È una splendida mattina d’estate nel Ghetto di Roma. Al riparo dal caldo sotto cappelli di paglia, alcuni turisti sono in fila fuori dal forno kosher locale, mentre un paio di pensionati siedono su una panchina all’ombra, facendo commenti sui passanti. Un giovane cameriere si sta preparando pigramente a servire il pranzo, sistemando tavoli e sedie all’esterno. Di tanto in tanto, si sente il rumore dei bambini che giocano a calcio intorno alla fontana nella piazzetta vicina.
Ma oggi la Signora Mancini non è dell’umore giusto per apprezzare la gioia di vivere nel quartiere. Occhiali da sole oversize e diverse borse piene tra le mani, si è fermata sulla strada per il macellaio per lamentarsi della sua sfortuna. Di fronte a lei, un’amica annuisce sconcertata. La Signora Mancini non sta bene. La prova è nella sciarpa – sospetto un vintage Hermès carré – che si è legata intorno al collo come fosse un collare, nonostante il caldo. La Signora Mancini, rivela, ha preso un colpo d’aria!
Letteralmente significa “colpo d’aria” (anche se l’espressione è difficilmente traducibile) un colpo d’aria si manifesta con molteplici sintomi, tra cui: arrossamento degli occhi, dolore alle orecchie, congestione nasale, mal di gola, contrazioni muscolari, dolore al collo o alla schiena, mal di testa, indigestione, morte del primogenito.
Ogni anno, con l’arrivo dell’estate, le alte temperature registrate in tutta la penisola italiana ci costringono a trovare sollievo in correnti d’aria e ventilatori, generando flussi d’aria fredda che hanno terribili conseguenze sui nostri sistemi. Migliaia di italiani sono esposti a questa insidiosa malattia, che rimane inspiegabilmente sconosciuta alle persone che vivono oltre i nostri confini.
Un torcicollo, noto anche come cervicale, è la peggiore manifestazione di un colpo d’aria e deve essere evitato a tutti i costi.
Per inciso, questo potrebbe anche spiegare la passione degli italiani per le sciarpe e l’abbigliamento in generale. Non è che siamo alla moda. Siamo solo ipocondriaci.
In obbedienza agli insegnamenti segreti tramandati dal nostro matriarcato – in una parola: nonna – siamo cresciuti con il sospetto verso qualsiasi fonte di aria fredda. In particolare, la sua combinazione con sudore e umidità è nota per essere fatale.
In ogni parco italiano, le nonne si riuniscono da generazioni per rivolgersi ai loro nipoti con il mantra: “Non correre che sudi e ti ammali” (Non correre, altrimenti suderai e ti ammalerai!). Seguendo una logica simile, non c’è da meravigliarsi se la temperatura nelle palestre italiane in estate si assesta intorno a quella di Kuala Lumpur durante un’ondata di calore.
Una menzione speciale va fatta per l’uso dell’aria condizionata.
Come fieri discendenti di Enea, tendiamo a guardare con disprezzo le scoperte moderne dei comuni mortali come l’asciugatrice, il cambio automatico e l’aria condizionata.
Anche se abbiamo da tempo capitolato all’inesorabile progresso dell’innovazione tecnologica, e oggi la maggior parte degli uffici pubblici italiani ha installato l’aria condizionata, alcuni dubbi rimangono.
Fonti affidabili di informazioni sull’argomento non erano disponibili al momento della stesura, ma sono abbastanza sicuro che la causa più comune di conflitto sul posto di lavoro in Italia sia su come gestire l’aria condizionata.
E come potresti mai chiedere a quel tassista – con il naso che cola e un maglione di lana addosso, anche se siamo in pieno agosto – di accendere l’aria condizionata? Soffri, e suda, in silenzio.
La paranoia estiva italiana, ovviamente, non si limita alle correnti d’aria, ma include anche tipicamente animate discussioni sul tempo consigliato per mangiare prima di fare un tuffo nei nostri bellissimi mari. Da ex-bagnino con un disturbo d’ansia, capisco benissimo questa preoccupazione, soprattutto considerando l’abitudine di alcuni italiani di farsi delle mangiate pantagrueliche in spiaggia. Come colpo d’aria, la paura di una congestione è un altro flagello delle estati italiane. Mentre la preoccupazione è seria, nel tipico stile italiano, abbiamo tutti opinioni diverse su questo, e agiamo di conseguenza.
Un anno, da piccolo, sono andato al mare sia con mia mamma che con mia nonna, ognuna delle quali aveva delle idee ben precise sulla questione.
Mia nonna, una tradizionalista militante, sosteneva la regola delle 3 ore d’attesa dopo pranzo.
All’estremo opposto, mia mamma, che ricordava fin troppo bene il fastidio di poter entrare in mare solo quando tutti i suoi amici erano già a casa a cenare, ha sempre sostenuto che il momento migliore per fare il bagno è subito dopo pranzo, prima che inizi la digestione.
Seguendo il più rigoroso metodo Montessori, entrambe insistevano nel testare le loro teorie su di me.
L’anno seguente siamo andati in montagna a fare escursioni.