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Le maledizioni: non sono una cosa vera, ma io ci credo

“La superstizione dura più della religione”

Théophile Gautier

Sono una ragazza del Sud. Sono felice quando contemplo il mare, il cielo limpido d’estate, il profumo di fichi freschi e mandorle, i pomodori schiacciati sul pane ricoperti di tanto olio d’oliva. Mi perdo nella generosità, nell’ospitalità della mia gente, nelle tradizioni, nel ritmo lento di una vita semplice di un tempo.

Tradizioni che non riguardano solo il mare, il sole e il buon cibo, ma soprattutto l’autenticità. Chiunque abbia visitato la Puglia almeno una volta sa di cosa parlo. La Puglia è una terra benedetta da ogni dono di Dio, che tu vada sulla costa, nelle pianure, nelle masserie o in città.

Ma cos’è autentico in Puglia? Potremmo dire tutto e niente.

Quando ero piccola, per me era la focaccia che portavo a scuola per merenda, la distesa di ulivi millenari nella terra di famiglia, l’odore del sugo ad agosto, la messa domenicale obbligatoria e le minacce di punizione divina se la saltavo.

Va da sé che sono cresciuta in una famiglia fortemente devota, da generazioni fedele a un’infinita lista di santi e protetta dall’Arcangelo Michele. Anche questa è autenticità, chiaramente illustrata dalle campane che suonano ogni quarto d’ora, soprattutto nei paesini più piccoli, dove la gente segue regole religiose più rigide, in contrasto con l’esistenza di riti popolari ancestrali.

Accanto alle credenze “ufficiali” della religiosità codificata e stabilita (che consistono in celebrazioni in chiesa, preghiere universali, pellegrinaggi e visite al Papa), persiste una pratica parallela, più oscura, che permea di superstizione e retaggi vagamente sacrileghi.

Tra questi, il più seducente è il rito dell'”affascino” (malocchio).

L’etimologia della parola viene dal latino fascinum ma non si riferisce al moderno “fascino”. Invece, si traduce come incantesimo, maledizione o stregoneria, fin dai suoi primi usi conosciuti nel XV secolo. Quindi, nel sud Italia, quando diciamo che qualcuno ti ha “affascinato”, non significa che sei stato ammaliato dalla sua bellezza ed eleganza, ma che sei stato segnato dal malocchio.

La domanda ovvia allora è: come si diventa vittima di questo malocchio? Bambole voodoo e messe sataniche non c’entrano nulla; tutto ha origine dallo sguardo e dalle intenzioni di chi lancia la maledizione, anche se involontariamente maliziose. La credenza comune è che le persone siano maledette o colpite da chi è invidioso, chi parla alle spalle, chi fa complimenti palesemente falsi. Gente un po’ tossica, che guarda gli altri con cattiveria. Tuttavia, può darsi che la persona “colpevole” in questione, la cui identità non si conosce quasi mai, non lo faccia necessariamente apposta. L’origine della maledizione può essere diretta, ben mirata, pur essendo priva di cattive intenzioni.

Curiosamente, il termine non si applica solo al risultato di anni di invidia, ma anche a sciogliere la maledizione.

Molte volte, durante la mia vita, mi è stato detto “facciamo un controllo, forse sei stata maledetta” e ho anche chiesto “mamma, mi togli la maledizione?”. Queste credenze derivano esclusivamente dalla superstizione, dal condizionamento sociale e ambientale e dalla tradizione. Ci sono state numerose volte in cui mi sono seduta davanti a mia nonna o mia madre per essere ispezionata per una potenziale maledizione.

Nella maggior parte dei casi, sono le donne le custodi di questi rituali. Il anziani, nonne e bisnonne, che dall’alba dei tempi, hanno tramandato questi riti con un rigore quasi scientifico. L’insegnamento può avvenire solo in giorni specifici dell’anno; la notte di Natale e il Venerdì Santo, limitato a sole tre persone in una vita. Non seguire queste direttive farebbe sì che il rito non funzioni per chi lo esegue e per chi lo impara. Nella mia famiglia, mia nonna l’ha insegnato a mia madre e lei poi l’ha insegnato a me. Io, a mia volta, potrò insegnarlo solo ad altre tre persone.

Lo scetticismo verso queste pratiche è più che comprensibile, ma non è mia intenzione legittimarle o meno; il punto è non perdere questa ricca tradizione antica, impregnata della cultura caratteristica del sud Italia.

In pratica, il malocchio può manifestarsi in tanti modi. Alcuni hanno mal di testa pazzeschi, altri mal di pancia, vertigini, stanchezza improvvisa, svenimenti, o qualsiasi sintomo che compare senza un motivo logico. Una volta che si è sicuri che la persona è stata colpita dal malocchio, finalmente si fa il rito.

A seconda della regione e della zona d’origine, ci sono gesti e procedure precise per far funzionare il rito. Uno dei ricordi più vividi della mia infanzia è quello di mia nonna, con le sue dita nodose e tozze che preparavano le cose necessarie: un piatto di ceramica bianco, acqua, olio, sale grosso, fiammiferi e, in certi giorni, utensili di metallo, come forbici o chiavi. L’unica cosa che non cambia mai è la preghiera segretissima che si sussurra durante il rito in assoluto silenzio.

Ovviamente, visto quello che ho scritto, non posso dirti come si fa il rituale. Quello che posso rivelarti è che le forme che le gocce d’olio fanno quando si versano sull’acqua sono il principale indizio che conferma la presenza del malocchio. Se l’olio si sparge, diventando quasi trasparente, l’intenzione è violenta, se le gocce si uniscono, ci sono due pettegoli, se si fondono è una persona molto vicina, forse della stessa famiglia, mentre le gocce piccole indicano donne, quelle grandi uomini.

Una volta, convinto di essere stato maledetto, sono andato da mia nonna e le ho chiesto di ‘curarmi’. Ricordo chiaramente come la prima goccia d’olio quasi scoppiò, poi si dissipò nell’acqua, e lei, con il labbro arricciato, annunciò ‘Figlio mio, c’è così tanta invidia!’.

Quello che è successo non si può spiegare. È un fatto che l’olio non si scioglie nell’acqua, eppure, nella maggior parte dei casi di maledizioni ‘serie’, questo effettivamente accade. Alla fine del rituale, la prova che tutto è andato bene è la sequenza di sbadigli che colpisce chi esegue il rito. Questo è talvolta accompagnato da mal di testa e sintomi simili a quelli della vittima, in una sorta di trasmigrazione del male da un corpo all’altro.

Questi riti sono teatrali, ancestrali, persino inquietanti. Per chi non ci è abituato, partecipare a questi eventi può essere un’esperienza forte, e altrettanto forte è l’attrazione che si prova verso di essi, come per tutto ciò che è misterioso e sconosciuto. Allora perché, col tempo, il termine è stato spogliato del suo significato originale ed è diventato sinonimo di attrazione, di fascino sensuale?

Sembra che tra il 1500 e il 1600 il percorso del termine abbia fatto marcia indietro. È passato da un’influenza malefica a una affascinante e ammaliante. In ogni caso, che abbia un significato positivo o negativo, è innegabile che l’aura incantatrice sia ancora un’influenza molto potente.

Ci sono innumerevoli rituali del genere in Italia, soprattutto al sud. Troverai credenti che spazzano dietro i passi di un mago, disegnano un cerchio protettivo d’acqua intorno a sé, lanciano sale per buona fortuna per allontanare il malocchio, gridano ‘benedizioni!’ o ‘San Martino!’ (come si fa dalle mie parti), fino al famoso corno portafortuna tipico della tradizione napoletana.

Il sud è fatto di queste superstizioni e antichi retaggi, in parte divertenti, in parte degni di rispetto, anche solo per la storia che trasmettono. La bellezza di tutto questo è anche questa: tra un assaggio di una specialità locale e un tuffo in mare, potresti incrociare una vecchietta vestita di nero, con i capelli coperti da un fazzoletto, che si lancia nella sua missione per togliere una maledizione a qualche sfortunato.

E tu? Lo proveresti?