“La RAI, Radiotelevisione Italiana, inizia oggi il suo regolare servizio televisivo di trasmissione.”
È domenica 3 gennaio 1954 e gli italiani assistono alla nascita del servizio televisivo nazionale…o meglio, alcuni di loro. Quelli che vedono effettivamente il momento storico sono pochissimi: il costo degli apparecchi televisivi è massicciamente proibitivo.
Per ovviare al problema, la nostra proverbiale inventiva italiana trasforma il guardare la TV in un’attività sociale: bar e case di amici con un televisore diventano punti di incontro per interi quartieri.
Il miracolo economico italiano porrà presto rimedio a questa situazione, avviando una diffusione capillare dei televisori entro una decina d’anni. Nei primi dieci anni di vita della RAI, gli abbonamenti al servizio passano da ventiquattromila nel 1954 a oltre sei milioni nel 1965.
Il primo programma in assoluto a essere trasmesso sull’unico canale disponibile è “Arrivi e Partenze”, per il quale un allora poco conosciuto Mike Bongiorno intervista grandi personaggi, dagli scrittori agli attori. È ancora famosa l’intervista al politico Giulio Andreotti, perché Bongiorno iniziò la discussione senza nemmeno sapere chi avesse di fronte.
La televisione rende tutto e tutti più vicini, anche se non li si riconosce. “Il servizio televisivo pubblico è nato negli anni Cinquanta in Europa per essere un complemento dell’istruzione pubblica,” osserva il critico televisivo Carlo Freccero. E la RAI (acronimo di “Radio Audizioni Italiane”, un omaggio al passato dell’azienda come emittente radiofonica) ha preso sul serio quel compito.
“La televisione doveva migliorare l’educazione utilizzando gli strumenti culturali dell’epoca: soprattutto cinema, letteratura e arte. La RAI unificò l’Italia dal punto di vista linguistico, facendo sì che la lingua italiana venisse utilizzata in tutta la penisola,” continua Freccero.
Ne è una prova il programma “Non è mai troppo tardi,” che alla fine sconfigge l’analfabetismo insegnando a quelli “rimasti indietro” a scrivere e leggere. Con i suoi vari adattamenti, la trasmissione divulga i classici della letteratura a chi non legge i libri. I primi sceneggiati sono girati in diretta con i migliori attori presi in prestito dal Teatro Italiano, gli unici in grado di interpretare testi così difficili senza interruzioni.
Mia nonna, che ha lasciato il sistema educativo alle scuole medie, era una strenua sostenitrice della TV come strumento didattico: sosteneva con orgoglio di aver imparato la storia moderna grazie ai suoi programmi. Era diventata un’esperta della storia dell’Impero austro-ungarico grazie alla trilogia di film “Sissi”, “Sissi – La giovane imperatrice” e “Sissi – Anni fatidici di un’imperatrice” (tutti interpretati da Romy Schneider), che conosceva a memoria e che non perdeva occasione di rivedere.
Una di queste occasioni si presentò in un pomeriggio di pioggia mentre ero proprio a casa sua. Quando io, un impertinente bambino di sette anni, osai contestare l’accuratezza storica dei dialoghi di Schneider, la nonna, infastidita, mi portò nell’altra stanza (il suo appartamento aveva tre televisori, per ogni evenienza), accese l’apparecchio su “Psycho” di Alfred Hitchcock per intrattenermi e tornò alla sua Sissi. Il fatto che in seguito io sia diventato un appassionato di film horror e non di serial killer è puramente casuale.
A parte le produzioni straniere, la RAI si assicurò il contributo di alcuni dei migliori intellettuali, scrittori e registi italiani per la sua Golden Age dell’edutainment.
Anche l’intrattenimento puro era di alta qualità, fatto con eleganza e soprattutto con arguzia. In un’industria aggressivamente maschilista, personaggi del varietà come Raffaella Carrà e Mina riuscirono a brillare, sostituendo nell’immaginario popolare le star di Hollywood.