Quassù, è il silenzio che respiri che rimane più nella memoria. È il profondo rispetto e la meraviglia infinita. Sul Plan de Corones in Alto Adige, c’è uno stato di magia naturale e spirituale che si trova raramente in altri luoghi. Il mondo a 2.265 metri sul livello del mare sembra cristallizzato e in attesa; chiunque si trovi circondato da quella che Le Corbusier descrisse come “la più bella architettura naturale del mondo” non ha scelta se non arrendersi e lasciarsi incantare dalla sua bellezza. Quando LUMEN, il Museo della Fotografia di Montagna, ha aperto al pubblico per la prima volta nel 2017, questa fascinazione ha trovato la sua casa fotografica. 1800 metri quadrati, magistralmente distribuiti su quattro piani, sono interamente dedicati alla fotografia di montagna, spaziando da fotografi italiani a internazionali dagli inizi della fotografia fino ad oggi. Il programma curatoriale del museo narra la montagna attraverso diverse prospettive, come l’alpinismo, il turismo, la politica, la spiritualità e la storia. Ma, soprattutto, è la percezione di libertà e profonda, eterna connessione con la natura che LUMEN celebra con eventi, mostre temporanee e permanenti.
L’edificio occupa quella che una volta era la stazione di arrivo superiore della funivia del Plan de Corones, costruita nel 1963 e operativa fino al 1986, quando fu sostituita da una seconda funivia, la più grande funivia monofune del mondo, la Kronplatz 2000. Questa zona dell’Alto Adige non è nuova a forti progetti architettonici contemporanei orientati alla cultura. Basta pensare al famoso Messner mountain museum corones, costruito da Zaha Hadid sulla cima del monte Kronplatz, con gallerie sotterranee e una piattaforma panoramica a sbalzo su una valle. Il museo è dedicato al rinomato alpinista Reinhold Messner, la prima persona a scalare tutti e 14 le montagne della zona che superano gli 8.000 metri e a raggiungere la vetta dell’Everest senza ossigeno supplementare.
Ciò che colpisce di LUMEN, progettato da Gerhard Mahlknecht, è come l’architettura si fonda con grazia con l’ambiente, diventando un monumento all’amore per la fotografia di montagna, un genere unico, vasto e straordinario come le montagne stesse. Il team curatoriale ha organizzato e prodotto 15 mostre permanenti di diverse dimensioni, temi, percorsi espositivi e mostre temporanee per raccontare la loro storia. Tra le prime, si può passare dalla Camera Wall, un vero e proprio viaggio tra alcuni dei modelli di macchine fotografiche più antichi, alla Stereoscopia dove si può scoprire il precursore della fotografia 3D che, va detto, con le vette innevate come soggetti, raggiunge livelli straordinari. Poi, alle cartoline e pubblicità di Mountain Mania e le Montagne Sacre del mondo. Nella sala Tensegrity, invece, l’architettura stessa diventa mostra: dove, fino al 1986, c’era l’apertura da cui entravano le cabine della funivia, oggi c’è un gigantesco otturatore fotografico che, proprio come una macchina fotografica, può essere aperto per offrire una vista mozzafiato sul panorama montano circostante, o chiuso per diventare uno schermo di proiezione. Infine, dopo immagini cariche di adrenalina e arrampicate, c’è la magica Sala degli Specchi dove si può vivere sospesi tra realtà e illusione completamente circondati da vette e paesaggi montani. Secondo il calendario del museo, a metà gennaio dovrebbero aprire due nuove mostre temporanee: una personale di Melanie Manchot e “Über alle berge…to make for the hills”. La prima, una sorta di dietro le quinte della montagna, vede come protagonista la neve e tutte le persone invisibili che ci lavorano. La seconda si ispira a un detto tedesco che significa fuggire, scappare, andarsene. Perché la montagna non è come il mare, non si va a vagare qui, si cammina, si arrampica, si esplora, per trovare una nuova casa, un campo fresco e perché no, una nuova cultura oltre la vetta. Dove il silenzio diventa di nuovo scoperta.