CACIO E PEPE, LA RICETTA
La pasta più semplice – all’apparenza – ha solo tre ingredienti, ma è tutta una questione di equilibrio e di temperature. Come formato sono un classico gli spaghetti, tonnarelli, rigatoni e mezze maniche. Niente penne, fusilli o pasta all’uovo, se si vuole rispettare la tradizione. Poi serve del formaggio pecorino, non troppo stagionato, grattugiato, e del pepe nero aromatico. Il resto è arte. Il procedimento non perfette errori: si bolle la pasta in poca acqua poco salata e poco prima di scolare si mette da parte un po’ di acqua di cottura. In una ciotola si mescola quindi il formaggio grattugiato con il pepe e una uguale quantità di acqua di cottura, non bollente, fino a farne una crema: se l’acqua è troppo calda (sopra i 70°C) farà filare il formaggio, se è troppa renderà la crema liquida. Si scola quindi la pasta, al dente, e la si manteca con la salsa, si serve subito con altro pepe e formaggio grattugiato.
CACIO E PEPE DIVENTA VIRALE
La sua apparente semplicità è parte del segreto del suo successo mediatico, insieme alla possibilità di farla ovunque con qualunque pepe o formaggio, all’essere un piatto vegetariano, inclusivo, confortante e al tempo stesso economico. Particolarmente instagrammabile. La cacio e pepe è la formula perfetta per poter diventare una delle ricette italiane più cucinate del mondo: secondo il New York Magazine è stato il piatto di pasta più cool del 2016, e la sua popolarità era solo all’inizio. La Cacio e Pepe è il piatto italiano per la guida Top Italian Restaurants 2022 del Gambero Rosso, dedicata ai migliori ristoranti italiani nel mondo, e basta navigare Instagram e Tik Tok per scoprire la popolarità dell’#cacioepepe. Pasta? Non solo, perché il binomio formaggio + pepe ben si presta a twist di ogni tipo, e finisce ogni giorno su pizza, burger, sopra bagel o nelle omelette: tutto può essere cacio&pepe.

CACIO E PEPE A ROMA
La leggenda, poco affidabile, narra che il piatto sia stato inventato dai pastori durante la transumanza. Sicuramente è una ricetta povera, diventata nel Dopoguerra una classica ricetta da osteria, che veniva servita molto asciutta, per far ordinare ai clienti abbondante vino da bere. Oggi la si ama invece crema, e la sfida è a chi la riesce a fare più mantecata possibile. A Roma la fanno davvero tutti e ogni osteria si vanta di fare la “mejo cacio e pepe de Roma”.
In pieno centro, da Luciano, ristorante con pastificio dello chef Luciano Monosilio, guru della pasta, è a base di rigatoni fatti in casa. Alla Antica Pesa, a Trastevere, i classici spaghetti sono mantecatissimi e cremosi; al quartiere Testaccio, Da Felice, la pasta arriva in tavola non condita, coperta da una nuvola di pecorino e viene mantecata al momento dal cameriere davanti agli occhi dei clienti con movimenti rapidi e precisi, ipnotici: il regista e attore premio Oscar Roberto Benigni, habituè del locale, gli ha dedicato addirittura una poesia, in bella mostra sul muro. La si mangia anche da Roscioli, mitica salumeria con cucina, ma in versione tonnarello all’uovo fatto in casa, stessa ricetta che si troverà anche a NYC nel loro nuovo ristorante a Greenwich Village.
TWIST SUL CLASSICO
Ognuno ha il suo piccolo tocco personale, come lo chef giapponese Kotaro Noda che al suo Bistrot 64, usa dell’aromatico e potente pepe nero di Sarawak. Sull’Isola Tiberina invece alla Trattoria Sora Lella, volto mitico del cinema e della cucina romana in bianco e nero, i tonnarelli cacio e pepe li si serve da sempre con la menta. Gli chef stellati si sono ovviamente cimentati nella ricetta, elevandola a piatto gourmet sia grazie alla tecnica di preparazione che agli ingredienti. A Roma, al ristorante tre Michelin La Pergola, lo chef Heinz Beck la fa con gamberi marinati al lime; sul Lago di Garda lo chef Riccardo Camanini la cuoce in vescica, con una classica tecnica francese, Errico Recanti a Loreto, nelle Marche, la griglia sul camino e la condisce con sette pepi. Mathias Perdomo a Milano l’ha infilata in un raviolo mentre Massimo Bottura a Modena l’aveva resa un risotto. A Roma da Il Maritozzo Rosso ne hanno fatto un maritozzo, e chi come Stefano Callegari da Sbanco, ne ha fatta una pizza, ma nessuno – se servisse sottolinearlo – osa aggiungerci olio, burro o peggio ancora, panna!