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La fotografia è un Enigma: Luigi Ghirri

‘Scatto foto a colori perché il mondo reale è a colori’

 

Nel breve romanzo “L’avventura di un fotografo,” Italo Calvino racconta la storia di un uomo che diventa ossessionato dalla fotografia e dai suoi problemi cognitivi:

 

“Nel momento in cui inizi a dire di qualcosa, “Ah, che bello! Dobbiamo fotografarlo!” sei già vicino alla visione della persona che pensa che tutto ciò che non è fotografato è perso, come se non fosse mai esistito, e che quindi, per vivere davvero, devi fotografare il più possibile, e per fotografare il più possibile devi vivere nel modo più fotografabile possibile, oppure considerare fotografabile ogni momento della tua vita. Il primo percorso porta alla stupidità, il secondo alla follia.”

 

Il fotografo Luigi Ghirri, che citava spesso il racconto di Calvino, aveva trovato il suo modo di aggirare l’ostacolo. Diceva che “la fotografia non è un problema, la fotografia è un enigma, perché un problema ha una soluzione, e un enigma è un problema che non ha soluzione”.

Nato nel 1943 in un piccolo paese dell’Emilia-Romagna, nel nord Italia, Ghirri è cresciuto in un paese che si stava lasciando alle spalle le difficoltà della guerra, abbracciando un periodo senza precedenti di crescita economica e conseguente fermento culturale.

Negli anni ’60, la fotografia in Italia si è espansa notevolmente. Ghirri non aveva neanche 30 anni quando ha lasciato il suo lavoro di geometra per dedicarsi completamente al mezzo. Ha iniziato a fotografare quelle cose a cui di solito nessuno presta attenzione: la strada che percorreva ogni giorno, i libri che aveva in casa.

Era attratto dalle texture e dai colori – “Faccio fotografie a colori perché il mondo reale è a colori”, diceva – e da quella sensazione di meraviglia originata da scoperte casuali, come la saracinesca di un negozio di latte dipinta dello stesso arancione di alcune casse lasciate lì accanto; o l’interno di un’officina le cui pareti sono coperte di cimeli di Giuseppe Verdi perché il meccanico che ci lavora è un appassionato di opera.

Ghirri guardava le cose nello stesso modo in cui un contadino ispeziona il cielo per capire se pioverà domani. A bordo della sua traballante Volkswagen, sempre ascoltando nastri di Bob Dylan, faceva regolarmente giri esplorando la campagna vicino alla sua città natale. “Forse la campagna è il più tipico di tutti i luoghi, un luogo di devozione e rifiuto, un palcoscenico attraversato dall’amore e dall’odio, tutto e niente, noia ed eccitazione” notava in un breve testo scritto nel 1981 che finiva con: “La provincia è il mio posto, la mia casa”. Per inciso, la regione di Ghirri ha dato i natali ai registi Federico Fellini e Michelangelo Antonioni, due grandi fabulisti che hanno esplorato vizi e virtù italiani, e una fonte principale di ispirazione anche per il fotografo.

Ghirri parlava con chiarezza e sobrietà, un linguaggio che condivideva con alcuni grandi artisti del Quattrocento: Fra Angelico, Masaccio e Piero della Francesca. Padroneggiava le stesse abilità narrative, la stessa preferenza per un punto di fuga centrale, le stesse tonalità, persino: blu e verdi pastello, rosa polverosi e rossi sbiaditi dal sole. Non è un caso se nel 1989 e nel 1990 – poco prima di essere colpito da un fatale attacco di cuore – Ghirri ha fotografato gli interni degli studi di Giorgio Morandi, l’ultimo erede di quella tradizione pittorica e probabilmente il miglior pittore italiano del XX secolo. Ghirri considerava le sue fotografie dei piccoli oggetti usati nelle famose nature morte del pittore un’impresa significativa, nel modo in cui lavoravano sulla memoria, registrando un mondo che era già stato rappresentato da un altro artista.

Ceramic potery and watery cans over wooden table at Studio di Morandi in Grizzana Emilia Romana in Italy

Visitando lo studio di Morandi a Bologna, Ghirri fu colpito dalla storia di Morandi che si sentiva perso quando vide costruire un palazzo proprio di fronte alla finestra del suo studio, che finì per cambiare la quantità e la qualità della luce che entrava nello studio. Ghirri, che si lamentava dei pali e dei fili elettrici di recente installazione nella sua amata campagna perché rovinavano i suoi scatti, poteva capire. Il mondo in continua evoluzione stava raggiungendo anche lui.

Il paesaggio italiano divenne un tema ricorrente nel lavoro di Ghirri.

Alcune di queste foto sono considerate dei veri capolavori e sono tra le più famose dell’artista. Col tempo, sono diventate un atlante di posti… e personaggi italiani. Perché anche se nella maggior parte di esse la presenza umana è quasi del tutto assente, quelle foto raccontano storie dei loro abitanti mancanti. Ci ricordano l’eccitazione da bambini quando si andava in vacanza al mare, d’estate; delle famiglie riunite per il pranzo della domenica; dei paesaggi rurali osservati dal finestrino di una macchina o di un treno; dei viaggi a Capri, Firenze e Roma. Parlano di un paese, provinciale nel senso migliore, fatto di innumerevoli paesi e borghi (ognuno con le sue usanze e tradizioni), che alla fine si è trovato faccia a faccia con la modernità.

Probabilmente di conseguenza, Ghirri ha innestato nelle sue immagini ‘un senso di malinconia voluto, […] addolcito da un tocco di ironia’. Mentre ha speso diverse parole sulla malinconia, descrivendola come ‘la sensazione di distanza che ci separa da un mondo che altrimenti potrebbe essere semplice’, ha detto pochissimo sull’ironia. Parlando dell’essenza comica dei suoi compatrioti, lo sceneggiatore Ennio Flaiano una volta ha notato che gli italiani sono un tentativo della natura di demitizzare se stessa.

Ghirri probabilmente sarebbe stato d’accordo.