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L’ultimo Abitante Rimasto Nella Città Fantasma Calabrese Di Pentedattilo

“Sottolinea che l’afflusso di turisti spesso non riesce a catturare il vero spirito della sua vita quotidiana.”

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.

“Ciao-mi-chiamo-Ornella-scrivo-per-una-rivista-e-vorrei-raccontare-la-tua-storia.” C’è un momento di silenzio. Aspetto che risponda. Comincia a parlare – tiro un sospiro di sollievo – e, come se la mia velocissima presentazione non fosse mai esistita, riprendo a camminare tra il soggiorno e la cucina, tenendo con una mano il telefono e con l’altra aprendo il coperchio della moka per controllare il caffè. Nel frattempo ascolto.

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Solo una persona – e occasionalmente alcuni artigiani – vive nel borgo fantasma calabrese di Pentedattilo, il cui nome significa “cinque dita” per la somiglianza alle montagne circostanti che sembrano formare una mano; Pentedattilo sembra essere precariamente appollaiato sul suo palmo.

Dati i resti fatiscenti, è difficile credere che Pentedattilo un tempo fosse un luogo frequentato. Importante base militare greca nel VII secolo a.C., poi roccaforte commerciale romana, Pentedattilo è un borgo con parecchi fantasmi: è famoso per il brutale massacro della famiglia Alberti, marchesi della città alla fine del 1600, per mano della vicina famiglia regnante, gli Abenavoli, a causa di un interesse amoroso andato storto. La leggenda narra che le urla della famiglia risuonano tra le rocce quando si alza il vento.

Ma non furono omicidi o misteri a distruggere la città, bensì una serie di terremoti, il più devastante dei quali avvenne nel 1783. Seguì un significativo calo della popolazione, che portò al completo abbandono negli anni ’60, e fu solo negli anni ’80 e ’90 che vari artisti e artigiani provenienti da tutta Europa si unirono nel tentativo di far rivivere e ringiovanire la città.

Photo courtesy of Michele Canino

Raggiungere il borgo è semplice: 10 minuti di macchina lungo la strada che sale verso l’entroterra dalla cittadina costiera di Melito di Porto Salvo, e sei al parcheggio. Da lì, si procede a piedi – è necessario essere in buona forma – su per la ripida montagna fino al borgo. La mia prima visita è stata lo scorso novembre, non era ancora del tutto inverno in Calabria – nemmeno autunno, in realtà – con la temperatura che si aggirava intorno ai 18℃. Dal cielo grigio opaco veniva giù una pioggia leggera, e le montagne rocciose rilasciavano il profumo di erba e terra umide.

La maggior parte dell’attività in città si svolge nei pochi negozi che vendono prodotti locali; ho fatto un giro da Le Calamite di Pentedattilo di Giulio, il laboratorio di intaglio del legno e saponi fatti a mano, e dalla Bottega Dell’Arte di Daniela, specializzata nella lavorazione del macramè e di arazzi murali: il loro guadagno proviene dai viaggiatori in cerca di un’avventura lontano dai luogi più turistici.

Circa trent’anni fa, una giovane donna, la mia intervistata – chiamiamola Chiara – cercava la stessa cosa. Rimase così affascinata dal borgo che abbandonò la vita cittadina per diventare contadina e pastora a Pentedattilo, ora l’unica residente a lungo termine della città. Anche se non posso incontrarla di persona, mi sento immediatamente a mio agio quando la sua voce, delicata e rassicurante, risponde al telefono.

La nostra conversazione non sembra un’intervista, ma una chiacchierata amichevole che allevia parte della mia nostalgia per la Calabria. “Avevo un’amico in Calabria che continuava a spingermi a visitare questo villaggio”, racconta Chiara. “Un giorno ho deciso: ‘Va bene, andiamo a vedere questo posto!’ Subito dopo la visita, sapevo che dovevo trasferirmi qui.” Trovò una casa in affitto per sole 20.000 lire al mese (qualcosa come 10 euro), un posto così rudimentale da non avere acqua corrente, un bagno e nemmeno una serratura alla porta. “Ho usato un laccetto di stoffa per chiuderla. Dormire con la porta praticamente aperta era come riporre la propria fiducia nel mondo”, ricorda.

Photo courtesy of Ornella Martino

“Allora, le mie esigenze erano semplici. Conoscevo le erbe selvatiche e frequentavo splendidi fiumi fiancheggiati da zone rigogliose e incontaminate. Non c’era il rumore delle auto… beh, non c’erano macchine!” mi dice. “Ora, purtroppo, i rifiuti e la plastica rovinano il paesaggio. A quei tempi, riciclare era uno stile di vita; nulla veniva sprecato. Chi ti portava da mangiare o da bere ti chiedeva sempre indietro contenitori e bottiglie”.

Le chiedo cosa rende Pentedillato così speciale rispetto agli altri borghi come questo della Calabria, che, di questi tempi, sono una dozzina. “Camminando per questi vicoli, sei abbracciato da una storia quasi tangibile. L’architettura semplice ma serena parla più forte delle parole”, spiega. “È un’oasi di calma, un rifugio rilassante dal caldo o dal freddo. È un luogo di bellezza.”

Questo non vuol dire che la sua vita sia fatta di isolamento. Mi dice che non si è mai sentita sola e che cerca di costruire una comunità con le persone nei borghi e nelle città circostanti dove ha lavorato per vivere. Il risultato è una rete di amici in tutta la regione. Scopriamo addirittura di avere anche amici in comune – giovani artigiani e artisti che lavorano per contribuire alla regione e che sono figli/figlie di suoi vecchi amici!

Dopo mezz’ora di chiacchierata, Chiara esprime la sua preoccupazione per le conseguenze di una maggiore esposizione. Vari creators e giornalisti l’hanno contattata, curiosi della sua vita da “locale”. Se da un lato l’attenzione dei media ha dato una spinta alla sua piccola impresa – ospita i viaggiatori nella sua casa, offrendo loro un assaggio della vita a Pentedattilo – ha anche trasformato il suo borgo in un’attrazione turistica, portando sia vantaggi che svantaggi. Sottolinea che l’afflusso di turisti spesso non riesce a catturare il vero spirito della sua vita quotidiana.

A Sicilian local at the market; Photo courtesy of Ornella Martino

È una preoccupazione condivisa da molti a livello globale, non solo da quelli di posti piccoli come Pentedattilo. La propensione a vivere destinazioni “come la gente del posto” è una tendenza ormai da anni, con persone che cercano tour guidati da gente del posto, ristoranti frequentati da gente del posto, alloggi i cui proprietari sono persone del posto. Oggi le tipiche attrazioni turistiche sono spesso disprezzate ed essere etichettati come “turisti” è praticamente un insulto. E con il numero di viaggi globali sempre più in aumento, è difficile capire quali spazi appartengono alla gente del posto, quali ai turisti, e se questa distinzione debba essere comunque fatta.

Le sfumature di un luogo emergono veramente solo con il tempo; ci vuole tempo per sapere quali angoli offrono le viste migliori, per sapere quale gelateria serve i migliori gusti alla frutta e quali i migliori gusti cremosi, per sapere quali strade evitare nelle ore post-lavoro. Visitando un posto non vivremo mai la stessa esperienza che avremmo vivendo lì, e va bene. Ciò che possiamo fare, tuttavia, è sostenere le realtà locali, patrocinare le aziende di famiglia e i luoghi che non ricevono l’attenzione che meritano, visitare i luoghi che arricchiscono la vita locale ma necessitano del sostegno dei visitatori, e farlo consapevolmente e rispettosamente.

Prima di riattaccare Chiara conclude: “C’è stato un tempo in cui guardavi il parcheggio vuoto e ascoltavi il silenzio”.

Photo courtesy of Ornella Martino

Elegante ristorante dalle pareti blu con sedie arancioni, tovaglie bianche, opere d'arte, specchio dorato e vista sul bar. Arredamento caldo e classico. Elegante sala da pranzo con pareti blu, specchio dorato e poster d'epoca. Sedie arancioni su tavoli rivestiti di bianco. Presenti i loghi Helvetia e Bristol.

Pentedattilo

Le Calamite di Pentedattilo

Bottega Dell Arte