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Il Cuore della Discoteca Italiana

“Le pareti, le piste da ballo, le luci colorate raccontano le vite di migliaia di giovani, che devono tornare a riprendersi i loro spazi fisici come atto di libertà.”

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.

C’era un’epoca in cui la musica comandava i nostri movimenti; sembra una vita fa. A quei tempi, l’estate accoglieva le folle, le vacanze facevano il resto. C’erano posti dove era permesso liberarsi di tutte le inibizioni, da qualche parte, uno sopra l’altro, in raduni sotterranei con luci forti e intermittenti o in spazi psichedelici sotto le stelle dove vorticare come astronavi aliene: le discoteche.

Dicono che le discoteche siano nate a Parigi, grazie a una strega della notte di nome Régine. Quelle erano le boîtes, come le chiamano i francesi, letteralmente “scatole”, luoghi notturni con un’atmosfera intima, dove ci si poteva incontrare per ballare e ascoltare musica.

In Italia, però, dopo il 1975 e l’apertura del Piper a Roma, la Riviera Romagnola (parte dell’Emilia Romagna) da Riccione a Gabicce, divenne la principale fonte di divertimento, sia di notte che di giorno. Da giugno a settembre, i lettini a righe sulle spiagge si svuotavano in favore di un’altra abbronzatura, quella della luna. Si saliva al Colle dei Pini, sentendosi come Tony Manero di La Febbre del Sabato Sera. Andavamo al giardino di Peter Pan, un antidoto al passare del tempo, o al Bilbò (ora Byblos), una villa in stile mediterraneo con una piscina circondata da un parco di pini e ulivi, una casa per feste esclusive.

Gabicce era l’epicentro dell’epidemia della febbre del sabato sera. Lo stesso anno in cui nasceva il Piper (la discoteca romana), nasceva la Baia degli Angeli (ora Baia Imperiale), lo spartiacque locale della “disco music”. Fu l’imprenditore Giancarlo Tirotti ad anticipare l’esclusivo Studio 54 di New York, creando un locale rivoluzionario sulle ceneri di un circolo sportivo in collina, dotato di piscine e vista panoramica. Il nuovo locale aveva pareti bianche con specchi riflettenti e immagini di Marylin Monroe. Il logo rappresentava un angelo gigante con l’aureola, luminoso e sorridente, pronto ad accogliere chiunque. L’ospite più fortunato, nonché il più ambito dalla folla, era naturalmente il DJ. Il prescelto per le serate, inizialmente un DJ portoricano di nome Tom Sison, si posizionava in un ascensore trasparente sulla Baia, un gioiello, e si muoveva tra i due livelli della discoteca, mixando vinili e alternandosi tra le piste da ballo interne ed esterne, tra piscina e mare. Un sogno che presto si materializzò anche nella Grande Mela. Carmen D’Alessio, organizzatrice di eventi e PR, esportò la Baia, fondando lo Studio 54 nel 1977.

Anche l’Aleph (un’altra discoteca di Gabicce) segnò l’età d’oro delle discoteche, ma a differenza della Baia, la sua architettura era desolata e poco attraente. Era un bunker antiatomico sotterraneo con uno slogan poco invitante “Una stanza vuota. Come te.” Era in puro stile new wave, fatto di piastrelle bianche e luci al neon colorate. Dopo l’arrivo del direttore artistico Giovanni Tommaso Garattoni, l’estetica del locale cambiò in favore di una tappezzeria vittoriana e una sfumatura libertina dei tempi di Oscar Wilde; anche la sala privata esclusiva prese il nome dello scrittore.

Inizialmente, le discoteche avevano tutte un carattere e un’autonomia propri, i generi erano meno ibridi di oggi e i direttori artistici creavano vere e proprie installazioni che dovevano trasmettere una filosofia, un’identità precisa. Ogni disco aveva la sua musica; era un luogo d’avanguardia, dove circolavano idee e arte, un mondo parallelo e possibile, quello che si costruiva nei club. Dagli anni ’60, la disco ha affrontato diversi cambiamenti, riflettendo il ritmo dei movimenti della società. In Italia, durante il boom economico, è emerso un nuovo pubblico pieno di giovani, qualcosa che prima non esisteva. Negli anni ’70, il malessere giovanile è esploso e ha conquistato il mondo con la rivoluzione. La politica dettava la moda. Nel decennio successivo, la stagione della rivolta sembrava finire. Negli anni ’80, la cultura gay ha promosso uno stile di vita libero privo di pensieri dogmatici. A quel tempo, in discoteca potevi incontrare VIP, modelle, celebrità di ogni tipo, oltre a stilisti e persone eclettiche, tutti uniti dal desiderio di attraversare un divario spazio-temporale verso altri mondi. Non è un caso che uno dei club più famosi di Rimini si chiamasse L’Altro Mondo Studios (Gli Studi di un Altro Mondo).

L’architettura della discoteca stessa doveva ricreare intenzionalmente altri cosmi, una struttura di possibilità. C’erano torri per l’illuminazione, per gli spettacoli di luci, mini-bar, proiezioni, tribune a gradoni, tende e soffitti, piste da ballo in acciaio inossidabile e specchi deformati come nei parchi divertimento. Persino i bagni potevano diventare vere e proprie “esperienze”. Come ricorda anche Ettore Sottsass nella mostra del 1969 “Miljö för en ny planet” (Paesaggio per un pianeta fresco), la disco era una specie di paradiso, “un catalizzatore per una sorta di liberazione dal controllo e dalla manipolazione del pensiero, per un possibile distacco dal circolo stretto e controllato di azioni e reazioni nel mondo della civiltà del benessere. […]”

Nel paesaggio urbano di oggi, però, gli edifici delle discoteche sembrano relitti da riconvertire dopo terribili naufragi. I millennials, con l’arrivo dei social media, hanno inventato una nuova geografia, nuovi modi di incontrarsi. E i club che sopravvivono sono per lo più privi della loro gloriosa storia. Le pareti, le piste da ballo, le luci colorate raccontano le vite di migliaia di giovani, che devono tornare a riprendersi i loro spazi fisici come atto di libertà.

In questo contesto di riappropriazione, un nuovo progetto di una delle discoteche storiche della Riviera adempie a questa missione con il suo piano di resurrezione. Dopo un lungo silenzio, Cocoricò è pronto a rinascere dalle sue ceneri, come un totem all’orizzonte. Fondato nel 1989, tra le ville colorate di una Riccione in stile Los Angeles, è diventato la discoteca per antonomasia, situata sulle scogliere della città. Un simbolo, con la sua piramide di vetro (presa anche dalla Villa delle Rose), di un’estate italiana senza tempo. Il club, un tempo tempio della notte, si sta trasformando in un museo: la Repubblica Discocratica del Cocoricò. Il progetto assomiglia a quello di Disco Diva a Gabicce, un festival musicale durante il terzo weekend di giugno, con l’obiettivo di preservare la storia della Disco Music. Entrambi sono segnali che l’estate è iniziata.

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