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L’Italia artificiale: I nuovi coraggiosi mondi di Roberto Beragnoli

“Ma quando si gioca con Firenze attraverso l’intelligenza artificiale, come faccio io con la mia arte, si può provocarla in modi nuovi…Nel mio lavoro voglio mostrare il lato reale di Firenze.”

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.

C’è una donna dai capelli chiari e dal profilo delicato che ha un aspetto molto familiare; è agli Uffizi e sta ammirando quello che sembrerebbe un busto romano in marmo. E poi c’è una barca bianca e rossa che galleggia sulle acque di Capri, con una coppia a guidarla che assomiglia ai vostri genitori negli anni ’70. Sono dipinti? Sono fotografie? Sono sogni?

Create con la tecnologia dell’intelligenza artificiale (AI), le immagini dell’artista concettuale Roberto Beragnoli sembrano scene di un album di famiglia: sono familiari, ma in qualche modo strane e al tempo stesso persino lontane. La serie “Journey to Italy”, in particolare, gioca sull’idea di memoria visiva utilizzando la tecnologia digitale per creare visioni di un’Italia alternative, che ne reimmaginano il dramma, il fascino, le idiosincrasie e le ironie attraverso l’esplorazione del “quotidiano”. La verità è che queste scene non esistono affatto. Sono collage di luoghi, volti e riferimenti visivi generati al computer che si trovano ovunque e in nessun luogo.

Originario di un piccolo paese chiamato Le Piastre (vicino a Pistoia) sulle dolci colline appena fuori Firenze, Beragnoli ha trascorso la maggior parte dei suoi anni formativi studiando e lavorando nella città stessa. È cresciuto con il mito degli artisti fiorentini del Rinascimento, con la percezione che trascendessero quasi la forma umana. Ancora oggi, artisti del calibro di Giotto, Masaccio e Leonardo sono punti di riferimento costanti che alimentano il fascino di Beragnoli per la cultura visiva della città, rimasta immutata per secoli. L’apparentemente improbabile combinazione di studi universitari in filosofia estetica e informatica è ciò che conferisce al suo lavoro quell’intrigante qualità multidimensionale: il suo approccio riflette una profonda riverenza per l’arte storica italiana, la bellezza e la tradizione ma, allo stesso tempo, il desiderio di provocare queste stesse tradizioni, di vedere una città come Firenze abbracciare l’innovazione e la progressione attraverso nuove idee e approcci al fare arte.

Naturalmente Firenze svolge un ruolo di primo piano nella serie “Journey to Italy”. In questa serie di opere,  Beragnoli ha esplorato gli Uffizi in modo approfondito, creando scene in cui il museo fa da sfondo sfocato e onirico. Anche le “persone” che si confrontano con l’arte sono sfocate, e ogni figura potrebbe essere sia una star del cinema che un vostro parente stretto. Il punto focale non è chi o cosa venga rappresentato fisicamente, ma piuttosto l’atmosfera distinta che Beragnoli ottiene in ogni scena: cattura un momento preciso nel tempo che è anche, in qualche modo, senza tempo. Evidentemente, la visione dell’artista vira nella rappresentazione di una Firenze alternativa alla “vetrina turistica” che spesso fa sì che la gente non rifletta sulla vera essenza filosofica e artistica della città, sulle idee di vita e di bellezza che esistono dietro la sua arte. (Oltre, naturalmente, alle code, ai malumori e a un’occhiata spesso superficiale alle cornici dorate quando finalmente si entra…).

“Con il mio lavoro voglio mantenere vivo il vero spirito degli artisti fiorentini. Gli artisti di cui vediamo i dipinti nei musei come gli Uffizi hanno cercato di scoprire qualcosa di nuovo nel loro approccio, hanno cercato di creare nuovi metodi, nuove soluzioni. Io sto cercando di fare la stessa cosa, con Firenze come soggetto protagonista, mostrata però attraverso un altro punto di vista”, dice Beragnoli.

Onestamente, quante volte abbiamo sentito le parole “Firenze” e “intelligenza artificiale” nella stessa frase? Firenze non è ricca di storia dell’arte, è la storia dell’arte. Stiamo parlando della città a cui si attribuisce la nascita del Rinascimento, la città che un tempo era il centro del mondo dell’arte occidentale e che ha avuto probabilmente la maggiore influenza nel plasmare la cultura visiva occidentale come la conosciamo oggi. Alla fine, con l’arrivo di Beragnoli e della tecnologia AI, prende improvvisamente vita un nuovo e inquietante regno di possibilità artistiche. Il suo processo rappresenta una sorta di Rinascimento moderno. L’uso della tecnologia digitale per creare nuovi coraggiosi mondi ha il potenziale per scuotere le tradizioni secolari nella creazione di immagini. Una Firenze contemporanea, liberata dalle sue fanfare storico-turistiche e ridotta alla sua essenza culturale? Per Beragnoli e altri giovani artisti che lavorano oggi in città, questa idea è a dir poco entusiasmante. Per altri, probabilmente, l’idea è terrificante.

“Se sei un artista contemporaneo che lavora a Firenze, devi capire che essa è una vetrina turistica; bella, ma pur sempre una vetrina. Non è un laboratorio o una scuola dove si possono necessariamente esplorare nuove idee nell’arte. Sembra che ci sia questo blocco ideologico e temporale che fa sì che la città sia resistente al cambiamento e non accolga nuove idee, nuove energie e nuova arte. Penso che Firenze sia vittima della storia, vittima della sua stessa eredità”, afferma Beragnoli, “ma quando si gioca con Firenze attraverso l’intelligenza artificiale, come faccio io con la mia arte, si può provocarla in modi nuovi. Si ha il controllo di cambiare cose che altrimenti non cambierebbero mai. Nel mio lavoro voglio mostrare il lato reale di Firenze”.

Image by AI artist Roberto Beragnoli

Per “il lato vero di Firenze” Beragnoli intende il vero spirito artigianale della città, la sua gente, persino i suoi segreti. La sua ispirazione artistica nasce dai ricordi dell’esperienza vissuta in città e nei dintorni, e ritiene che la vera anima di Firenze si possa trovare anche (o forse solo?) nei piccoli centri che la circondano, come Fiesole, Prato e Pistoia. Secondo Beragnoli, queste cittadine toscane contengono la vera essenza della città, senza l’isteria dei turisti e i piatti troppo costosi di pappardelle con ragù al cinghiale. Luoghi grandiosi come gli Uffizi sono ovviamente punti di riferimento fondamentali per Beragnoli, ma non dimentica qualcosa di semplice come Via Bolognese, una strada a soli dieci minuti dal centro della città che porta anche a Fiesole, oltre la collina. 

“Lì non c’è quasi nessuno. C’è il Giardino dell’Orticoltura e molta pace. Sei a Firenze, puoi vederla nella sua interezza dalla collina, ma immerso nella natura”, dice. Per Beragnoli, “Journey to Italy” è proprio questo: apprezzare la bellezza della vita attraverso nuovi modi di vedere “il quotidiano”.

La grande domanda allora è: come vengono effettivamente create queste opere d’arte?

Certamente non con colori a olio e un pennello “alla Giotto”. Indipendentemente dal fatto che Beragnoli stia evocando una folla mascherata e chiassosa al Carnevale veneziano o una coppia di pensionati abbronzati e vestiti di lino che muoiono di caldo in quello che sembra un ristorante di Amalfi-Positano-Sorrento, la tecnologia text-to-image è il modo in cui ogni opera prende vita. L’artista inizia con una descrizione testuale di una scena, un prompt iniziale che contiene informazioni su soggetto, stile, texture e colori; utilizza poi un software di intelligenza artificiale specializzato nel generare centinaia di immagini a partire dalla stessa descrizione, finché non ne trova una che lo incuriosisce. Manipola ulteriormente l’immagine selezionata, isolando parti diverse e applicando una nuova serie di istruzioni e di dati a ciascuna parte specifica, come in un collage. Sebbene questo processo possa sembrare in qualche modo casuale, Beragnoli ha fatto sua l’arte di utilizzare questa “tecnica rivoluzionaria” per catturare un momento specifico e fugace, per evocare un’atmosfera distinta o esplorare in modo più dettagliato un particolare racconto, un costume sociale o culturale. È qui che entrano in gioco la maestria e la sensibilità estetica dell’artista.

Le immagini di Beragnoli evocano nello spettatore un caleidoscopio disorientante di emozioni. A volte si ride per la loro ironica precisione (due nonne vestite con il loro abito di taffetà della domenica, che fermano il traffico durante la loro passeggiata); a volte si vuole piangere per il loro senso di nostalgia (un ritratto in ombra al tramonto di una seducente brunetta, che vi ricorda vostra zia napoletana da giovane, o l’amore perduto dell’adolescenza); altre volte ci limitiamo a fissare in una sorta di trance ipnotica, cercando di capire perché queste immagini sembrano essere più vere dei nostri ricordi, della reale esperienza che deriva dall’aver visitato l’Italia o dall’esservi nati e cresciuti.

“Di solito ci sono due tipi diversi di reazioni rispetto al mio lavoro: o le persone sentono una forte connessione e familiarità con i ‘ricordi artificiali’ che creo, o sono deluse, addirittura molto arrabbiate, quando si rendono conto che le mie scene rappresentano eventi e persone inesistenti”, condivide l’artista.

Roberto Beragnoli sta creando nuovi e coraggiosi mondi, mondi che tecnicamente non esistono in senso fisico, nonostante la riluttanza a crederlo. La sua serie “Journey to Italy” presenta un modo alternativo di vedere il Paese più raccontato, più fotografato e più amato al mondo come la somma di molte prospettive possibili allo stesso tempo. Ma forse l’aspetto più potente del lavoro di Beragnoli è il modo in cui permette a un’immagine generata al computer, inesistente e tecnicamente “de-umanizzata”, di evocare qualcosa di così profondo e personale in ogni spettatore; una moltitudine di emozioni, impulsi e curiosità basati sulla profondità dei nostri ricordi e delle nostre esperienze vissute.

“In definitiva, credo che l’arte sia proprio questo: esplorare mondi alternativi con luoghi e persone di fantasia. Nel caso del mio lavoro, tuttavia, ci si può sentire più legati a queste immagini che, ad esempio, a un dipinto, perché si percepisce qualcosa di familiare in esse, qualcosa che potrebbe davvero appartenere a noi.”