Ho trascorso gli ultimi anni a recuperare un ampio archivio fotografico dell’Italia, scattato tra gli anni ’30 e ’90 da mio prozio, Gianfranco Torossi. Presi insieme, formano una lunga e casuale testimonianza di un paese in movimento, non attraverso la sua storia ufficiale, ma attraverso la vita quotidiana che si è svoltaParallelamente ad essa.
Torossi, nato a Roma nel 1921, era un fotografo amatoriale e un avido collezionista di macchine fotografiche. Iniziò a scattare da ragazzo, dopo che suo padre gli regalò la sua prima macchina fotografica a tavola, nascosta sotto un tovagliolo. Da allora in poi fotografò incessantemente: lunghe estati sulla costa laziale, primi amori, amici d’infanzia e una città che scivolava nel fascismo e correva verso la seconda guerra mondiale. Durante la guerra continuò a fotografare: addestramento di artiglieria, commilitoni, il movimento del suo reggimento verso nord. Non si fermò nemmeno quando, fatto prigioniero dopo l’armistizio, fu internato in un campo di lavoro nella Germania nazista.
Dopo la guerra, tornò a Roma e a una convenzionale carriera borghese come funzionario presso la Banca Commerciale Italiana. Le macchine fotografiche rimasero con lui. Ha registrato la ricostruzione e il boom economico, le contraddizioni e le proteste degli anni ’70, l’edonismo degli anni ’80 e la Roma sempre più cosmopolita degli anni ’90, sempre come un dilettante con più occhio per i piccoli momenti che per lo scatto “wow”. In quanto tale, il suo archivio è pieno di viaggi di famiglia e storie d’amore, colleghi e passanti sconosciuti, opere pubbliche, musei, mercati delle pulci, viali; sei decenni di vita in Italia mentre si muoveva velocemente e cambiava violentemente.
Ciò che emerge è un ritratto intimo di un’Italia borghese, ormai in gran parte scomparsa, vista attraverso gli occhi di un uomo borghese.
Sono nato nel 1987, pronipote di Torossi, e sono cresciuto tra le sue macchine fotografiche, una vicinanza che probabilmente ha plasmato il mio percorso nella fotografia professionale. Dopo la sua morte, ho raccolto e conservato le centinaia di rullini conservati nella casa romana della nostra famiglia. Scorrendo metri di negativi, ho visto prendere forma un’Italia: un’immagine straordinariamente bella, spesso nostalgica, del Bel Paese che era una volta. Naturalmente, l’archivio contiene un po’ di tutto: l’impeccabile equilibrio dei passanti lungo il Lungotevere, le auto che si fanno strada attraverso le piazze, nudi ingenui e teneri, errori e fotogrammi bruciati.
Ora ho curato una collezione dall’archivio, selezionando composizioni e inquadrature che si allineano con il mio senso di fotografia documentaristica e ritrattistica. Da tempo condivido le immagini attraverso una pagina Instagram, Archivio Come Eravamo (@archivio_come_eravamo), pubblicandole gradualmente mentre ne stampo altre in camera oscura. Ecco una selezione di essi, di momenti vissuti e fotografati dal mio prozio Gianfranco.









































































