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Il film onirico di Sorrentino “La Grande Bellezza”

La Grande Bellezza

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.

La prima volta che ho visto La Grande Bellezza, mi ha commosso così tanto che l’ho riguardato subito. È incredibilmente raro di questi tempi che io veda un film che mi colpisca così profondamente e ci sono volute diverse altre visioni (insieme a una bottiglia di vino o due) per capire davvero perché.

Si apre con una citazione da Louis-Ferdinand Céline“Viaggio al termine della notte” che stabilisce il tema del film: “Viaggiare è molto utile: fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il nostro viaggio è interamente immaginario, ed è questa la sua forza.”

Ciò che ammiro di più del film è la straordinaria immaginazione del regista Paolo Sorrentino. La sua capacità di costruire, stratificare e organizzare un film assemblato interamente dai suoi pensieri, osservazioni, ricordi e momenti è davvero notevole.

In superficie c’è poca trama. La storia è il viaggio interiore del protagonista, uno scrittore di nome Jep Gambardella, interpretato dal brillante maestro della recitazione italiana, Toni Servillo. Con una durata di quasi tre ore, “è un’impresa incredibile di regia mantenere l’attenzione dello spettatore quando non succede veramente nulla. Una delle mie battute preferite del film è ‘Qualcosa’ succede sempre a Roma. Non è successo niente.”

Jep è uno scrittore che invecchia che in gioventù aveva scritto un famoso romanzo, e ora si muove nell’alta società romana con un malessere disincantato ed è molto consapevole della propria mortalità che sta entrando in primo piano.

La genialità di questo film, per me, sta in come Sorrentino costruisce la narrazione e ci porta nel viaggio interiore di Jep. Non c’è un periodo di tempo definito in cui si svolge la storia. Jep può essere visto come un uomo fuori dal tempo, con a malapena un piede nei vari mondi che abita. Uno scrittore di natura mutevole, è continuamente alla ricerca di storie.

La narrazione sembra surreale e onirica, comprendendo i ricordi, le esperienze, gli amici di Jep e i personaggi che incontra. Quando siamo soli con lui, Sorrentino lascia che la telecamera indugi su qualsiasi cosa abbia catturato la sua attenzione, creando una serie di piccole digressioni e immagini stratificate… La telecamera rimane giusto il tempo necessario perché lo spettatore si chieda il motivo dell’inquadratura e poi taglia. Questi momenti di piccola bellezza svegliano Jep, anche se solo per un secondo, alla bellezza della vita. Come dirà più tardi: “tra un bla bla bla e l’altro.”

Al centro del film ci sono Roma e l’alta società romana che vengono dipinte come sacre e profane. Sorrentino fonde senza soluzione di continuità la grazia e la volgarità della natura umana. La seconda scena del film è una delle più grandi scene di festa mai catturate su pellicola. Ancora una volta, il regista indugia sui volti e sugli incontri tra personaggi che incontriamo solo momentaneamente. Eppure il film non giudica mai. Viene rivelata la vulnerabilità di ogni singolo personaggio, ognuno alle prese con le proprie lotte di vita.

La ricerca del regista di verità umane universali e l’ambientazione della bellissima città di Roma devono un chiaro debito a Fellini, anche se la conoscenza personale di Sorrentino della Città eclissa le ovvie connessioni archetipiche. La fotografia di Luca Bigazzi aggiunge ulteriori strati di bellezza visiva. Molte delle scene sono illuminate con una dura luce direzionale che crea ombre inquietantemente scure che sottolineano lo squallore dei personaggi mentre navigano nei loro bellissimi dintorni. Ogni scena, accompagnata da una colonna sonora ossessionante, evoca un senso di surreale come se si entrasse in un dipinto.

I sottotoni spirituali e le questioni di scopo e mortalità sono sempre presenti nel film, anche se non ostenta mai il suo messaggio. Tutt’altro, le domande ci sono, ma non vengono mai affrontate direttamente. Il Cardinale nel film è più interessato alle ricette che alla verità spirituale. È solo verso la fine del film, dopo l’incontro di Jep con la suora, che inizia ad avere un po’ di chiarezza. Rendendosi conto che non otterrà risposte alle domande più grandi, si rassegna al fatto che è uno scrittore e deve scrivere. Mentre il film finisce e il suo nuovo romanzo inizia, dice, “Dopotutto, è un trucco.”