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“LA SECONDA CASA DI FELLINI” L’ICONICO GRAND HOTEL DI RIMINI

“Il Grand Hotel era la favola della ricchezza, del lusso, dello sfarzo orientale”. 

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.

Come quasi tutti i millennials, nel corso della vita ho dovuto arrangiarmi spesso facendo lavori che avevano ben poco a che fare con i miei studi universitari. Una delle esperienze più assurde e incredibili che ho vissuto è stata lavorare al front desk del Grand Hotel di Rimini.
Sì, proprio quello, la seconda casa di Federico Fellini.

Una delle personalità più significative del Novecento italiano e uno dei più grandi registi di tutti i tempi, Fellini è spesso associato al famoso “mito” della Rimini degli anni d’oro, in cui la Riviera Romagnola diventò meta di flussi turistici mastodontici e del jet set, non solo italiano, ma anche internazionale. Buona parte di questo successo incredibile, che riverbera tutt’oggi, è inevitabilmente dovuto al carisma di Federico Fellini. 

Fellini nasce a Rimini nel 1920 e ci rimane fino al 1939, trasferendosi poi in via quasi definitiva a Roma. La Rimini della sua infanzia e adolescenza tornerà però molto spesso nei suoi film, nel suo immaginario fiabesco, e il Grand Hotel sarà uno dei luoghi più cari al regista, un luogo che lui stesso chiamerà casa e dove alloggerà più volte, a partire dal 1950 fino alla sua morte, nel 1993.

Nell’anno della sua inaugurazione, il 1908, il Grand Hotel rappresentava il massimo dello sfarzo e del lusso. Possiamo immaginare un giovane Fellini che ammirava al di fuori dei suoi cancelli le due cupole arabeggianti che oggi non esistono più, i giardini rigogliosi, la terrazza illuminata da mille luci, la facciata liberty, come faceva d’altra parte Titta proprio nel film “Amarcord”, che passava ore e ore a spiare attraverso buchi nelle siepi la gente elegantissima e ricchissima che vi alloggiava. 

Quando ho messo piede per la prima volta nel Grand Hotel, di Fellini sapevo poco, ma tutti quelli che ci lavoravano parevano provare una reverenza quasi religiosa per lui (spesso mi capitava di fare il check-in a ospiti che alloggiavano lì solo per il nome di Fellini, quasi che si aspettassero di vederlo dal vivo). Mi raccontarono che Fellini soleva scegliere sempre la stessa suite quando tornava in città da Roma per fare visita alla sorella Maddalena e alla madre Ida, la suite 315 (che oggi, a buona ragione, di chiama Suite Fellini e viene prenotata dalle personalità più facoltose) e questo dettaglio l’ho dovuto imparare in modo brutale: uno dei veterani, i primissimi giorni che lavoravo al front desk, portò fuori in terrazza tutti i novellini come me, ci piazzò di fronte alla facciata e indicandoci le finestre ad arco incastrate tra i due mezzi pilastri frontali, disse: “Meglio imparare subito, ché non ho tempo da perdere. Al primo piano, al centro, c’è la 115, sopra, al secondo, la 215, e al terzo piano la 315, la stanza di Fellini. E basta, non ve lo ripeto più, ma tanto siete stupidi e verrete di nuovo a domandarmelo.”

La suite 315 si apre come una farfalla, sforando in due ali laterali, la stanza 316 e un maestoso bagno patronale. Si tratta, in questo caso, della stanza più ambita (e ovviamente, più costosa, arriva anche a mille euro a notte a seconda del periodo), quella che affaccia sulla terrazza e sul mare. Nel corso nei mesi lì, ho visto sfilare vip come Kanye West, Santana e Vasco Rossi i quali, inevitabilmente, hanno alloggiato in quella suite. Senza contare tutte le personalità importanti del passato che vi hanno dormito: Pavarotti, il Dalai Lama, la Regina di Sassonia, Re Faruk, il Duca degli Abruzzi, Eleonora Duse, Lady Diana, Filippo Tommaso Marinetti, Pietro Mascagni, Rita Levi Montalcini, Pedro Almodovar ed Enrico Caruso e potrei stare qui ore e ore ancora, senza finire mai l’elenco.

Di fatto, l’assegnazione di quella specifica suite a Fellini fu opera del Cavalier Pietro Arpesella, il proprietario dell’epoca, che grande amicizia aveva stretto col regista. 

Ma non era l’unico luogo “colonizzato” da Fellini: spessissimo lo si poteva vedere in terrazza, seduto sulle indistruttibili sedie bianche di ferro battuto a scrivere, oppure nelle grandi sale dell’hotel a mangiare brodetto di pesce, uno dei suoi piatti preferiti (tant’è che, oggi esiste un percorso di degustazione presso il ristorante dell’hotel dedicato a Fellini che presenta un piatto simile) o il risotto allo zafferano con due gocce di grappa, chiamato in hotel (molto furbescamente) Ris’otto e mezzo. Oppure si fermava a sedere spesso sul divano circolare nella hall, di fronte alla vetrata che dà accesso alla terrazza e al giardino, a disegnare gli ospiti dell’hotel: una gentildonna con cagnolini perfettamente tosati al seguito, un uomo elegante col cappello, una coppia a braccetto carica di valige, i camerieri dell’hotel, impettiti nelle loro divise scure, a servire ai tavoli coperti da tovaglie immacolate, e ancora, disegni sulla nudità, sul mondo circense, per il quale provava una fortissima attrazione, sul cielo e la luna, sui sogni e le favole.

Grand Hotel Rimini