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Stivali, Borchie e Spuntoni: Quando la Milano Punk Era un Urlo Contro il Sistema

‘Dopotutto, ce ne freghiamo – nemmeno della musica punk o dei punk – ci interessa solo l’abolizione del futuro e della memoria.’

Barona, Rozzano, Gratosoglio, Corsico, Trezzano, Baggio: queste sono le periferie che vanno a pezzi alla fine degli anni ’70 per colpa dell’inflazione, la mancanza di case e la violenza diffusa. Le grandi utopie che avevano mosso i giovani negli anni precedenti crollano, e il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro nel ’78 fa da pietra tombale per molti movimenti politici, che soccombono sotto il peso della brutalità del decennio. I centri giovanili basati sui valori politici si sfaldano, e il mito della solidarietà operaia non basta più a convincere i giovani a sgobbare in fabbrica per il resto della vita. Questa sbornia dai grandi ideali è la perfetta piastra di Petri per uno slogan che arriva dall’Inghilterra: “No Future!” Urlato dai Sex Pistols, fa subito senso a tutti quei ragazzi delle periferie milanesi che non vogliono più credere alle favole di un mondo migliore, visto che quello in cui vivono ogni giorno è sempre lo stesso, pieno di povertà, degrado, violenza e morte. E così si spingono verso il centro città, raccogliendo le eredità della Brera artistica e occupando gli spazi vuoti della controcultura con rabbia. Questo è l’inizio del movimento punk italiano.

Gli Accessori per Animali Costano Meno: Il Look Punk

Milano, dove le fabbriche sono più popolose, è il fulcro del punk in Italia, ma alcuni gruppi si formano anche a Bologna, Brescia e Torino, anche se tutti si sovrappongono quando si tratta di look. “I capelli sono fondamentali – devi tenerli dritti – in piedi – come spilli o borchie appuntite – è un simbolo importante – le punte rigide significano odio – i capelli devono stare in piedi – incazzati con tutto il mondo,” scrive Marco Philopat in Costretti a sanguinare. Racconto urlato sul punk (Costretti a sanguinare: Un racconto urlato sul punk); uno dei primi punk della città, membro del gruppo punk HCN e co-fondatore di Virus (lo squat che ha consolidato il movimento punk a Milano), Philopat è la principale fonte sul campo della cultura punk nell’Italia degli anni ’80.

Anche i vestiti, ricorda, devono essere come pugni tirati ai normali che si fermano a fissare: nero, rosso, pelle, spille, borchie e spuntoni, accessori per animali (questi ultimi costano meno). È una questione di atteggiamento, una scelta costante di urlare al mondo che non sei come tutti gli altri, che non vuoi lo stesso mondo e che sei pronto a distruggerlo per farne un altro con le tue mani; perché “fai da te” è il secondo slogan che segna il movimento punk.

Nei primi anni ’80 a Milano, i punk non sono l’unico gruppo a cercare una nuova identità, legata all’individualità e non più al “bene collettivo” come i loro genitori e nonni. E ogni gruppo rende esplicite le proprie scelte attraverso i vestiti: “In via Torino con gli sballati – quelli che portano le giacche Strega – il negozio alla moda in piazzale Lagosta – jeans usati larghi in vita – capelli medio-lunghi con ricci o caschetti – scarpe di pelle a punta… Dai compagni vengono chiamati ‘fioruccini’ – perché si incontrano davanti al negozio dello stilista – dove i DJ suonano musica disco ogni pomeriggio… Gli sballati – vengono dalle periferie – si fanno anche le canne – ma non vogliono sentir parlare di politica,” scrive Philopat. I “mod” ascoltano ska e indossano completi aderenti su misura e parka per proteggersi mentre guidano i loro motorini; i “metallari” sfoggiano giacche di pelle nera, stivali o scarpe da ginnastica, jeans, catene e borchie, capelli lunghi e tatuaggi; i “dark” sono “giovani che si vestono esclusivamente di nero – puliti con scarpe a punta o stivali di pelle lucida – portano spille dei Cure o dei Joy Division e qualche crocifisso capovolto,” mentre gli “skinhead”, presto identificati come bigotti e legati ai partiti di estrema destra, sono riconoscibili per le teste rasate e le polo Fred Perry.

Una Sottocultura Oltre lo Stile

I punk, però, vogliono far sapere che il loro movimento non è solo una scelta di moda; anzi, i veri punk stanno lottando per impedire al capitalismo di inghiottire questa controcultura. Lo fanno boicottando i concerti delle band che adorano, ma che stanno usando il punk per avere successo – i Clash a Bologna nell’80 o i Black Flag a Baggio nell’83 – e sviluppando ideologie che animano diverse fazioni. Il punk di Philopat, ad esempio, è quello dei Crass, un collettivo anarchico britannico vegetariano unito in una comune e impegnato nella lotta contro fascismo, nazionalismo, sessismo, razzismo, capitalismo e guerre.

Raggiungere questa consapevolezza anarchica, però, non è un percorso facile. ‘Cazzo, eravamo fragili perché non avevamo studiato, ignoranti come capre, giovanissimi, figli di proletari o gente espulsa dalla fabbrica’, ha detto Philopat a Rolling Stones, notando che molti punk non avevano più di 17 anni. ‘Queste situazioni avevano spinto molti a rifiutare la società e ritrovarsi per strada.’

Uno dei problemi più concreti per i gruppi alternativi milanesi è la mancanza di spazi di ritrovo, che aumenta le tensioni tra le varie bande e fa delle strade della città una mappa di culture underground. I punk girano per il centro, i passanti li insultano per i loro collari da cane, i compagni di sinistra vogliono menarli perché pensano siano fascisti, i genitori cercano di picchiarli ‘per farli tornare normali’ (molti lo fanno durante la settimana, per paura di perdere il lavoro), e l’eroina si porta via uno su due. Il sabato è un rifugio, quando si tiene il mercatino delle pulci di Senigallia lungo la Darsena. Lì, incontrano persone che la pensano come loro, si annusano a vicenda e si scambiano informazioni sul ‘Punk Vero’, quello di Londra, Zurigo o Berlino.

Alla ricerca di uno spazio comunitario, i primi punk si incontrano a Santa Marta, un centro sociale accessibile dalla stretta Via Bagnera, ma la convivenza con i gruppi politicamente impegnati non dura a lungo e presto i punk sono di nuovo per strada, davanti al New Kary in Via Torino (l’unico negozio di dischi dove si potevano ascoltare i Sex Pistols e i Ramones), al mercatino di Senigallia, al parco Sempione, al bar Magenta o al pub Concordia.

Il braccio creativo del movimento ha sede nel Vidicon, uno squat, dove nascono le prime fanzine punk. La prima è ‘Dudu’, del ’77, trasformata il gennaio seguente in ‘Pogo’, mentre nel marzo ’79 viene data alle stampe ‘Xerox’, che urla ‘Siamo i Dudu – siamo la rabbia – vogliamo ribellarci ora! Rifiutiamo il lavoro in fabbrica – e soprattutto attacchiamo frontalmente la logica del militantismo – il personale è politico!!! – Dopo tutto, ce ne freghiamo – nemmeno della musica punk o dei punk – ci interessa solo l’abolizione del futuro e della memoria.’

The Hardcore punk band Wretched in concert at the Virus community center

Rifugi Sicuri dall’Eroina: Le Vibrazioni del Virus

È proprio in questi anni che gli oppiacei si diffondono tra una popolazione impreparata, e i tassi di morte per overdose schizzano alle stelle; un rapporto di ricerca del 1992 del British Journal of Addiction stimava 28.000 consumatori nel 1977, una cifra che, nel 1982, era balzata a 92.000. E nonostante il desiderio della stampa di dipingere i punk come autodistruttivi e pericolosi, è proprio la necessità di strappare gli amici dalla facile scelta dell’eroina che dà origine al primo vero rifugio punk nel 1982: il Virus, in una fabbrica abbandonata, lanciato con ‘PUNX CONTRO L’APATIA PER L’AUTOGESTIONE – CONCERTO CONTRO L’EROINA NELLA CASA OCCUPATA DI VIA CORREGGIO 18.’

Lo squat punk diventa presto la casa di tutti quei giovani, spesso minorenni, che vengono dalle periferie e dai territori provinciali per sfuggire alla vita di fabbrica, dalle famiglie patriarcali, da un futuro che già faceva schifo ma che ora non esiste più. È uno spazio con sale per la musica e cucine, ma, soprattutto, letti, perché ‘il punk rappresentava una scelta di campo difficile ma necessaria, uno stile di vita capace di salvarci dal riflusso imperante e dalla famosa Milano ‘da pere’ perché quella ‘da bere’ era riservata ai ricchi’, scrive Philopat.

E poi ci sono le band degli squat, che imparano gli accordi semplici di ‘I Wanna Be Your Dog’ e poi si alternano sul palco a fare casino. I gruppi musicali di quegli anni sono tanti, con basi a Milano, Torino, La Spezia, Pisa e Bologna – Kandeggina Gang, 198X, HCN, Raf Punk, Nabat, Naplam, Holy Family, Wretched, 5° Braccio, Fall Out, CCM, Antigenesi. Da una città all’altra suonano negli squat che iniziano a punteggiare la penisola. Famosamente, i CCCP, considerati impostori che stanno capitalizzando sul punk, vengono cacciati da un concerto di Capodanno con cipolle marce in faccia.

Kandeggina Gang

Diamo un’occhiata alla filosofia del Virus attraverso il documentario Virus Milano, che intervista i membri del 5°Braccio. ‘Le grandi ideologie sono inutili,’ dicono. ‘Mi va di rompere le palle e lavorare sull’immediato, su tutti i bisogni che ci possono essere. È inutile parlare del futuro e dei mondi a venire se ogni giorno devi vivere la stessa merda, un lavoro e un mondo che non hai scelto. Non possiamo cambiare tutto subito, quindi l’unica cosa è solo dar fastidio a morte.’

Le lettere di lamentela dal vicinato per la musica ad alto volume sono comuni; la tensione nel quartiere raggiunge il suo apice nell’aprile del 1982 con l”Offensiva di Primavera’, un evento punk di tre giorni contro la repressione della polizia, quando più di 50 band da tutta Italia suonano in un continuum di rumore e allucinazione.

Il Virus è durato in totale sette anni, con i punk alla fine sfrattati, ma la sua energia si è diffusa in tutta Milano, ha raggiunto Torino, Firenze e Bologna e, se guardi bene, può essere trovata nei lampi più creativi della cultura mainstream, contaminata suo malgrado dall’instancabile Virus.

L’edificio in Via Correggio era l’ultimo baluardo di una Milano operaia, presto divorata dalla speculazione immobiliare e dal ritmo frenetico del capitalismo. Ora sembra impossibile immaginare il delirio del Virus tra le mura immacolate del quartiere. Forse quei ragazzi punk lo sapevano: nei ricordi come quelli di Philopat, si trova tutta la fragilità di una generazione falciata dalla mancanza di prospettive e dall’eroina, ma anche le visioni d’avanguardia di quei gruppi, le cui spine, per quanto appuntite, non servivano a proteggerli dal futuro, che alla fine è arrivato.

‘Siamo i cadaveri / di questa città di merda / dove non possiamo vivere / dove non facciamo mai niente / dove le cose che ci sono rimaste / sono rabbia e disperazione / tutto il resto ci hanno imprigionato / tutto il resto ci hanno sequestrato. Perché rabbia e disperazione sono sinonimi di ribellione.’ – ‘Rabbia e disperazione’ dei 5° Braccio

Se vuoi sentire di più da questa generazione di punk italiano, dai un’occhiata a questa playlist o a una qualsiasi delle band elencate qui sotto:

 

  • Negazione
  • Raw Power
  • Bloody Riot
  • Nabat
  • Declino
  • Indigesti
  • Crash Box
  • Nerorgasmo
  • Kandeggina Gang
  • Blue Vomit
  • Wretched
  • Impact
  • Contrazione
  • CCCP
  • Cheetah Chrome Motherfuckers
  • Linton Kwesi Johnson
  • Gheddafi Mohican
  • The Carnival of Fools
  • Not the Same
  • Antigenesi
  • Decibel – Champagne Molotov
  • Chrisma (ora Khrisma)
  • Jumpers
  • Adam and the Ants
  • Siouxsie
  • The Stooges
  • Kos Rock
  • Rudie Can’t Fail – The Clash