I laghi, definiti da sempre come tranquilli e malinconici, mostrano tutto il loro fascino soprattutto nella stagione della neve, quando il freddo a volte riesce a congelare la superficie, immobilizzandoli. Così facendo, l’inverno chiude tutti i misteri del lago sott’acqua con un coperchio, per liberarli di nuovo con il disgelo primaverile.
Si dice che sia per questo che il fondo di un lago non è visibile. Dimora di creature magiche, è nero e profondo: un’ombra, da cui a volte emergono terre e rocce per popolare.
E così, sul Lago Maggiore è nato l’arcipelago delle Isole Borromee, composto dall’Isola Madre, l’Isola Bella, l’Isola dei Pescatori, l’Isolino San Giovanni e lo scoglio della Malghera.
Nel 1600, Vitaliano VI Borromeo, marchese di Angera e parte di una delle famiglie più influenti dal 1400, si diede da fare per trasformare le sue isole (Isola Madre e Isola Bella) in capolavori dell’arte barocca. Il mito vuole che il cuore dell’artigiano sia conservato proprio sotto l’altare della Chiesa di San Vittore sull’Isola Bella, come segno di devozione e atto d’amore.
Il progetto architettonico di Palazzo Borromeo e i giardini botanici pieni di piante esotiche diedero al lago un tale lustro che divenne una delle principali destinazioni del Grand Tour per l’Italia: quel viaggio di iniziazione fatto da aristocratici letterati e artisti da tutto il mondo per conoscere le bellezze della nostra penisola.

Oggi è un altro Vitaliano che, sulla scia della tradizione, come il suo antico predecessore, si occupa del destino delle isole e dei suoi dintorni. Come al solito nel periodo di pausa invernale, albergatori e gestori ne approfittano per effettuare alcuni lavori di restauro. Proprio questo gennaio, il principe Borromeo ha finalizzato l’acquisto di Villa e Parco Pallavicino, un paradiso di flora e fauna nella città di Stresa, che si aggiunge a quello dell’Isola Madre e di Villa Taranto a Pallanza. Il periodo migliore per visitarle è da marzo a settembre quando il clima mite fa fiorire le piante più strane e pavoni bianchi e cerbiatti vagano liberi e indisturbati.
Ma a febbraio, la meraviglia del Lago Maggiore e delle sue terre emerse rimane palpabile. Infatti, e ancor più in questo periodo di pandemia, le solite attività turistiche sono sospese, e come nelle vere fiabe, le isole sembrano sotto incantesimo, addormentate. Non ci sono folle di visitatori alla partenza delle barche, le strade sono improvvisamente libere e la natura si riprende i suoi spazi.
Posso confessare: ho avuto l’opportunità di vedere l’arcipelago come un isolano, identificandomi con un locale, che sa vederne la poesia anche in mesi difficili come quelli del lockdown. Sull’Isola dei Pescatori c’erano ancora le luci di Natale, accoglienti e speranzose, e in chiesa c’era ancora il presepe, unico nel suo genere, fatto con reti da pesca colorate. Il tempo sembra davvero essersi fermato.
Ho fatto colazione con i veri personaggi della biglietteria di Baveno, dove le barche si fermano per raccogliere nuovi visitatori. Ho guardato il sole tramontare dalla terrazza dell’Hotel Elvezia, che sebbene non potesse ospitare clienti, era fortunatamente aperto per me in quel momento per un’ispezione. Lì, la signora che mi ha accolta, mentre aspettavo il passaggio per tornare a Stresa, mi ha parlato di come si sente, di come sia difficile per gli albergatori rispettare le regole regionali della zona giallo e zona rossa, perché riaprire una cucina su un’isola? Non è come aprirla sulla terraferma. Mi ha raccontato la leggenda del cuore di Vitaliano nella cappella, che avrei trovato chiusa in quel momento, ma che devo tornare a esplorare, e ha elencato i progetti futuri e i preparativi che avrebbero reso l’isola ancora più bella.
A modo mio ho ricordato l’Isola Madre, temporaneamente chiusa al pubblico, dove il gioiello da non perdere era la collezione di marionette e l’antico teatro dei burattini. Inaugurato nel 1778, il burattinaio spesso intratteneva gli ospiti che, come Pinocchi nel paese dei Balocchi, facevano fatica ad andarsene.
Avrei voluto entrare di nuovo nel Palazzo, sull’Isola Bella, passando per le stanze blu (Il Salone NuovoE le terrazze panoramiche. Per vedere la Galleria Berthier, piena di opere d’arte uniche al mondo e localizzare i dipinti di Raffaello, Tiziano e Correggio, oltre ad ammirare le figure di donne mitiche come Sofonisba, Lucrezia o Didone del Gianpietrino, un allievo di Leonardo da Vinci — mi avevano colpito così profondamente.
Ma quando arriva la sera, e la mia barca è arrivata, scopro che non sono più un isolano, ma un viaggiatore in cerca di storie in tempi di covid, che ahimè, deve tornare sulla terraferma. Così guardando l’orizzonte mi soffermo sulle luci in lontananza, vedo l’isola che dorme e vedo la neve delle Alpi brillare nella luna.
L’alba seguente, come ogni altra, i pescatori e le pasticcerie della costa sono i primi a svegliarsi. Da una parte sciolgono le reti, dall’altra infornano il Pan ad Mèi (pane con miglio) dando forma alle tipiche margherite di Stresa, semplici delizie fatte con vaniglia e burro delle valli. L’amido usato nell’impasto le rende così morbide che si sciolgono in bocca. Lo zucchero a velo che vi viene spolverato richiama l’etimologia del loro nome, che in greco significa: perla (μαργαρίτης).
Una ricetta medievale, meno sofisticata, ma altrettanto gustosa, quella delle fugascine è un altro riuscito esperimento culinario della zona: croccanti e sottili quadrati di pasta frolla al limone, legati ad antichi rituali per celebrare la semina dei campi e Santa Elisabetta. Il modo migliore per gustarle è passeggiando lungo il lungolago, respirando le leggende dei suoi abitanti.
A Stresa, infatti, la stregante statua di una sirena in granito rosa (una pietra locale), opera dello scultore Raffaele Polli, è la più recente testimonianza di quelle curiose creature del lago di cui tanto si è sognato nel corso degli anni, e un richiamo alla sirenetta danese di Copenaghen, ispirata a una delle fiabe di Hans Christian Andersen.
Non a caso, uno dei simboli animali delle Terre Borromee è l’unicorno, un cavallo bianco dai poteri magici, simbolo di immortalità e dotato di un corno a spirale sulla fronte che era in grado di guarire qualsiasi veleno. Questa è solo una delle tante immagini raccontate dagli affreschi e dalle collezioni delle fortezze, i numerosi castelli e le grotte artificiali intorno al lago.
Come sempre accade, le fiabe non appartengono a nessuno, ma appartengono all’inconscio incantato dei luoghi e di chi ci vive. E quando l’incantesimo si rompe, possiamo tutti tornare a raccontare le favole.