A metà del secolo scorso, l’inferno si scatenò tra i santi cittadini della Serenissima. Le figure alate della città, che per anni avevano diligentemente affiancato le facciate gotiche e adornato gli interni affrescati delle chiese e dei palazzi brulicanti di Venezia, erano disperate per una nuova arrivata che aveva così atrocemente preso il loro santo nome invano. Gli angeli inginocchiati in cima al frontone centrale della Basilica di San Marco sbattevano le ali dorate in segno di disapprovazione e i messaggeri di Dio che suonavano di Giovanni Bellini erano ancora più misericordiosi nel rimanere dietro le mura chiuse della Galleria dell’Accademia, chiudendo gli occhi di fronte a questa intrusa maleducata: “L’Angelo della Città” di Marino Marini, la cui unica “ala” era quella di un organo maschile eretto, era arrivato e nessun angelo, decisero, era lui.

Beatamente ignaro di tale animosità, un ragazzo di bronzo dal sedere nudo sedeva su un cavallo di bronzo dal sedere nudo; le sue braccia, la testa e il pene alzati in euforia mentre si beava del suo nuovo ambiente. Insieme ai suoi nuovi amici felini di marmo, la creazione di Marino si affacciava sul Canal Grande e faceva da guardia alla casa dietro. Palazzo Venier dei Leoni era stato appena comprato e la padrona del ragazzo, la vera ragione della sua allegria, l’amante della vita, dell’amore e dell’arte, Peggy Guggenheim, si era trasferita.
I veneziani tradizionalmente indossano il loro eccesso nelle loro ricche fodere. Venezia è stata la casa degli affari più passionali e selvaggi, ma invariabilmente li ha nascosti dietro persiane e porte chiuse. Peggy Guggenheim non era disposta a perdere tempo con questo gioco. “Ero una donna liberata molto prima che ci fosse un nome per questo,” dichiarò. Questa era Peggy dalla testa ai piedi. Nata a New York nel 1898 in una società d’élite; la famiglia Guggenheim era tra le più ricche del loro tempo. La sua vita avrebbe potuto essere facilmente già scritta per lei, ma scelse di intraprendere un mondo di auto-educazione, usando i suoi soldi per sostenere il talento creativo dell’epoca, facendo amicizia con i propri idoli e perseguendo i propri bisogni e desideri sessuali. Che fosse nata così o l’avesse scelto consapevolmente, stava ferocemente lottando contro secoli di repressione femminile.
Peggy era una forza inarrestabile. La sua collezione d’arte era rivaleggiata solo dalla sua collezione di amanti. Solo in Europa affermava di aver dormito con 1000 uomini. “Il mio libro” disse riferendosi alle sue memorie, “parlava tutto di scopare.” Quando le fu chiesto in un’intervista quanti mariti avesse avuto, rispose con il suo tipico scherzo ‘Intendi il mio o quello degli altri?’ La sua onestà era cruda, la sua franchezza rinfrescante e un riflesso dei tempi. Non aveva tempo da perdere con i legami del passato. Viveva nel presente. Con il suo spirito e il suo fascino, era sempre un passo avanti. Lei e Marino erano pronti persino per i visitatori più bigotti. Avevano fatto un pene staccabile – per questa gente il piccolo ragazzo di bronzo era ‘puro’ come non mai!
Ogni amante, ogni persona, ogni evento era una sfida. Persino la Seconda Guerra Mondiale tirò fuori il meglio di lei. Vivendo a Parigi all’epoca, decise di comprare un quadro al giorno e sebbene possa non aver raggiunto questo ambizioso obiettivo, riuscì comunque ad acquistare la fenomenale cifra di 170 opere d’arte tra i turbolenti anni 1939 e 1941. Fuggendo dalla città pochi giorni dopo la sua invasione, contrabbandò le sue nuove acquisizioni di nuovo negli Stati Uniti tra pentole, padelle e biancheria da letto, al sicuro dagli occhi “degenerati” dei nazisti di Hitler. Picasso, Ernst, Man Ray e Magritte; comprò tutto per un totale di $40,000. Una somma enorme per l’epoca, ma ben spesa. Il suo coraggio incrollabile e la sua abilità nel contrattare diedero i loro frutti e i suoi acquisti di guerra rimangono il cuore della collezione inestimabile che galleggia sulla laguna veneziana oggi.

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La collezione di Peggy veniva prima di tutto. Aveva i suoi cani. Aveva i suoi figli: la sua Pegeen. Ma il suo lascito, e ciò che sapeva nutrire meglio, era la sua arte. Il Palazzo Venier è ora parte integrante di una città fin troppo ricca di tesori. Non fa molto per attirarti dentro. Le finestre nere con le grate si affacciano sul Canal Grande proprio come faceva Peggy con i suoi occhiali scuri da donna dello spazio. Ma una volta dentro, ogni dipinto, ogni scultura racconta la sua storia. Una stanza di Pollock; le sue gocce e schizzi forse non avrebbero mai adornato le pareti dei musei se non fosse stato per Peggy. Forniva all’artista uno stipendio mensile e lo aiutò a ospitare le sue prime mostre. Non c’è una linea di demarcazione tra galleria e camera da letto, con il sole veneziano e i suoi riflessi sull’acqua che fanno brillare la testata del letto di Alexander Calder.
Incoronata ultima Dogaressa al suo 80esimo compleanno, e ben prima di allora cittadina onoraria di Venezia, Peggy era una leggenda, una mangiatrice di uomini, una dipendente dal sesso e una gourmet dell’arte. Era tanto fischiata quanto corteggiata, schernita quanto apprezzata. Era più grande della vita. Una volta, quando andò troppo oltre con un’offerta irrisoria, Picasso la cacciò dal suo studio parigino con le parole: ‘Madame, troverà il reparto di lingerie al secondo piano.’ Eppure non si fermò lì; non c’erano no con Peggy e l’opera di Picasso rimane oggi un fiore all’occhiello della sua collezione. Aiutò a coltivare alcune delle più grandi menti del secolo e creò uno spazio bellissimo in cui esporre le loro opere. E all’accusa di essere egocentrica? Beh, come disse lei stessa famosamente ‘vivere a Venezia o anche solo visitarla significa che ti innamori della città stessa. Non rimane spazio nel tuo cuore per nessun altro.’