospitata al concorso di Miss Italia. “I miei amici non vedevano l’ora di andare in pensione e riposarsi, io no”, racconta a Masotti, “ero contento di avere più tempo da dedicare ai cantieri”. E anche se la fama e la fortuna possono minacciare di attirare i più vanagloriosi all’interno del circolo esclusivo degli umarell, Masotti ci assicura: “Umarell non si diventa, si nasce”.
Parlando all’inaugurazione della Piazza degli Umarell nel 2015, il consigliere comunale di Bologna, Matteo Lepore, ha descritto gli umarell come “persone che si impegnano per il bene comune”. Questo impegno è stato messo a frutto dalla vicina città di Riccione, che ha stanziato un budget di 11.000 euro per la supervisione dei cantieri della città da parte degli umarell. In questo caso, i pensionati sono stati incaricati di prevenire i furti quando il cantiere era incustodito e di verificare il numero di camion che andavano e venivano per assicurarsi che i materiali fossero trattati secondo le indicazioni ricevute. Si tratta quindi, letteralmente, di un’onesta giornata di lavoro.
Anche se non tutti apprezzano i loro sforzi: alcuni paragonano Umarell alle “Karen” degli Stati Uniti, invadenti, indiscrete e giudicanti, con la tendenza a un atteggiamento da “io so tutto”. È facile capire come la loro presenza costante e i loro consigli non richiesti possano far sentire i lavoratori edili frustrati. La parola umarell è diventata anche un termine per indicare una sorta di fastidiosa passività. Infatti, quando Matteo Lepore – che aveva già appoggiato gli umarell quando aveva inaugurato la loro omonima piazza – è stato intervistato di nuovo nel 2021, ha usato la parola come antitesi di “proattivo”.
Ma non ci sono solo cantieri e lavori stradali. Li troverete anche a fare la fila alla Coop appena si aprono le porte, a giocare a briscola fuori dal bar o ad aiutare gli automobilisti della domenica a parcheggiare in parallelo con un rapido movimento del braccio sinistro. Lo spazio pubblico è il parco giochi dell’umarell, un luogo sociale di evasione, impegno e scopi. E l’azione non si concentra ovviamente solo a Bologna. L’umarell è ovunque, dalle strade assolate della Sicilia alle cime montuose di Bolzano, e oltre – se, cioè, ci si preoccupa di notarlo, il che è davvero il nocciolo della questione. Quando la parola è stata aggiunta al dizionario Zingarelli nel 2021, si può dire che la missione di Masotti per il riconoscimento dell’umarell sia stata completata. Gli ufficiosi guardiani civici dell’Italia erano finalmente diventati, beh, ufficiali.
Sebbene non abbiano mai avuto bisogno di un nome per convalidare i loro passatempi, il progetto di Masotti è una testimonianza di qualcosa di unico per gli umarell: il potere di prestare attenzione. Forse c’è una sorta di riappropriazione alla base del loro comportamento. Forse vogliono solo uscire di casa. Qualunque sia il motivo, l’improbabile ascesa degli umarell dimostra come uno sguardo benevolo sulle città e sui cittadini possa avere il potenziale di trasformare e potenziare le comunità. Ma non credetemi sulla parola. Prima ero anonimo, controllavo solo le cose, mi rivolgevo al consiglio comunale per le questioni”, ha detto Franco Bonini, l’umarell dell’anno, “Ora la gente viene da me e mi chiede: “Perché non funziona?” E io rispondo: “Non lo so, non sono il sindaco!””.