Quando penso a Napoli, mi immagino di perdermi nel centro storico, tra cassette di frutta colorate e panni stesi che svolazzano dai balconi. Penso a bermi una birretta all’aperto per le strade affollate, a mangiare street food buonissimo in un mercato chiassoso, e a visitare palazzi eleganti dalle facciate colorate sotto il caldo sole mediterraneo. Il traffico è un continuo ronzio, la città è viva, e io sono affascinato dalla sua personalità carismatica, dalla sua gente amichevole. Vedo che ciò che lega insieme tutti questi classici quadretti napoletani è un elemento specifico: la musica. Napoli e i napoletani son fatti di musica. Tanto che quando sono a Napoli, mi sembra di respirare musica, come se la città stessa fosse sul punto di cantarla a squarciagola.
La musica c’è sempre stata lì a Napoli – a volte parlata (grazie alla sua lingua melodica), a volte cantata (le famosissime serenate) o persino a volte messa in scena (melodramma, qualcuno?). La melodia si è sviluppata di pari passo con la società napoletana: un linguaggio usato per descrivere la città e la sua cultura. Come il magma vulcanico, la storia della musica napoletana è una parte sempre in fermento del patrimonio musicale italiano, grazie ai tanti musicisti che l’hanno resa così peculiare nel corso degli anni. (Ci sono Fernando De Lucia, Renato Carosone, e Enrico Caruso per citare alcuni classici, ma anche gemme synthpop non ortodosse come Hans & Romeo e banger Italo come Come Closer.)
Su questo groove, e non dovrebbe sorprendere, c’è stato un gran fermento ultimamente intorno al nuovo suono che esce da Napoli, che va sotto il nome di “Napoli Sound” e conta un bel numero di musicisti, etichette, produttori e DJ come suoi artisti. L’improvvisa fama del Napoli Sound potrebbe essere dovuta al miglioramento della qualità negli ultimi anni, o forse al fatto che questi dischi hanno un suono unico nel panorama musicale contemporaneo. Sebbene il suono sia vario e spazi tra molti generi, il Napoli Sound comprende un gusto per il ritmo e i beat, in particolare funk, soul, disco, afrobeat e reggae.

The members of Nu Genea: Massimo Di Lena on the left and Lucio Acquilina on the right.
Il nome più influente di questo gruppo è la band Nu Genea, famosa per il loro brillante disco Nuova Napoli e il prossimo “Bar Mediterraneo “””, che li ha resi famosi in ogni angolo del mondo per il loro suono tipicamente napoletano in cui ritmi afrobeat, influenze nordafricane, funk e disco convergono in groove ipnotici. La fama del duo ha aiutato una generazione di musicisti talentuosi e intelligenti a ottenere il riconoscimento che meritano, mostrando quanto sia scintillante la scena di Napoli e quanto sia figo il loro suono. Solo due nomi di questa scena energica sono Pellegrino & Zodyaco e Mystic Jungle, che possiede Periodica Records, produce musica sotto lo pseudonimo Rio Padice e suona nel supergruppo The Mystic Jungle Tribe.
Napoli, però, non è nuova a questa iniezione di groove: le radici del Napoli Sound risalgono all’Italia del dopoguerra, quando la città ospitava una delle più grandi basi militari NATO del Mediterraneo. All’epoca, era un luogo di scambio culturale tra soldati americani e napoletani. La classe operaia urbana era entusiasta di esprimersi, sperimentando con testi e generi musicali, e ha raccolto i suoni afroamericani lasciati dai soldati. Il risultato fu una musica straordinaria.
Tra gli anni ’70 e i primi anni ’80, Napoli ha definito un suono che è diventato un pilastro nella storia della musica italiana. Tra i tanti nomi che popolavano la scena, James Senese è uno dei pilastri del genere, mescolando il dialetto napoletano con il jazz-prog nei Napoli Centrale. Nel 1974, il batterista e percussionista Tony Esposito ha pubblicato un debutto in cui jazz e musica mediterranea si scontravano, creando un clash culturale a metà strada tra Miles Davis e il folklore napoletano che ancora affascina dopo 50 anni. È praticamente impossibile scegliere un solo disco del compianto, grande Pino Daniele, il cui saggio mix di blues, radici baleariche e napoletane l’ha reso famoso in tutto il mondo. Altrettanto importante è Tullio De Piscopo, il cui capolavoro del 1984 Stop Bajon è diventato un classico in ogni club del mondo.
Ciò che rende questi musicisti così importanti è che sono riusciti tutti a catturare le regole della musica africana e americana, fondendole con un gusto per l’eredità mediterranea, creando un suono che era innovativo e classico allo stesso tempo. Avvicinandosi agli anni ’80, il suono napoletano si è spostato lentamente verso coordinate puramente disco e funk, con i tanti riempipista di Pino d’Angiò, il grande Alan Sorrenti (la cui produzione di fine anni ’70/inizio ’80 è assolutamente notevole), e Eduardo de Crescenzo con il suo pop potenziato con funk e soul.
Dietro questi grandi nomi, il suono napoletano era rappresentato anche da un oceano di musicisti meno conosciuti, a volte dimenticati, spesso brillanti, che hanno pubblicato oscuri e rari brani disco-funk per poi scomparire misteriosamente. È impossibile menzionarli tutti, quindi citerò solo alcuni che mi piacciono particolarmente, come l’orecchiabile brano disco-pop Lingua Biforcuta, il bomba funk Guagliù, il mio assoluto preferito reggae Neapoligne Reggae, e l’esplosione funk di Tonica & Dominante. Grazie a un gruppo di musicisti appassionati (in particolare DNApoli con Famiglia Discocristiana e i sopracitati Nu Genea), sono state pubblicate due compilation (una nel 2018 e una nel 2021) con le migliori tracce rare di disco, boogie e funk fatte a Napoli. Le compilation si chiamano “Napoli Segreta vol.1 “e “Napoli Segreta vol.2”: entrambe sono piene di brani che fanno ballare. Prova a smentirmi mentre ascolti “ Calypso“di Tony Verde, “”Sasa di ORO o “Napule Canta E More“” di Donatella Viggiano.
Il nuovo suono napoletano è il fiore all’occhiello di una città che ha le sue radici saldamente nel passato, ma è anche un genere che parla il linguaggio contemporaneo della musica internazionale. Penso che uno dei motivi per cui il suono napoletano è diventato così popolare recentemente sia per la sua immediata giovialità e freschezza. Il suono è un inno contro i tempi bui che stiamo vivendo attualmente. Porta l’inarrestabile e viscerale spontaneità della vita, radicata alla nostra primordiale necessità di ballare e convivialità.