Guardando il piccolo cartello che dice Uscita, mentre il tram sobbalza e trema lungo l’Embarcadero sulla baia di San Francisco, penso a cosa significa uscire, andarsene, partire.
Come tanti altri prima di lui, questo tram, con tutti i suoi elementi originali, ha lasciato la sua casa a Milano, destinato a percorrere le strade di San Francisco, una bellissima reliquia del vecchio paese. Tutte le scritte in italiano sono ancora presenti, alcune con parole in inglese affiancate e altre senza traduzione. È a tutti gli effetti un tram milanese, ma in qualche modo più sorprendente in contrasto con l’ambiente straniero, circondato da palme californiane.

Along SF's Embarcadero; Photo by Ariana Rizzato
Per molti versi, questo tram rappresenta una storia che noi italo-americani abbiamo sentito e di cui siamo stati parte per tutta la vita. Il tram è stato costruito nel 1927, lo stesso anno in cui è nata mia nonna. Una donna del nord Italia che, come molte altre, ha affrontato gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, vedendo il suo paese massacrato e nascondendosi sotto i ponti per sfuggire alle bombe. Sognando un’altra vita, forse una che aveva visto nei film, ha fatto le valigie e si è trasferita in un posto dove non era mai stata, parlando una lingua che non aveva mai parlato, e lasciando una vita che aveva sempre conosciuto.
Il bip del tram mi riporta alla corsa che sto facendo lungo la baia, dove i cieli azzurri si fondono con l’acqua, creando una linea sfocata all’orizzonte. Il conducente di questo tram storico è anche lui un immigrato; si è trasferito a San Francisco 30 anni fa e guida questo tram da dieci. La domenica il tram è gratuito e raccoglie turisti entusiasti, con i telefoni pronti per fotografare questa anomalia. Vernice arancione brillante, stretto e slanciato che scorre accanto alle classiche auto americane, grandi e rotonde e ingombranti.

Inside the tram in SF; Photo by Ariana Rizzato
L’interno di questo tram mi ricorda la casa di mia Nonna, finemente rivestita con bellissimi arredi in legno, con lampadari di vetro che pendono dal soffitto; ha un’atmosfera calda e accogliente. Il conducente si ferma per una pausa, lasciandomi scattare foto mentre lascia le porte del tram aperte. I turisti si avvicinano a lui per fare domande sulle attrazioni locali e se questo tram ci arriva. “Come arriviamo a Lombard street?” Chiedono, e lui gentilmente risponde, “dalla cima o dal fondo?” La coppia non capisce bene e fanno movimenti ondulati con le mani, gesticolando piuttosto che usando parole. La strada è famosa per essere tortuosa – la chiamano la strada più storta del mondo – con curve strette avanti e indietro. Lui sorride e gli dice come arrivare al fondo.
Costruito da Carminati Toselli, una compagnia sciolta nel 1935, il tram ATM 1500 è arrivato a San Francisco come parte del Festival Storico dei Tram nel 1984, con altri dieci ordinati l’anno successivo per soddisfare la domanda della nuova linea F, che corre lungo l’Embarcadero di San Francisco dal famoso Ferry Building al Pier 39. Prima di arrivare qui, sono stati danneggiati nei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, riparati e ricostruiti alla fine degli anni ’40. Sono stati rimessi insieme prima di partire, apparentemente intatti ma comunque per sempre cambiati, molti dei 135 che esistono ancora rimanendo a Milano, e altri spostandosi in altre parti d’Italia e d’Europa. Proprio come quella strada tortuosa a San Francisco, i loro viaggi non sono stati un percorso lineare; molti sono stati messi nei musei (incluso il Tram Museum di Sydney e il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano), ritenuti non più funzionali. Ma nella Città della Baia, questi tram sono trattati con amore. Sono stati aggiornati con modernità come il GPS, anche se alcuni dei loro poster originali rimangono fissi nei tram, con uno che mostra ” Milano – Parigi in 7 1/2 ore”.

A tram from 1834 turning onto Noe Street from 17th during the 1987 Historic Trolley Festival; Photo by Steve Morgan
Il conducente mi permette di venire davanti, mostrandomi tutte le manopole, i pulsanti e gli interruttori che sono ancora in italiano. Gli chiedo, “Quindi parli un po’ di italiano allora?” E lui ride mentre gli insegno la parola per “un po’.” Mostro anche un po’ del mio cinese, la lingua che ho imparato quando ho seguito le orme di mia Nonna, scappando per una nuova avventura.
Mentre scivoliamo lungo i binari, i passeggeri salgono e scendono. Famiglie, amici, alcuni in viaggio verso il lavoro, altri in vacanza, altri ancora solo per il piacere del viaggio, come me. Lo stesso modo in cui hanno fatto per 100 anni, su due continenti diversi, vivendo il loro giorno per giorno. Ripenso a quando prendevo questo tram per andare a scuola. La prima volta che ho notato le parole in italiano, stavo viaggiando con un ragazzo della mia classe che era qui a studiare come studente internazionale. Mi ha chiesto “Perché i cartelli sono in italiano?” e ho scherzato “Siamo ovunque.” Ma che bel pensiero, che possiamo trovare un pezzo di noi stessi ovunque andiamo.
Scendendo dal tram, ringrazio il conducente, e lui gentilmente si offre di scattare qualche foto di me. Dopo un incoraggiamento, salgo davanti e poso come se fossi il conducente, suonando il clacson in modo fastidioso. Mi sento trasportato indietro a una casa che vive nel mio sangue. Un luogo unico, tra due mondi. Non italiano ma non americano, sia milanese che sanfranciscano. Sia un fuggitivo che un residente.