Se hai sentito parlare delle colline delle Langhe in Piemonte, conoscerai Monforte d’Alba, il paesino nel cuore della zona del Barolo, famoso per il suo carattere distintivo, dove le arti incontrano la cultura gastronomica. Molti decenni fa, prima che le Langhe avessero il loro attuale status iconico, Monforte era, e lo è ancora, una meta acclamata per figure di fama internazionale: scrittori, cantanti, poeti e politici. Negli ultimi 43 anni, l’auditorium Horszowsky a Monforte ha ospitato l’iconico festival Monfortinjazz, riunendo compositori e artisti di spicco, come Buena Vista Social Club, Ludovico Einaudi, Yann Tiersen e Mick Taylor.
Monforte ha un suo carattere culturale molto particolare; una mentalità aperta che si riflette nei templi del paese: i ristoranti. Qui la tradizione è profondamente radicata, mentre l’innovazione prospera, creando un armonioso senso di comfort.
Monforte è il luogo delle tavole storiche e il palcoscenico per nuovi incroci, un posto magico per le espressioni di tutti, dove tradizioni e innovazione coesistono e sono radicate per creare un’inspiegabile armonia e comfort: prendi Nino Rocca, che è cresciuto senza una cucina privata e ha imparato l’importanza di crescere con una versione langarola della madeleine proustiana nella cucina del ristorante di famiglia. Puoi sentire che ogni piatto nel ristorante di Nino è il risultato di un gesto condiviso. È pieno dei ricordi della famiglia: l’odore del travaso del vino gli ricorda quando aiutava suo nonno a imbottigliare il Dolcetto, i ravioli che si arrostiscono direttamente sulla stufa a legna gli ricordano quando giocava con i suoi amici da bambino e il vitello con verdure ed erbe dell’orto gli ricorda la sua bella nonna che glielo preparava per pranzo dopo la scuola.


Photography by Letizia Cigliutti
Il Ristorante Felicin è stato fondato quasi 100 anni fa da Felicino, il nonno di Nino. Il posto rimane il suo mondo dei sogni. Qui, è cresciuto con suo padre, che parlava quattro lingue e aveva amici famosi come Gabriel García Márquez. Artisti da tutto il mondo venivano al ristorante. Il padre di Nino e sua moglie Rosina hanno fatto di Felicin un hub culturale sia per stranieri che per locali. Oggi, Nino lo gestisce con l’aiuto di sua moglie Silvia e dei loro figli, che dividono la loro attenzione tra la cucina e le 16.000 bottiglie nella cantina. Felicin sembra una casa di campagna familiare piena di ricordi, libri e foto di famiglia: i suoi caldi arazzi e la luce naturale lo rendono uno spazio intimo per leggere, ascoltare e riflettere su se stessi.


Nino ha una personalità unica e un’intelligenza profonda. È un vero creativo. Come dice lui: “Un giorno un prete e viticoltore di Dogliani mi ha detto che sua madre gli ha insegnato che nessuno può insegnarti come potare le viti se non la vite stessa. Credo che la sensibilità sia qualcosa che non si può insegnare con le parole, è come un dono. È come i maestri di arti marziali: imparano la tecnica e poi dimenticano le basi per lasciare che l’inconscio e la conoscenza acquisita si esprimano. I ricordi dal nostro inconscio ci aiutano ad essere diversi e ad imparare dall’ingrediente, dalla fonte stessa”.
Nino è un fervente promotore dell’importanza di educare i clienti sulla simmetria tra stagioni e ingredienti: un libro di Frédy Girardet è posizionato come un trofeo nella sala principale del ristorante, proprio accanto al ritratto del padre di Nino, come un’ode simbolica alla filosofia gastronomica dello chef svizzero legata alla pulizia dei sapori e ai gusti autentici. Per Nino, le conversazioni tra suo padre e Girardet sono state un punto di svolta. Quando fa le sue ricerche, cerca sempre la purezza di un design pulito, un rispetto per le materie prime, in modo da non distorcere il cibo. Assaggiare il porro di Cervere con topinambur croccante (topinambur piemontese), zabaione al parmigiano e verdure fresche è come fare una passeggiata sui terreni delle Langhe, un ettaro dopo l’altro. Non c’è Felicin senza i suoi quintessenziali “tajarin”, l’iconica pasta fatta a mano piemontese stesa e tagliata al coltello e fatta con uova fresche biologiche (il numero dipende dall’umidità del tempo e rimane un segreto del ristorante) e farina fresca dei mugnai del Mulino Sobrino a La Morra. Il ragù è fatto con vitello Fassona, la migliore carne magra del Piemonte. Per il piatto principale, la Fassona con i profumi dell’orto viene presentata nella padella in cui è cucinata in modo che il calore sia meglio distribuito sulla carne e si possano sentire i deliziosi aromi.

Felicin; Photo by Letizia Cigliutti


Le Langhe sono la culla di Nino Rocca. Per Pasquale Làera, Monforte è diventata la sua tela. Dipinge con i colori degli incroci culturali e con i ricordi d’infanzia: “Pensa al profumo delle bucce di mandarino arrostite, è nella memoria di ogni italiano, da Nord a Sud”.



Làera ha lavorato in cucine in tutto il mondo, dalla Villa Crespi di Cannavacciuolo sul lago d’Orta al ristorante dello Chef Okamoto in Giappone. Oggi, per Pasquale, cucinare è una combinazione magica di ingredienti. Parla di gesti nella cucina italiana che richiamano ricordi tradizionali: “Quando azzecco il gusto, il piatto ha senso e ha una storia. L’estetica svanisce nella nostra testa, mentre il gusto rimane da qualche parte e matura come un frutto fresco”. La sua educazione alimentare da bambino era basata sulla cucina povera. Usa ingredienti che la cultura mainstream vede come “scarti alimentari”. Anche adesso, per creare l’estrazione di pomodoro per i suoi spaghetti con porri grigliati e anguilla, usa pomodori che nessuno vuole al mercato: “Lo spaghetto è bianco e quando lo assaggi senti anche la bellezza intatta della natura”.


Mentre prepara il pranzo al sacco per suo figlio Matteo, si ispira ai suoi ricordi dell’asilo con le suore a Gioia del Colle: “Sento ancora gli aromi del mio cestino del pranzo pieno di zampine, la tipica salsiccia arrosto di Bari, con un tocco di prezzemolo e aglio”. Quando gli “avventori”, come Pasquale descrive gli ospiti con la sua elegante eloquenza meridionale, arrivano al Borgo Sant’Anna, si aspetta di sorprenderli e di infondere gli stessi sentimenti: “Pensa ai prodotti locali delle Langhe, lo standard è così alto che non mi posso annoiare. Qui a Monforte, sia i locali che i turisti si aspettano un pasto di qualità. Alcuni si aspettano di trovare piatti tradizionali. Per altri, la tradizione è ammettere che il cambiamento è una parte naturale del nostro comportamento”. Quando gli ‘avventori’ vanno da Pasquale, sanno che non troveranno il solito pasto piemontese. Invece, troveranno i rituali pugliesi nel cuore delle Langhe: la Parmigiana, piatto pugliese per eccellenza, racchiude l’atteggiamento di Pasquale, la sua inclusività e creatività. E così fa la sua carne cruda che è un tipico antipasto piemontese.


Nella versione di Pasquale “, oltre alla carne cruda, aggiunge orchidee di mare – due perfetti ingredienti ferrosi – e le iconiche cime di rapa pugliesi, per spingere l’amarezza del piatto, così come la robiola, uno dei formaggi più famosi di Asti”, apprezzato per il suo gusto ricco e soddisfacente.
Equilibrio e convivialità sono gli ingredienti chiave su cui Pasquale si concentra con il suo team “La magia che ci ha permesso di arrivare qui e ottenere la nostra stella Michelin qualche mese fa è il team che dura nel tempo. Questo tipo di passione viene dal disagio o da una ricerca avida di qualcosa di più. Ci siamo arrivati come una prova d’orchestra instancabile e irrequieta”.


Photography by Letizia Cigliutti