“Vado a riposare gli occhi per un minuto”, mi ha detto mio padre dopo il pranzo di Pasquetta di qualche settimana fa. “Sai, per raccogliere i pensieri”. Si è seduto sulla poltrona, ha reclinato la testa e nel giro di pochi secondi ha iniziato a russare.
Mezz’ora dopo era già in piedi, pronto a riprendere la nostra conversazione e a mangiare un’altra fetta di pastiera.
Per chi non lo sapesse, si trattava di una pennica: il riposino post-pranzo di cui le vecchie generazioni di italiani, soprattutto nelle regioni del centro e del sud, sono maestri (anche se, se lo chiedete a mio padre, vi dirà che stava semplicemente facendo una “riflessione profonda”).
Da non confondere con la siesta spagnola, che, almeno in passato, prevedeva di indossare il pigiama e andare in camera da letto per un vero e proprio sonno, la pennica consiste nel fare un rapido sonnellino vestiti, in qualsiasi posto comodo: il letto, certo, ma anche il divano o, come ha dimostrato mio padre, una poltrona. Non è necessario che sia lungo (idealmente venti-trenta minuti), né particolarmente profondo, ma molti dicono che dovrebbe essere praticato quotidianamente per ottenere risultati ottimali.
La pennica – o pennichella, come la chiama mio padre per sottolinearne la brevità – si compone di diversi stadi, che nel dialetto romanesco sono identificati in modo chiaro e preciso con nomi propri. C’è la cecagna, che è il torpore che si prova subito dopo aver mangiato; l’abbiocco, quando le palpebre e gli arti iniziano a sentirsi più pesanti e rilassati; e poi la pennica vera e propria, quando il sonno prende il sopravvento.
Bisogna tenere presente che la pennica non è un vero e proprio sonno completo, come si fa di notte. La pennica non lascia il tempo di sognare o di sbavare, anche se vi sembrerà di esservi appisolati per ore. Non è altro che una lodevole attività destinata a ristorare corpo e mente. Dopo la pennica infatti dovreste essere riposati, non fiacchi (cosa molto più comune dopo un riposo di due ore).

Photography by Milla Muuronen
Non c’è da stupirsi se, in passato, le aziende italiane (ma anche i negozi, le fabbriche e i ristoranti) consideravano il pisolino come una parte essenziale della giornata lavorativa e lasciavano che i loro dipendenti facessero una pennica a casa prima di tornare in ufficio (o, a volte, sulla sedia della loro scrivania proprio in ufficio). Per mio padre e i miei zii, i miei nonni e i miei bisnonni, le penniche erano il più semplice dei rimedi per affrontare il pomeriggio: le Red Bull naturali per contrastare la loro temporanea stanchezza. L’arte della pennica parlava anche di qualcosa di unicamente italiano: l’importanza di rallentare e godersi il momento, anche tra le faccende e gli impegni di lavoro.
Negli ultimi decenni molti italiani hanno dovuto sostituire il pranzo a casa con un panino alla scrivania e quindi la pennica si è trasformata in un evento raro, una cosa ormai appannaggio solo di persone di una certa età, come mio padre. Ma perdendo questa sana abitudine, credo che abbiamo perso parte della nostra essenza.
Mettere in pausa la frenesia dopo un bel pranzo, con la pancia piena e il cuore soddisfatto, mi sembra il modo perfetto per assaporare la giornata e concentrarsi su se stessi. La pennica è quasi meditativa, sicuramente tonica, e vorrei che diventasse un’abitudine come un tempo. Io, per esempio, ci sto provando. (Lavorare da casa aiuta, ovviamente).
Sebbene non mi sia unita a mio padre in quella pennica di Pasquetta, ho iniziato a prendermi un po’ di riposo pomeridiano ogni volta che sento l’abbiocco insediarsi. Mi appisolo per un po’ o ne approfitto per fare il punto sulla giornata trascorsa (quel “pensare profondamente” di cui parlava mio padre potrebbe non essere un eufemismo, dopotutto), poi torno al mio portatile. E sapete cosa? Mi sento più energica.
Con le giornate sempre più calde, prevedo di portare la pennica anche in vacanza. Un pisolino in riva al mare, il rumore della marea come sottofondo e nessuna preoccupazione al mondo, almeno per venti minuti al giorno. Questa, per me, è beatitudine. Ed è un’arte che voglio davvero perfezionare.