Aspettando nel brusio di sussurri, accarezzo dolcemente il velluto. Sono distratto dal pantheon di facce sconosciute tutt’intorno. Alcune che sbirciano da dietro i palchetti, altre che fanno smorfie d’impazienza. Le vedo apparire e scomparire, tremolanti come fiammelle di lampade. Ma l’orchestra inizia a suonare, e finalmente – silenzio. Tremori d’eccitazione attraversano il sipario.
Carmen. Giselle. Turandot . Il lago dei cigni. I set cambiano, la musica cresce. Il pubblico canticchia, si sporge in avanti, quasi come per allungare la mano e toccare gli attori, i cantanti, i ballerini. E che brivido quando il pubblico si alza, in frenesia, per la standing ovation. Nureyev, Carla Fracci, Roberto Bolle. Quasi esseri mitologici che hanno vissuto e respirato in questo spazio senza tempo: il Teatro alla Scala.
Oggi le sue porte – e il sipario, come quelli di molti altri teatri in tutta Italia, sono chiusi. Il tempio della musica, con il suo sfarzo neoclassico, siede saldamente piantato nella piazza, sulle ceneri di quella che una volta era la Chiesa di Santa Maria alla Scala. Il gioiello culturale brilla nel buio, solo, avvolto nella stessa oscurità che avvolge il pubblico poco prima del primo atto. Folle di eleganti spettatori d’opera, carrozze, taxi – tutto mancante. Oggi è il 7 dicembre, il giorno ufficiale di apertura della stagione, eppure quest’anno – niente. Una vista mai vista dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.
Fin dalla sua creazione nel 1778, La Scala è stata rispettata come un’istituzione – su scala internazionale, un punto d’incontro, un luogo di eccellenza artistica. Non solo un palcoscenico per opere, ma un salotto letterario, un luogo di incontri di significato politico e sociale. Non sai mai chi potresti incontrare, per caso, da uno spettacolo all’altro.
Tra gli incontri più memorabili alla Scala ci sono quelli con gli 80 e più “maschere del teatro”. Sono gli uomini e le donne che si affrettano, indisturbati, lungo i corridoi – che ti accolgono, prendono il tuo biglietto, ti accompagnano al tuo posto e garantiscono che tutto vada secondo i piani. Le loro sagome scure in abito sono punteggiate da guanti bianchi e distintivi lucenti. Sono gli occhi e le orecchie del teatro; onniscienti, sono testimoni di ogni suono, sul palco e fuori. Sono quelli che ti aiutano a togliere la giacca mentre entri di corsa dal freddo, quelli che tengono le chiavi. Se arrivi dopo l’inizio dello spettacolo, sono i loro sguardi che incontrerai mentre aspetti nell’atrio.
Se arrivi in orario, invece, il tuo posto è assicurato. Un’maschera ti accompagna al secondo palco a destra – e la meraviglia torna. Ti ritrovi nei palchi storici che, fino al 1920, erano registrati nel catasto. Ognuno aveva il suo proprietario – che aveva la libertà creativa di decorarlo come gli pareva. Il palco del Viceré, ad esempio, è ancora dipinto e tappezzato nella palette originale del teatro: azzurro chiaro e oro.

Il teatro è stato progettato all’italiana – concepito con cura, per amplificare al meglio i suoni dal palcoscenico e dalla buca – come una sinfonia di palchi d’avorio con una finestra sul palco e una sui corridoi. Ma con il suo design è arrivata anche la possibilità di birichinate e segreti. Ogni palco è carico di storia, ed entrarvi significa sentire i sussurri del passato. Si dice che un particolare spettatore usasse danzare da una colonna all’altra durante gli spettacoli, nascondendosi dietro ognuna nell’oscurità. Il palco 13 è ricoperto, dal pavimento al soffitto, di specchi – e sembra servire esattamente al suo scopo: spiare, indisturbato, gli altri spettatori. Il palco 16 apparteneva a Pietro Verri, fondatore della rivista Il Caffè; il palco 14, che apparteneva al conte Luigi Renato Porro Lambertenghi e alla famiglia Confalonieri, fu il luogo di molti incontri sospetti tra personaggi come Silvio Pellico e Giovanni Berchet.
Durante il dominio austriaco il teatro fu illuminato sotto una nuova luce: il grande Lumiera lampadario, fatto di vetro di Murano, gocciolante di cristalli e illuminato da più di 400 lampade a olio, è stato sostituito – una luce elettrica ha preso il suo posto. L’ispirazione dietro questo cambiamento non era solo stilistica, era anche pratica. Sotto una luce più brillante, era più facile sorvegliare gli spettatori. Storicamente, i teatri sono stati il luogo della rivoluzione – un posto per gruppi come la Carboneria nel 1800, e il movimento studentesco del 1968, per incontrarsi e organizzarsi sotto il manto dell’oscurità. Solleva il velo scuro e glamour del teatro e scoprirai ancora più magia, dove gli spettacoli prendono vita – nelle sale prove, nei camerini, tra le quinte.
Il teatro è sempre stato il luogo di un “rito collettivo.” Proprio come ognuno di noi ha un’identità che si è formata attraverso le interazioni con gli altri; siamo rafforzati e plasmati dall’alterità. Gli antichi greci, infatti, pensavano che il teatro donasse il dono della catarsi – passando attraverso un teatro, si subiva il rito magico della purificazione, si era liberati dalle proprie passioni, avvolti nello spettacolo, dove la mimesi tragica raggiunge il suo apice. Il teatro è onnicomprensivo; è parola e immagine, musica e silenzio, mente e corpo della società. Forse proprio per questo motivo, in un momento in cui i luoghi di ritrovo sono off-limits, i nostri pensieri vagano verso i teatri, freddi e vuoti; proprio come noi, mancano di fermento, passione e dialogo. Si può solo sperare che i sussurri del passato continuino a sgorgare di tanto in tanto da ciascuno dei palchi de La Scala, tenendosi compagnia mentre si mescolano nell’oscurità.
Traduzione di Anna Carolan