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Rione Sanità: Il Quartiere di Napoli Che Rimane Fedele alle Sue Radici

E Atelier Inès, lo studio artigianale e boutique hotel nel cuore del quartiere

“In una chiacchierata ideale con un abitante del Rione Sanità, non sentirai ancora parlare di gentrificazione.”

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.

Mentre Napoli è cambiata nel corso degli anni – alcuni direbbero persino “ripulita” – c’è un quartiere dove lo spirito della città, la sua ammuina (allegra confusione), non è stata spazzata via. Nel Rione Sanità, bancarelle di frutta straripanti di prodotti di stagione stanno accanto a quelle che vendono pacchi di biancheria intima rossa a poco prezzo, i venditori urlano incessantemente “FRUTTA FRESCA!”, motorini con sopra la versione napoletana di una piramide umana zigzagano tra le auto, e i muri continuano a sgretolarsi in modo stranamente affascinante. Nel Rione Sanità, le nonne chiacchierano in sussurri pettegoli sulle soglie mentre i ragazzini (non necessariamente imparentati con le suddette nonne) giocano a giochi inventati per strada. Il Rione Sanità è un quartiere in cui solo pochi anni fa i turisti avrebbero avuto paura di mettere piede, ma che oggi è sulla bocca di tutti.

Vicino al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il Rione Sanità è famoso per Palazzo dello Spagnolo (noto per la sua monumentale scalinata a doppia rampa, conosciuta come “ala di falco”), Palazzo San Felice (simile, ma più modesto) e il Borgo dei Vergini, che deve il suo nome peculiare a un passato greco-romano e alla storia di una donna locale che tentò di sedurre un ragazzo casto. Dal 2022, l’ ipogei, incluso quello dei Cristallini, sono aperti al pubblico: la camera sotterranea risale a più di 2.300 anni fa e veniva usata come necropoli (parte del lato macabro del quartiere che si può trovare anche al Cimitero delle Fontanelle e nelle Catacombe di San Gaudioso).

Il Rione Sanità è incredibilmente napoletano, lo spirito dell’antica città, eppure sta attraversando una rinascita: recenti aperture di cui si parla molto come gli ipogei, e anche la famosa pizzeria Concettina ai Tre Santi di Ciro Oliva, stanno portando attenzione al quartiere, smussandone i lati più ruvidi. Ma i locali, che stanno aprendo e/o gestendo questi posti, lo stanno facendo alle loro condizioni – senza annacquare il carattere del quartiere o dimenticarne il passato.

Proprio al numero 138 di Via dei Cristallini, una delle arterie del quartiere, incastonato tra colorati negozi di giocattoli, macellerie, parrucchieri e i tipici vasci (case al piano terra spesso con le porte lasciate aperte) napoletani, c’è un altro di questi posti. Entri nel cortile e trovi calma, pace e Atelier Inès– un hotel boutique e laboratorio che è sempre stato al centro del quartiere. Un’oasi felicemente incastonata nel tessuto vivo del vicinato, il rigoglioso giardino del cortile è vagamente andaluso eppure è letteralmente circondato dalle case e dai balconi carichi di panni stesi dei locali. Puoi sentire le famiglie che ci vivono parlare, cantare, cucinare, litigare.

Annibale Oste, un napoletano emigrato in America e tornato a casa dopo aver fatto un po’ di fortuna, ha comprato il terreno – su cui c’era un teatro all’aperto dal 1900 al 1930 – e ci ha costruito una falegnameria; presto è diventato famoso in tutta la città per la sua bravura. Poi, negli anni ’40, ha tirato su l’edificio che vediamo oggi, creando un punto d’incontro che sarebbe stato fondamentale per lo sviluppo di tutto il quartiere. Il nipote di Annibale, che si chiama pure lui Annibale, ha trasformato la bottega nel suo studio d’arte e design nel 1980, portando l’artigianato di famiglia a livello mondiale con una serie di prodotti famosi tra cui mobili, specchi, quadri e gioielli. Il figlio di Annibale, Vincenzo Oste, che ora possiede il posto con sua moglie Inès, è l’ultima generazione a portare avanti l’evoluzione. Nel 2017, i due hanno aperto un hotel boutique di sei camere (e stanno pensando di aprire presto una nuova ala); ogni suite chic, arredata da Inès, ha pezzi d’arte e mobili fatti dalle generazioni di artisti e artigiani di questa famiglia. Vincenzo gestisce la vecchia bottega dove crea e realizza i suoi progetti (i suoi gioielli sono davvero eccezionali). Uno dei tanti pezzi bellissimi che puoi vedere all’hotel è “Soffio di vento” – parte di un trittico di sculture che simboleggia la libertà del vento attraverso una finestra. Vincenzo e Inès organizzano anche workshop per artisti e appassionati. (Dai un’occhiata al loro sito per le info più aggiornate.)

È proprio Vincenzo che, insieme ai suoi figli Nour e Annibale, mi fa fare un giro dell’atelier e mi racconta la storia di ciò che questo posto rappresenta per la Sanità. Si potrebbe dire, anche come provocazione, che il quartiere era una specie di Montparnasse di Napoli: all’inizio del ‘900, era bohémien, sporco, popolare e viscerale. C’erano un sacco di mestieri artigianali, la maggior parte dei quali oggi sono completamente spariti, e ogni commerciante, insieme agli abitanti del quartiere, faceva rete con gli altri per sopravvivere. Come una famiglia, si aiutavano a vicenda attraverso povertà, malattie e fame, nonostante il tentativo di ‘ripulire la facciata’ fatto con l’apertura dell’Esposizione Universale del 1900 in città. La sola presenza di un’attività di successo come quella di Annibale Oste (che dava lavoro a tanti del posto) l’ha resa un punto di riferimento non solo per il quartiere, ma per tutta Napoli – tanto che personaggi famosi oggi, come il pizzaiolo Ciro Oliva che ho menzionato prima, ricordano con affetto i genitori di Vincenzo, che cercavano di dare lustro e importanza al quartiere. Ci sono riusciti alla grande, perché l’atelier è ancora oggi un punto d’incontro per la Sanità – un posto per i locali dove ritrovarsi, condividere e fare amicizia.

Vincenzo mi confida che l’atelier, a sua volta, non sarebbe quel che è senza il supporto degli abitanti del quartiere: è una specie di scambio emotivo reciproco che aiuta tutti. Se Vincenzo ha bisogno di un caffè, la bevanda caffeina arriva dal bar locale; se ha bisogno di un lavoro dell’ultimo minuto da un orafo, il lavoro viene fatto in un lampo dal suo vicino e amico. Non importa se Vincenzo deve accogliere un giornalista, un passante curioso o un ospite, tratta tutti allo stesso modo – come se facessero parte della grande famiglia del Borgo dei Vergini. Si sente quanto lui e la sua famiglia siano legati a questo posto, e viceversa: uno dei pilastri del quartiere, l’Atelier Inès è un punto di riferimento fondamentale che racconta la ricchezza e l’ingegno di una parte di Napoli che ha saputo rinnovarsi ed eccellere senza rinnegare le proprie radici.

In una chiacchierata ideale con un abitante del Rione Sanità, non sentirai ancora parlare di gentrificazione: il quartiere rimane saldamente nelle mani di persone come Vincenzo e sua moglie, che cercano di elevare il nome di un luogo senza stravolgerne le peculiarità. Forse questa è la virtù della Sanità, i cui abitanti spingono per stare al passo con la modernità senza lasciarsi tentare dall’omologazione. La speranza è che un quartiere così ricco e pieno di sfumature, che è passato dall’essere un luogo che metteva in apprensione i visitatori al centro vivo della città e del traffico turistico, rimanga fedele a se stesso – grazie alle persone che ci sono nate, che ci vivono e che continueranno a riversare il loro intelletto, artigianato e talento nel loro quartiere.

Rione Sanità

Palazzo dello Spagnolo

Palazzo San Felice

Borgo dei Vergini

Ipogeo dei Cristallini

Cimitero delle Fontanelle

Catacombe di San Gaudioso

Pizzeria Concettina ai Tre Santi

Atelier Inès