en
Cultura /
Lifestyle /
Viaggi /
Veneto /
Venezia

Panorama dall’Altana: Godersi Venezia dall’Alto

“Qualsiasi veneziano ti direbbe quanto sia rivoluzionario avere un’altana“.

La prima volta che ho sentito la parola altana è stato a una riunione di famiglia a cui era invitata mia zia. Ha lavorato a Venezia tutta la vita e si era fatta un mix eclettico di abitudini e detti, con un modo di parlare un po’ diverso che suonava tipicamente insulare e molto diverso dal nostro originale dialetto.

Aveva anche fatto qualche conoscenza locale e, con questo, inviti a fare cose tipicamente veneziane come bere un caffè su un’altana di sabato pomeriggio. “La mia amica Simonetta ha questo posto che dà su Campo San Sebastiano… è l’ideale, davvero. Ti prendi la brezza che viene dal Canale della Giudecca e una vista sui tetti di Dorsoduro. Non so come si possa vivere a Venezia senza una.”

“Cos’è un’altana?” mi ricordo di aver pensato. La parola suonava esotica e allettante, con un che di proibito. Che, ripensandoci, non era del tutto sbagliato.

Con strutture principalmente in legno e pietra, le altane non sono altro che terrazze messe sopra un tetto – ma non chiamarle terrazze sul tetto, eh! – con dei lati tipo balaustre e dei piccoli piedi di pietra che le tengono ancorate all’edificio. Poi, la struttura base può essere personalizzata e abbellita con ogni tipo di pergolato e soluzione ombreggiante, oltre a panchine, tavoli, luci, cuscini e via dicendo. Accessibili dalla soffitta tramite una ripida scala a chiocciola, compensano la mancanza di un giardino o di una vera terrazza e risolvono la mancanza di privacy che si può sentire vivendo così vicini ai vicini dall’altra parte della calle.

Facciamo un salto avanti di un paio di decenni ed eccomi qui, residente a Venezia io stessa, a pensare alla frase finale di mia zia mentre sto seduta su una panchina a Cannaregio, col mento alzato a fissare una bellissima altana appollaiata in cima a un palazzo di tre piani, ombreggiata dalle foglie di un glicine tutto nodoso. Come si vive senza un’ altana a Venezia? La risposta onesta è che si vive con un po’ d’invidia per chi ce l’ha. Ma anche, facendosi amici quelli che ce l’hanno, e aspettando quell’invito speciale che prima o poi arriverà. In fondo, il mondo è piccolo.

La bellezza e l’unicità di Venezia derivano, almeno in parte, dai suoi limiti. Pensa alla sua stessa esistenza come città costruita su pali, o al fatto che la puoi navigare solo in barca o a piedi. Pensa anche a quanto sia fitta e labirintica la sua struttura. Tutte queste caratteristiche la rendono speciale e allo stesso tempo richiedono un alto livello di ingegno per renderla vivibile. Con le aree verdi così poche e sparse; con gli spazi esterni privati così costosi e difficili da trovare; e con i metri quadri così scarsi in generale, l’unico modo per i veneziani di avere il loro fazzoletto di cielo—il loro posticino grande come un fazzoletto per guardare le stelle—è salire più in alto.

Il nome altana viene dalla parola latina altus, che significa—appunto—alto. Altane sono a Venezia da centinaia di anni, e le prime testimonianze della loro presenza risalgono al 1200. Durante il Rinascimento, artisti locali come Carpaccio e Bellini le includevano nei loro dipinti religiosi ambientati in città, mentre Canaletto non mancava mai di ritrarle nelle sue vedute ricche di dettagli della Serenissima al culmine del suo splendore. Migliaia di esse svettavano sugli edifici di Venezia, alcune con funzione di svago, mentre altre venivano usate per scopi difensivi durante le molte invasioni che la città ha dovuto sopportare. Oggi, centinaia sono ancora visibili, alcune sopravvissute alla prova del tempo mentre altre nuove e luccicanti si uniscono alla squadra.

Qualsiasi veneziano ti direbbe quanto sia rivoluzionario avere un’altana è. Infatti serve a così tante cose – aspetti della vita che altrove potrebbero sembrare banali, ma che a Venezia sono nient’altro che piccoli lussi.

Lo scopo principale è ciapar un fià de aria (prendere una boccata d’aria fresca) o ciapar el fresco (rinfrescarsi) durante le sempre più frequenti soffocanti serate estive in cui non si trova sollievo all’interno delle case veneziane centenarie con pareti di pietra e mal isolate. Poi c’è l’abbronzatura e il prendere il sole. E ancora: godersi un po’ di sole invernale quando la casa è ancora gelida, oziare all’aperto, leggere un libro o schiacciare un pisolino, prendere una boccata d’aria, ammirare un tramonto estivo, godersi una brezza esclusiva dei posti in alto, stendere il bucato, coltivare piante e fiori, guardare i fuochi d’artificio del Redentore. Infine, altane sono proprio il posto perfetto per invitare gente—per un caffè, un prosecco, un aperitivo tranquillo, una fetta di anguria , quel che vuoi.

L’aspetto sociale dell’altana è forse il più ambito e apprezzato da chi non ne ha una, ma viene invitato a unirsi. Henry James una volta definì Venezia “il deposito delle consolazioni” – il posto ideale, cioè, per chiunque si senta deluso dalla vita. “I deposti, gli sconfitti, i disincantati, i feriti, o anche solo gli annoiati, sembrano aver trovato lì qualcosa che nessun altro posto poteva dare.”

Se Venezia è il deposito delle consolazioni, allora l’altana dev’essere proprio il luogo dove queste forme di consolazione avvengono quotidianamente. Non c’è nulla che un tramonto estivo goduto dalla prospettiva privilegiata di un tetto non possa sistemare, almeno momentaneamente.

Gli ultimi due mesi hanno portato un sacco di momenti sull’altana che hanno reso l’estate più quintessenzialmente tale. Lassù, circondato da amici, con una bottiglia di vino fredda coperta di goccioline, bicchieri che riflettono la luce calda del primo pomeriggio, gabbiani che si chiamano l’un l’altro tutt’intorno, la luna appena sorta, una leggera brezza che soffia dalla laguna, ho spesso avuto questa sensazione di liberazione e la sensazione che nulla potesse mai andare storto. Non quassù almeno. Ecco perché, una volta che sei su un’ altana, è così impossibilmente difficile andarsene.