Sto aspettando che arrivi il momento della telefonata con Stefano Anselmo, lo storico truccatore di Mina Mazzini, “il maestro”, come lo chiamano i colleghi e gli allievi dell’omonima accademia di make-up di cui è fondatore e direttore creativo. Aspetto e, intanto, faccio scorrere sullo schermo le immagini delle copertine degli album di Mina.
Sullo sfondo, la voce del suo fotografo ufficiale, Mauro Balletti, racconta: “Abbiamo sempre giocato e giochiamo ancora insieme—il grande illustratore Gianni Ronco, io [Mauro Balletti], e il leggendario truccatore Stefano Anselmo—sotto la direzione di Mina, che scatena la creatività di tutti quelli che collaborano con lei in qualsiasi direzione. Il suo viso si trasforma proprio come ha sempre sperimentato con la sua voce: provando toni sempre nuovi e diversi, esplorando ogni genere musicale. Allo stesso modo, sperimentare con il suo viso è un gioco meraviglioso che va avanti da quasi cinquant’anni.”

Il volto di Mina è come una tela bianca, dove il trucco, più che essere usato per abbellire, parla, diventando un mezzo narrativo e drammatico. I look di makeup sempre in evoluzione creati su e per lei—eclettici, d’avanguardia, teatrali e pittorici—spaziano tra generi e stili, traendo ispirazione dal cinema muto all’Antico Egitto, da Leonardo a Picasso. È una matrioska di idee distillate in sfumature, drammatici chiaroscuri—come l’iconico makeup ispirato alla Gioconda per il Olio cover—and bold graphic elements, such as the Cubist-influenced design of Del mio meglio n.7. Eppure, per quanto vari, hanno tutti un filo conduttore: la capacità di esaltare l’intensità naturale dei suoi occhi e del suo sguardo, già straordinari di per sé. E in questa infinita galleria di volti di Mina sempre mutevoli ma istantaneamente riconoscibili, vediamo la visione e l’arte di Stefano Anselmo.
Quando il telefono inizia a squillare, sono già piena di curiosità e di domande per Anselmo: sul suo lavoro, su come è nata ed è evoluta la collaborazione decennale con Mina, ma soprattutto, su come sono nati i trucchi iconici, dalla rimozione delle sopracciglia alle mezzelune sugli occhi. Creati tanto per servizi fotografici e performance che, poi, per le copertine dei suoi album, questi look non solo hanno dato vita ad alcune delle immagini che hanno fatto la storia della discografia e della musica, ma continuano a ispirare designer, artisti e performer dei giorni nostri. “ Uno dei tratti distintivi di Mina è proprio la sua proiezione verso il futuro, il suo essere sempre se stessa senza mai essere uguale a sé, un’icona che fa la moda e la trascende.” dirà Anselmo.
Quello che segue è un dialogo che tocca ispirazioni, aneddoti e, soprattutto, una storia di intesa, grande fiducia e stima reciproca.

Mina in studio with Stefano Anselmo
Ho letto che il primo incontro con Mina è avvenuto attraverso Mauro Balletti, che già all’epoca era il suo unico fotografo autorizzato. Me ne racconti?
Intorno alla fine degli anni ‘70, Balletti era alla ricerca di un nuovo truccatore per un servizio. All’epoca lavoravo da Geneviève, a Milano, in zona Montenapoleone. Sua sorella, Lia, lo frequentava e gli parlò di me. Poco dopo mi chiamò per un primo servizio fotografico di prova. Non avevo idea che fosse un test né che Balletti fosse il fotografo di Mina. In quella sessione, truccai un’altra cantante, Delia Gualtiero, e il risultato gli piacque. Poi fu la volta di Mia Martini. Infine, avendo visto il mio modo di lavorare, marcatamente pittorico, mi diede l’imprimatur per accedere al viso di Mina. Mi telefonarono al lavoro dicendomi che c’era da truccare Mina Mazzini. L’occasione era un servizio fotografico con immagini destinate alla stampa, per raccontare il suo ritorno sulla scena musicale dopo cinque anni.
E come l’hai presa?
I accepted, feigning complete indifference, but of course, I was already a huge fan of Mina, even before meeting her! In truth, in my foolishness, I wasn’t even that nervous—in fact, I was quite self-assured. Perhaps it’s because, in my mind, I had already done her makeup a thousand times. The first time we met was at her home in Milan, in the Montenapoleone area. When I saw her enter, wearing this long black nightgown, her pale face, like a girl’s, without makeup, I was immediately struck by her luminosity and energy.
On that occasion, I did a makeup look that, rather than following the continuity of my predecessors’ work, aligned more closely with the image of her I had in my mind. Once finished, I remember her saying, “You came along and changed everything—you’ve done something completely different!” The truth is, I had already imagined that look countless times in my sketches: her face has a shape that has always inspired me. It was always Mina, and she was always made-up like that.
Hai avuto qualcuno o qualcosa che ti ha ispirato nel truccare il suo volto?
Nel 1965, Mina ha fatto una serie di spot per la Barilla diretti da Piero Gherardi, il famoso costumista di Fellini. Una persona molto fantasiosa e coltissima, si è ispirato alla storia dell’arte per l’occasione. Mina è stata filmata in ambienti surreali, metallici, irreali, avvolta in un lungo drappeggio bianco—un’atmosfera molto felliniana. Goffredo Rocchetti, “la mano,” ha creato un’ombra lungo il ponte del naso che lo allungava ancora di più; sembrava quasi un errore. In realtà, ha aggiunto un’altra dimensione al suo viso, creando un forte contrasto tra la fronte e il naso, intensificando il suo sguardo.
Poi disegnò la famosa mezzaluna tra la palpebra fissa e quella mobile, sostituendo di fatto l’arcata delle sopracciglia. Era identica a quella visibile sul busto di Nefertiti a Berlino e divenne la sua firma estetica. Io quest’ombra l’ho ripresa sempre, perché su di lei era geniale.

Come definiresti il tuo stile? Quali sono i tuoi punti cardine?
Sono appassionato di Antico Egitto e di arte e antropologia africana. Trovo interessantissima la scomposizione dei piani del viso e la destrutturazione delle proporzioni classiche per andare a ricreare un equilibrio diverso.
Poi, quando trucco “per bellezza”, diciamo, quindi senza finalità creative o narrative, non uso mai colori, uso solo neutri, più o meno caldi o freddi, più o meno esasperati, nelle tonalità del marrone e del nero. Lavoro molto col chiaroscuro e cerco sempre di fare un trucco tridimensionale più che decorativo. Ho un modo di lavorare che definirei marcatamente pittorico, quasi “scultoreo”: ispirato dai maestri rinascimentali, lavoro molto sui piani e sui volumi, accentuandoli o cercando di plasmarli, creando illusioni ottiche.
Certamente serve sempre fare una distinzione tra la persona e il trucco. Se lo scopo del trucco è quello di far sì che una signora si senta dire che è bella, l’approccio sarà necessariamente diverso rispetto a un lavoro di moda o un servizio fotografico. Qui ci si può esibire in acrobazie cosmetiche, perché il protagonista è, appunto, il make-up.
Anche con Mina è stato così?
Sì. Ma con lei mi sono divertito moltissimo in ogni situazione, perché potevo truccarla in maniera sempre diversa, pur mantenendo spesso una palette coerente. È pur vero che Mina ha una particolarità legata a quello che le viene da dentro, ancor più che alla fisionomia, che pure è particolare. Se ci pensi, lei ha indossato centinaia di stili diversi, trucchi sempre nuovi, ma senza mai diventare un’altra. La guardi ed è sempre Mina. Ci sono persone a cui basta che cambi il colore del rossetto e non sai più chi è. Mina no: quello che sta dietro è così potente che prevarica qualsiasi maschera.
C’è anche da dire che il suo viso era già, di per sé, una maschera, intesa nella sua accezione antica, con tratti accentuati e lineamenti molto espressivi. Basti pensare ai suoi occhi, o al naso dalle linee classiche che, talvolta, le dà un’aria un po’ sprezzante.

Qual è stato l’aspetto più appagante del collaborare con lei?
Primo, lei non ha paura di niente. E poi è creativa, ama stupire e accoglie qualsiasi novità le si proponga, pur esprimendo le proprie preferenze.
Essendo una donna molto intelligente, sceglie le immagini in base all’impatto che avranno e non in base a come appare lei e alla sua bellezza. E poi dà molta fiducia. Mi ricordo, ad esempio, di quando l’ho truccata per la sigla di Mille e una Luce, where she sang “Ancora, ancora, ancora”. I did her makeup, the hairdresser styled her, she put something over her shoulders, and, without even looking in the mirror, she said, “Shall we go?” I asked if she didn’t want to check, and she replied, “Does it look good to you? If it’s fine for you, it’s fine for me.”
Prima di passare al dettaglio di alcune delle copertine più iconiche, non posso non chiederti di quello che di fatto è diventato il look iconico e imitato di Mina, ovvero quello senza sopracciglia.
Ci sono stati dei colleghi esimi che hanno detto di essere stati loro a inventare questo look, ma in realtà—e ci tengo a specificarlo ogni volta, perché non lo dice mai nessuno—è stato un truccatore della RAI, Enrico Farina. Una persona molto schiva, tanto che non c’è documentazione su di lui. L’unico che c’è è un documento dei camerini della RAI di Napoli: due foto, una prima e una dopo, con la dedica “la tua Mina, con e senza sopracciglia”. Il fatto era che le sopracciglia naturali di Mina avevano una forma non troppo bella. In più, negli anni, le aveva spelacchiate parecchio.
Farina le ha fatto un trucco che era la nuova moda nella seconda metà degli anni ‘60, con occhi molto marcati e bocca assente. Lui le ha fatto un primo trucco particolarmente carico, senza rossetto; Mina a quel punto gli chiede che cosa fare delle sopracciglia, e lui le disse: “E se non le facessimo?”. Il risultato fu dirompente, l’impatto fu epocale. David Bowie, Grace Jones, Patti Pravo e tantissime campagne di moda—mi viene in mente Fendi—e in tantissimi film, come C’era una volta by Francesco Rosi or the character of Jocasta, played by Silvana Mangano in Pasolini’s Edipo Re.
Dopodiché, la depilazione è stata sostituita con la decolorazione. Penso a Donna Jordan nelle foto di Toscani, a Lara Stone per Calvin Klein Make-Up… la lista è lunghissima e il look rimane estremamente attuale.

MINA © PIERO PASCUTTINI / GRAZIANERI
But if we go much further back in time, there’s the Mona Lisa—she, too, had no eyebrows. And perhaps not coincidentally, Mina became the Mona Lisa on the album cover for Olio.
Yes. For that cover, I created shading that mirrored the original painting. It was more natural makeup than usual, and Mina felt strange seeing herself like that—she was already used to having dramatic eyes. Here, I used brown and green pastes for the shadows, ochre for the highlights, and powder to unify it all. The saturation and craquelure effect were added digitally. This is one of the covers I enjoyed working on the most. Mina held a book with the painting’s image, and while she held it, I reproduced the chiaroscuro on her face.
Come funzionava a livello creativo, come emergevano le idee per le copertine?
Very often, the album titles were unrelated to the images we created. We always agreed on general ideas and then developed them on the spot, often spontaneously. We had built a very tight-knit team with Mauro and Gianni Ronco; we all created things we mutually enjoyed, so everything came naturally. We were on the same wavelength, and there was no discord. When we met, we’d talk for 15 minutes, at most half an hour. We all always had plenty of ideas up our sleeves, which we’d bring to the table, discuss briefly, and then, with that shared framework, we’d finalize the ideas. Many covers were born this way. Also, Mina is always very quick: if things take too long, she gets bored. The same goes for photos: when the photo is right, she knows it immediately.

Raccontaci qualche retroscena.
I could tell you about the cover of Attila, un album del 1979. Sono stato coinvolto indirettamente in quello; tutto è iniziato da un mio disegno che raffigurava la testa calva e tagliata di Mina posata su una superficie con linee di fuga che si estendevano all’infinito. Da lì, con il contributo dell’illustratore Gianni Ronco e lavorando su una foto di Balletti, è emersa la doppia copertina—quella con il ghiacciolo colorato da un lato e la girandola dall’altro.
There was also the stir caused by the Salomé quella con la barba fulva e fluente. Si disse che era un fotomontaggio, ma in realtà era molto più semplice di così. Si trattava di una barba posticcia, preparata su misura e sulla base di un campione di colore dei capelli di Mina da un laboratorio specializzato di Torino, realizzata su una trama di tulle invisibile una volta applicata sul volto. A parte la barba, il trucco qui era leggero, con poche ombreggiature dorate e delle labbra color mattone a richiamare lo sfondo.
For Catenela copertina in cui ci sono le due facce in bianco e nero, l’effetto è molto chiaroscurale ed elegante. Il riferimento è al cinema drammatico subito posteriore a quello muto. Le foto sono state scattate nella cucina della casa di Mina, sfruttando la luce della finestra. Lo sfondo? Ero io che sorreggevo il mio cappotto nero, tenuto aperto!
On the cover of Cremona, Mina indossava un mantello lunghissimo creato per lei da Gianni Versace—quello che lui chiamava la realizzazione di uno dei suoi sogni—con il colletto alzato dritto. Per tenere su quel colletto? Quello ero anche io! Balletti ha poi fatto sparire la mia mano con Photoshop. Il trucco, invece, riprendeva la classica forma a mezzaluna ma più accentuata e alta sul ponte del naso, rendendolo ancora più drammatico.
Then there’s the mask of Italiana, the icy wig and makeup of Veleno, the mask, the sumo braid, and the photomontage with a bodybuilder’s physique in Rane Supreme, the 3D elements of Sorelle Lumière. O il trucco ispirato a Picasso per Del mio meglio n. 7, which is also one of my favorites.
Hai una canzone che ami particolarmente, tra i suoi tantissimi capolavori?
I really love “Donna donna donna”, where she tells the story of a crossdresser.
And “Magnificat”, in Latin, a piece with extraordinary evocative power, taken from the sacred music album Dalla terra.
Do you still collaborate?
In recent years, I’ve moved to Vercelli, and we see each other when she needs makeup done or digital retouching. We talk more as friends now. With Mina, you can talk about anything: politics, entertainment, cooking… We even exchange recipes! If someone didn’t know she was a musician, they might never find out because the scope of her conversation is so broad. This is just one of the many facets of her extraordinary intelligence.
