Di tutte le location italiane per girare, Milano non è esattamente la prima che viene in mente.
Rispetto a Roma, la sua eterna rivale, Milano è di solito considerata sgradevole e non degna di essere filmata. Dopotutto, ci deve essere un motivo per cui Hollywood ci ha regalato “Vacanze romane”, e mai una vacanza milanese.
Ma anche se è vero che Milano potrebbe non essere così da sogno come la capitale, la prima sicuramente supera la seconda in gusto e stile.
Queste differenze culturali, insieme a un clima meno clemente (dimentica il Mediterraneo!), si riflettono anche nelle strutture sociali. Mentre Roma è ancora una roccaforte dell’aristocrazia, Milano è una città profondamente borghese, in cui la classe alta – probabilmente la più raffinata del paese – continua a ricordarsi che la sua fonte di ricchezza proviene dalla produzione e non da titoli ereditati.
Probabilmente l’unica vera città globale in Italia, sicuramente l’unica a sentirsi “europea”, Milano è stata il cuore industriale e finanziario del paese per decenni. Negli anni ’50 e ’60, quando il boom economico ha prodotto ancora più disparità sociale tra Nord e Sud, la città è diventata una promessa di vita migliore per molti. E lo è ancora oggi, per alcuni.
La “”giargiana, un’espressione in dialetto milanese che indica chiunque non sia nato a Milano, si è trasferita in città en masse, portando con sé le loro storie, tradizioni e drammi personali. Un terreno fin troppo fertile per sceneggiatori e registi.
In Rocco e i suoi fratelli (1960)) di Luchino Visconti, Milano è presentata come un simbolo agrodolce di riscatto sociale.
Un giovane e bellissimo Alain Delon interpreta Rocco, uno dei cinque figli di una famiglia povera che emigra da un villaggio del sud Italia a Milano. Il film è strutturato in cinque episodi, ognuno che segue un fratello diverso, rivelando le loro fragilità, speranze e ambizioni mentre trovano la loro strada nella grande città.
Rocco e i suoi fratelli tratta magistralmente temi esistenziali come il conflitto tra preservare l’unità familiare e seguire le ambizioni personali, la rivalità tra fratelli, la lotta per adattarsi alla vita urbana e alla cultura maschilista. Come se crescere non fosse già abbastanza difficile.
Anche se Miracolo a Milano (1951) di Vittorio De Sica non ha resistito alla prova del tempo, questo mix di neorealismo e fantasia merita di essere menzionato. Ancora una volta, Milano è scelta per mettere in scena una storia di differenze di classe sociale, raccontando la storia di un gruppo di barboni che si confronta con la classe alta.
Girato vicino alla stazione di Lambrate della città, il film fu mal accolto sia dai liberali che dai conservatori. Un risultato deludente, soprattutto considerando l’enorme costo che avevano comportato i molti effetti speciali. Qualche consolazione arrivò anni dopo, però. Si dice che Gabriel García Márquez abbia citato il film come fonte di ispirazione per il suo stile di scrittura del realismo magico; e il finale del film, in cui i senzatetto lasciano Piazza del Duomo volando su scope, ha notoriamente ispirato la corsa in bicicletta volante di Steven Spielberg in E.T.

View from the top of the Duomo
Dalla lotta di classe a tumulti più intimi: Milano fa da sfondo alla crisi coniugale messa in scena in La Notte (The Night, 1961). Il film segue una coppia borghese, interpretata da Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau, per un’intera giornata e notte, fino al mattino seguente. Senza apparentemente avere uno scopo reale se non quello di fuggire dalla noia, la coppia si muove tra i circoli intellettuali e dell’alta società della città, evitando di parlarsi veramente per tutto il film di due ore.
L’unico episodio della “”trilogia dell’incomunicabilità di Antonioni ambientato nel Nord Italia, La Notte presenta molti luoghi familiari, incluso il Pirellone di Gio Ponti, uno dei simboli della città, che era appena stato completato al momento delle riprese.
Io sono l’amore di Luca Guadagnino (2009) incarna perfettamente lo spirito più moderno della città. Questo film elegante e visivamente impeccabile segue le dinamiche di una ricca famiglia di industriali che vive nella Villa Necchi Campiglio, un capolavoro dell’architettura milanese che è diventata una Mecca per gli instagrammer da quando il film è uscito.
Io sono l’amore regala bellissime riprese in tutta la città: la sequenza di apertura con un paesaggio urbano innevato, Tilda Swinton che vaga sulla cima del Duomo in cerca di conforto dalle norme sociali, e una scena drammatica ambientata nell’impressionante Cimitero Monumentale della città.

Milan's train station
Un assoluto capolavoro della commedia italiana, Totò, Peppino e la… malafemmina (Totò, Peppino e la… malafemmina, 1956) è il precursore di tutti i film successivi che prendono in giro le differenze culturali tra il sud rurale e il nord industrializzato d’Italia.
L’eroe nazionale Totò e Peppino De Filippo interpretano due proprietari terrieri poco istruiti del sud Italia. Quando il loro nipote s’innamora di una ballerina di rivista e la segue a Milano, i due decidono di viaggiare anche loro in città, nel tentativo di fermare la relazione che considerano inappropriata. Scendono alla Stazione Centrale di Milano indossando cappelli e cappotti di pelliccia perché “a Milano fa freddo”, portando con sé cibo da casa: pasta per un esercito, salumi, formaggio e un paio di galline vive.
In una delle scene più famose del film, arrivano in Piazza Duomo, scambiano la cattedrale per il municipio e confondono un vigile urbano con un generale austriaco, al quale coerentemente tentano di parlare in francese.
Lotte sociali, crisi personali, infedeltà; ma anche glamour assoluto, raffinatezza culturale e sofisticatezza. Milano può prendersi tutto.
Perché, come anche Ursula von der Leyen ci ha recentemente ricordato, Milan l’è on gran Milan.