Mi ricordo la prima volta che l’ho visto.
Era il primo giorno del mio master di un anno in Piemonte. Stava camminando nell’aula vuota, parlando di qualcosa di estrema importanza, qualcosa che lo stava completamente assorbendo insieme al tipo con cui stava camminando. Sembrava come se qualcosa di molto luminoso e rumoroso fosse apparso magicamente da una sigaretta Marlboro fumante. Era la persona più italiana che avessi mai visto, con un forte accento del sud, capelli biondi ondulati, una giungla di gesti con le mani, e il costante suono di chiavi che si muovevano. I sorrisi e i sussurri delle ragazze intorno erano il suo ritmo di marcia, un ritmo nato dalla strana fiducia data a chi è attraente fin da giovane.
Sua madre lo chiamava il sole – ‘Sole, sole mio’ – abbagliante, penetrante al punto da bruciarti. Vicino a lui, mi sentivo come una stella distante, che orbita nella stessa galassia, ma mai abbastanza vicina da toccare. Era uno dei compagni di classe più rumorosi, chiassosi e fastidiosi che abbia mai avuto.
Abbiamo passato i primi mesi a parlare tanto, condividendo troppo ma mai abbastanza, e fu quando iniziammo a parlare di sesso che mi resi conto che lo desideravo in un modo mai provato prima. Dopo qualche mese, abbiamo iniziato qualcosa che doveva essere solo corpi che toccavano altri corpi – una politica ‘senza impegno’ – solo la sensazione elettrizzante di stare insieme quasi ogni notte. La storia d’amore iniziò a sembrare una relazione quando cominciammo a urlarci addosso nel mezzo della notte davanti alla cattedrale di Modica. It began to look like a relationship when we were kissing and chasing shadows in the streets of Cremona. It began to look like a relationship when he told me he loved me after a candlelight dinner in my small apartment, Mina playing in the background and his trembling hands reaching for his packet of cigarettes after my long silence. It felt like a relationship when he bought me flowers every Friday, when we slept in the same bed till the late morning, when he cooked his Pasta ai Pomodorini per me, dicendo: ‘Questa la faccio sempre per mamma’. Sembrava una relazione quando mi portò al Sud per conoscere sua madre, suo padre, i suoi amici, quando mi mostrò dove era cresciuto, quando nuotammo nel limpido Mar Ionio e ci baciammo sotto il cielo estivo.
Ricordo l’ultima volta che l’ho visto. Stava agitando la mano appena fuori dalla stazione Milano Centrale, la pioggia che cadeva sulla sua persona rumorosa, e io stavo entrando nella stazione. Non sapevo allora quanto mi sarebbe mancato solo un paio di giorni dopo, quasi distruggendomi dal dolore.
Ora ascolto solo la canzone che mi cantava, quella canzone di Mina che suonava la prima volta che mi ha detto che mi amava.