A pochi chilometri da Ferrara si trova il sogno del politico Edmondo Rossoni: una città metafisica che, più di 70 anni dopo, sembra più un progetto di esilio che l’utopia immaginata dai suoi fondatori.
Per raggiungere la Tresigallo di Rossoni, devi attraversare guadi e pianure, su e giù per le valli di Comacchio. Appena parcheggi e scendi dalla macchina, c’è un silenzio assoluto. Cammini per le strade deserte e ti chiedi: questo posto avrà una seconda vita o rimarrà un fantasma degli anni ’30? Così statico. Così perfetto. Così irreale.
Nato a Tresigallo nel 1884, Rossoni era un sindacalista rivoluzionario. Dopo aver lavorato come attivista sindacale ( per il sindacato Industrial Workers of the World) e giornalista (ha curato il giornale in lingua italiana dell’IWW Il Proletario, o The Proletariat) negli Stati Uniti dal 1910 fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Rossoni tornò in Italia con il sogno di fondere socialismo e nazionalismo. Alla fine si unì al partito Fascista di Mussolini nel 1921 e presto divenne uno dei membri più influenti del partito, ricoprendo vari ruoli nell’amministrazione di Mussolini. In particolare, Mussolini nominò Rossoni Ministro dell’Agricoltura e delle Foreste nel 1935 e gli affidò il compito di aumentare la produzione alimentare italiana; invece, alle spalle di Mussolini, Rossoni ordinò la ricostruzione della sua città natale secondo un nuovo assetto urbano, industriale e architettonico in linea con il razionalismo.
Per capire le forme di Tresigallo, è necessario analizzare l’strumentalizzazione dell’architettura da parte del regime di Mussolini. In Italia, durante il ventennio fascista, molte strutture furono distrutte, modificate e ricostruite secondo i progetti del Duce e con l’intenzione di creare nuove strade, edifici e piazze che potessero diventare modelli di una nuova civiltà imperiale, che si proclamava universale, potente e influente come era stato l’Impero Romano. Ma mentre la maggior parte delle ” città di fondazione“, o “nuove città”, erano la volontà propagandistica di un’idea politica, costruite per glorificare Mussolini, Rossoni immaginava un’utopia incentrata sul popolo, una città che offrisse una vita migliore.
Il sogno di Rossoni era che Tresigallo fosse autonoma, indipendente dai partiti politici e dallo stato fascista, una città basata sulla pacifica cooperazione tra datore di lavoro e lavoratore, uniti da visioni e obiettivi comuni. Le case degli operai e degli industriali dovevano stare fianco a fianco per generare un impatto sociale e culturale positivo.
Rossoni si dedicò completamente e segretamente alla sua città utopica con l’ingegnere Carlo Frighi: insieme, pianificarono e disegnarono ogni singola strada. Precedentemente una palude con poco o nessun accesso alle strade, lo sviluppo di Tresigallo iniziò rapidamente con la cooperazione della gente del posto, convinta dal sogno appassionato di Rossoni, nonostante la scarsità di materiali (l’Italia era nel bel mezzo dell’autarchia dopotutto). Rossoni e Frighi costruirono autostrade, scuole, parchi e un sanatorio (per i malati di tubercolosi) e installarono il primo sistema di acqua corrente. Costruì un albergo e centinaia di fabbriche – per tutto, dalla cellulosa alla canapa. La città sperimentò una crescita demografica senza precedenti: in pochi anni, la popolazione passò da 500 a 9.000 abitanti.
Ovviamente, era impossibile fare tutto questo senza attirare l’attenzione di Mussolini. Dopo che gli intrighi di Rossoni furono scoperti (grazie a una spia), convinse il dittatore che Tresigallo era un progetto “fascista”, costruito per essere replicato in tutta la penisola, e continuò a sviluppare la città fino a quando l’inizio della Seconda Guerra Mondiale non mise fine ai suoi piani. Negli anni ’70, la maggior parte delle fabbriche erano chiuse e la popolazione diminuì rapidamente – anche se non così rapidamente come era una volta aumentata.

Oggi, Tresigallo è architettura allo stato puro: una città, apparentemente vuota (rimangono solo 4.000 anime), dove le forme razionaliste e i vecchi cartelli regnano come un set cinematografico di Hollywood lasciato a se stesso. Poco conosciuta, ma un esempio eccezionale, Tresigallo rappresenta un esemplare unico del razionalismo italiano che, mescolato con un po’ di design metafisico, crea una combinazione particolare e un effetto enigmatico.
Il razionalismo architettonico si ispira alla simmetria, alla matematica e alla geometria ed è solitamente incarnato da imponenti, grandi edifici in pietra con linee dritte e assolutamente nessuna decorazione; ogni caratteristica del design è costruita per una funzionalità ottimale. Questo stile si può vedere in tutta Tresigallo e nei suoi edifici più iconici, le cui strutture e insegne frontali sono rimaste le stesse dagli anni ’30: Bar Roma, Campo Sportivo, le terme pubbliche, la Casa del Fascio, la Casa della Cultura. Quest’ultima, un tempo palestra propagandistica per giovani ragazzi, è ora una biblioteca e uno spazio per mostre d’arte, proiezioni di film e altri eventi culturali. Forse Tresigallo avrà una seconda vita dopotutto.
La fontana della grande piazza centrale è caratterizzata da quattro gazzelle, una per ogni colonia dell’Italia fascista in Africa. Si pensa spesso che questa piazza e le strade circostanti abbiano ispirato l’artista italiano Giorgio de Chirico, fondatore del movimento dell’arte metafisica, anche se è un mito. Però, la somiglianza vertiginosa tra le magiche piazze geometriche di alcuni dei suoi dipinti più famosi e l’architettura di Tresigallo è innegabile.
D’inverno, la nebbia è fitta. La città si trasforma in un fantasma, in qualche modo inquietante come il periodo storico di cui è prodotto. D’estate, invece, la città è colorata. E il caldo ha la tendenza a sciogliere tutto a suo piacimento. Il sole cerca di fondere l’asfalto, e i raggi colpiscono il marmo quasi come laser. Con questo tempo, tutti i rumori sono smorzati e i contorni degli oggetti, diventati improvvisamente più curvi e sfocati, si ammorbidiscono. La luce entra ed esce dai buchi nei muri e si riflette sulle facciate austere, sulle scale contorte.
La parola “sogni” è stata recentemente apposta sull’edificio azzurro chiaro delle ex terme. La scritta si fonde con l’azzurro del cielo e il bianco delle nuvole. Un promemoria per non arrendersi, forse, per perseverare nei propri sogni finché non si avverano. Ma i sogni possono stare fermi? O devono mutare per essere degni di essere chiamati tali – sempre nuovi, sempre irraggiungibili?
La prima metà del XX secolo è stata profondamente complessa in Italia, il risultato di contraddizioni ideologiche, senza alcun equilibrio tra democrazia e dittatura, progresso e guerra. È stato un periodo che ha spazzato via tutte le certezze di un futuro pacifico, dei diritti umani. L’Italia sembrava più un incubo, e anche se è impossibile perdonare i contributi del fascista Rossoni a tale incubo, è affascinante immaginare cosa potrebbe essere nato dal suo sogno di una città veramente senza partiti.
La ricerca di significato che pervade la vita di ogni essere umano diventa più forte a Tresigallo. E così anch’io mi ritrovo a prendere nota di ogni momento di vita che incontro: una bicicletta arrugginita in un cortile, i lenzuoli tinti di pastello che si alzano nel vento leggero e poi ricadono immediatamente immobili sul loro asse di gravità come in attesa dell’arrivo della tempesta.
“Nella piazza, la gente circola con movimenti lenti come la vita in vacanza, e anche qui si sente una pubblicità radiofonica diffondersi nell’aria. Lo stesso atteggiamento da vita in vacanza ce l’hanno i giovani in pantaloncini e infradito, riuniti a discutere di sport sotto il loggiato di un albergo. In fondo allo slargo un viale di edifici geometrici dai colori acrilici, ed è lì che vado,” ha scritto Gianni Celati nel suo libro Verso la Foce dopo essere passato per la città dei sogni.
Foto di Irene Flaborea.
