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Il “dolore” del Pane Toscano

Chiamatemi pure “amante del sale”, ma ho degli appunti per il pane toscano

“Il pane toscano può avere l’aspetto del pane, può anche avere l’odore del pane, ma non è, cari lettori, il pane come voi e io lo abbiamo conosciuto e amato. Se date un morso, noterete una nota distinta di, beh, niente, con solo un accenno di cartone.”

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.

Gli italiani sanno che il loro cibo viene posto su un immaginario piedistallo mondiale e, a dirla tutta, se anche voi aveste inventato la pizza e la pasta (o almeno ne aveste avuto il merito), sareste piuttosto compiaciuti. La bellezza del canone gastronomico di questo Paese non risiede solo nella pura qualità dei prodotti – che, in più di un’occasione, ha fatto piangere di gioia questo canadese che vi parla – ma anche nella loro caparbia aderenza alla tradizione. Dalle specialità iper regionali alla cucina povera, ogni stufato, ogni taglio di frattaglie, ogni forma di pasta, racconta una storia intrisa di storicità. Non c’è complimento più grande per un cuoco italiano che paragonare il suo cibo a quello della nonna, non c’è orgoglio più grande di quello di uno chef che esclama che un piatto è stato cucinato in un preciso modo in una precisa città da prima che Gesù fosse anche solo un luccichio negli occhi di qualche Arcangelo. Tutto ciò è adorabile, passionale e confuso, ma, detto da una persona la cui nonna è notoriamente una pessima cuoca, a volte la tradizione non è sempre una buona cosa.

Questo mi porta all’argomento che mi piace far girare ogni volta che affronto questo dibattito all’aperitivo, e che sostiene l’innovazione rispetto alla conservazione storica (in alcuni casi): il pane toscano.

Le prime testimonianze sull’uso della farina sono state trovate nel Mugello, a pochi chilometri da Firenze, e sono state fatte risalire all’epoca dei Neanderthal. Questa regione ha letteralmente inventato il pane. Si potrebbe pensare che negli ultimi trenta mila anni, abbiano anche scoperto come renderlo buono. Ed è proprio questo il punto: hanno tutti gli strumenti nel loro arsenale per rimediare a questa grave situazione, solo che scelgono di non usarli. E perché? Ditelo con me con la voce de “Il violinista sul tetto”: tradizione!

Se non avete mai assaggiato il pane toscano, permettetemi di farvi un quadro: immaginate una pagnotta rustica e croccante posta davanti a voi; non avendo mai mangiato pane in vita vostra, vi aspettate di strapparne un pezzo, caldo e soffice. Forse è fatto con lievito madre, forse con cereali integrali, ma in ogni caso la crosta scricchiola, la mollica è morbida e spugnosa e il sapore sa un po’ di lievito, un po’ di salato, un po’ di acido, un po’ di nocciola. Il punto è che sa di pane. Ora facciamo scoppiare questa bolla di sapone. Il pane toscano può avere l’aspetto del pane, può anche avere l’odore del pane, ma non è, cari lettori, il pane come voi e io lo abbiamo conosciuto e amato. Se date un morso, noterete una nota distinta di, beh, niente, con solo un accenno di cartone. Nel migliore dei casi, almeno è appena sfornato e può essere salvato dall’aggiunta di salumi e formaggi toscani o di una buona scarpetta. Nel caso più probabile, non è di per sé raffermo, ma sicuramente non è morbido – la ricetta è stata sviluppata all’epoca dei cacciatori per poter rimanere fresco per diversi giorni – e la netta mancanza di gusto non vale certo il mal di mascella. Forse i francesi chiamano il loro pane “dolore” (pain, che in inglese, appunto, vuol dire “dolore”), ma sono i toscani che lo vivono.

Prima che mi espellano per aver scritto questo articolo, riconosciamo che nessun cattivo nasce cattivo, è il prodotto del suo ambiente, delle sue circostanze, delle sue esperienze. Perché i toscani non pensano di meritare cose belle?

La storia più diffusa del pane toscano risale al Medioevo, quando la regione era molto povera. Il sale, considerato all’epoca un bene di lusso, era pesantemente tassato, quando disponibile. Una storia popolare indica come catalizzatore una faida tra Firenze e Pisa: in un atto di meschinità da vassalli, Pisa – che si trova tra Firenze e i principali porti commerciali – pose un embargo e non lasciò passare le spedizioni di sale verso Firenze. In ogni caso, per i toscani dell’entroterra era difficile procurarsi il sale e quindi, quando lo avevano, dovevano usarlo con saggezza, cioè per conservare le carni e i formaggi. In questo modo, si assicurava che quel poco che si aveva durasse il più a lungo possibile, consentendo di prolungare la durata di conservazione dei prodotti freschi, che avevano il vantaggio di essere salati a sufficienza per compensare la mancanza di sale nel pane con cui li si mangiava. Abbiamo capito che i tempi erano duri e ci complimentiamo per la loro laboriosità. È tutto molto interessante. Ma non è più necessario che sia così. I toscani e i tradizionalisti irriducibili sostengono che il pane toscano, ancora oggi, non abbia bisogno di sale, perché le salse a base di pomodoro, i salumi e i formaggi sono abbastanza salati da compensarlo. Il mio amico Giacomo, fiorentino di nascita e di adozione, è di questa schiera: “Quando penso al pane, penso al pane senza sale. Mi piace anche il pane salato, ma solo con cose diverse, non con il salame”. Personalmente, non me la bevo. Non possiamo, come cittadini di un nuovo mondo coraggioso, in cui il sale è facilmente disponibile in ogni negozio all’angolo e in ogni supermercato per meno di due euro a confezione, imparare a regolare e bilanciare i nostri cibi in modo che ognuno sia delizioso da solo, e non essere costretti ad affidarci a un pane senza sale per bilanciare un salame troppo salato?

Datemi pure del sognatore, ma credo fermamente che ci debba essere un modo per preservare l’autenticità storica e rispettare la tradizione, migliorandola e creando un prodotto che la gente voglia davvero mangiare. 

Francesco Grandi, chef della “Pensione Bencistà” di Fiesole, condivide questa mia visione. Quando ha aperto il ristorante, ha spiegato: “Una parte di noi voleva attenersi alla tradizione e servire pane toscano, mentre l’altra parte amava l’idea di dare ai nostri ospiti il tipo di pane che ci piace mangiare!”. 

Inevitabilmente, ha deciso di trovare un compromesso perfetto, utilizzando le tecniche tradizionali di formatura del pane toscano e le farine di cereali tradizionali di tre produttori: Mulino Sobrino in Piemonte, Mulino di Piezza nelle montagne sopra Lucca e La Ginestra nel Chianti. Tutti e tre i produttori sono stati scelti per la loro qualità e la trasparenza dei loro rapporti con i coltivatori di grano. La pasta viene modellata in pagnotte più grandi, come da tradizione toscana, il che consente una migliore fermentazione (si pensi ai primi tempi in cui il pane doveva rimanere fresco per lunghi periodi di tempo) e un sapore migliore. E contiene sale.

I panificatori come Francesco Grandi stanno trovando il modo di onorare il loro patrimonio e di raccontare una storia, senza però essere così fedeli alla tradizione da inibire la qualità del loro prodotto. Lui, e altri panettieri che la pensano come lui, hanno la capacità di non riscrivere o cancellare la storia del pane toscano, ma di valorizzarla. Forse il mio carattere nordamericano si sta facendo sentire, ma sono favorevole ad andare controcorrente. 

Dove trovare del pane veramente buono a Firenze (non c’è di che):

Panifici

  • C Bio
  • S.forno
  • PANK la Bulangeria

Ristoranti

  • Spontanea
  • Cibrèo (della famiglia C Bio)
  • Santo Bevitore (della famiglia Sforno)
  • Pensione Bencistà
  • C-ucina

C Bio

S.forno

PANK la Bulangeria

Spontanea

Cibrèo

Santo Bevitore

Pensione Bencistà

C-ucina