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I Giganti Dimenticati Della Moda Italiana

Queste etichette meno conosciute meritano di tornare alla ribalta

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Gli italiani sono noti in tutto il mondo per il loro intrinseco senso dello stile e per l’attenzione ad essere sempre ben vestiti. I milanesi in particolare sono considerati particolarmente eleganti. In effetti, la moda sembra essere ben radicata nel tessuto della cultura milanese, rafforzando il suo status di capitale mondiale della moda. Per molti non italiani, me compresa, il semplice richiamo alla moda italiana evoca probabilmente visioni di sontuoso cachemire, abiti perfettamente su misura e morbidi mocassini in pelle. L’importanza dell’Italia nelle fondamenta della moda moderna è innegabile e anche chi ne è completamente disinteressato è capace di nominare una manciata di grandi marchi italiani. L’eccellenza sartoriale del Paese è radicata nella sua storia, in gran parte grazie alla produzione di tessuti come lana, seta e velluto. Durante il Rinascimento, le città di Venezia, Firenze, Roma e Milano erano infatti famose per i loro preziosi tessuti. Dinastie potenti come quella dei Medici, che vestivano con orgoglio le sete fiorentine, hanno fatto crescere il profilo di molte sartorie locali. Essere ben vestiti è sempre stato irrinunciabile per gli italiani: basta girare per gli Uffizi di Firenze per ammirare gli abiti sontuosi di coloro che sono ritratti nei dipinti di Da Vinci del XV secolo.

 

Il marchio “Made in Italy” è sinonimo di materiali di altissima qualità, artigianalità e credibilità, ed evoca immagini di aziende a conduzione familiare che producono capi fatti a mano da generazioni. Il valore di questa dichiarazione è una solida garanzia di eccellenza e di competenza tramandata di anno in anno e il marchio è diventato esso stesso un bene prezioso per il Paese. La nascita del Made in Italy risale al 1951 a Palazzo Pitti a Firenze, dove Gian Battista Giorgini – agente italiano per i grandi magazzini americani – organizzò la prima sfilata di moda italiana per i clienti americani. Fu la prima volta che il prêt-à-porter fu disponibile in più taglie – fortunatamente i famosi couturier francesi non erano ancora in grado di offrire lo stesso. Probabilmente furono proprio gli italiani a creare il ponte tra l’Alta Moda francese e la funzionalità americana, rendendo il concetto di “alta moda” effettivamente indossabile e accessibile.

 

È nell’Italia del dopoguerra, in particolare negli anni Cinquanta e Sessanta, che la moda italiana si afferma grazie alla produzione industriale e ai macchinari che consentono agli stilisti di produrre quantità maggiori dei loro modelli e, soprattutto, di competere con le controparti francesi. Inoltre, la fondazione della Camera Nazionale della Moda nel 1958 consacra l’Italia come una superpotenza sartoriale credibile e rispettata dai suoi omologhi internazionali. Mentre Christian Dior, Hubert de Givenchy e Coco Chanel vestono i vertici della società dai loro atelier parigini, al di là delle Alpi gli italiani cominciano a prendere piede. Quando l’Italia si riprende dalle conseguenze politiche degli anni Settanta, l’ondata di marchi “Made in Italy” subisce un’accelerazione inevitabile.

 

Senza dubbio il motivo per cui associamo gli italiani allo stile è in parte dovuto all’impressionante serie di famosi stilisti che il Paese ha prodotto nel corso degli anni, molti dei quali rimangono ancora oggi nomi noti a livello mondiale: Giorgio Armani, Miuccia Prada e Domenico Dolce & Stefano Gabbana – solo per citarne alcuni che hanno raggiunto la fama mondiale durante il boom del Made in Italy degli anni ’80 – sono famosi per i loro modelli con un seguito fedele in ogni mercato internazionale e sono ancora i principali stilisti dei loro marchi omonimi. Altri come Valentino Garavani, Guccio Gucci, Paola Fendi, Salvatore Ferragamo, Gianni Versace, Ermenegildo Zegna e Ottavio Missoni non sono più al timone, ma i loro nomi vivono come marchi leader del lusso con fatturati annuali di diversi miliardi. La loro influenza sulla moda trascende la storia: il “rosso Valentino” e il “greige” di Armani sono diventati colori iconici, mentre la fibbia del morsetto di Gucci o la pelle intrecciata di Bottega Veneta sono universalmente riconoscibili anche senza logo. 

 

Eppure c’è una manciata di stilisti italiani il cui contributo alla moda moderna è stato inestimabile e i cui nomi sarebbero degni di maggiore notorietà. Questi stilisti occupano un posto molto importante nella storia della moda e un tempo erano sinonimo di “eleganza italiana”. Tuttavia, le loro stelle si sono un po’ offuscate con il passare del tempo. Rischiamo che i nomi di questi stilisti vadano persi. È quindi giunto il momento di educare le nuove generazioni a conoscere i giganti che hanno aperto la strada della moda nel XX secolo. Dopotutto, per prevedere il futuro, è essenziale capire il passato. Ecco alcuni dei giganti perduti della moda italiana che meritano di tornare alla ribalta.

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.
 

Mariuccia Mandelli a.k.a. Krizia (1925 – 2015)

Originaria della città di Bergamo, nel nord Italia, Mariuccia Mandelli è ampiamente considerata “la madrina della moda italiana”, e il suo marchio Krizia è stato uno dei più popolari a Milano negli anni Sessanta e Settanta. Tuttavia, la Mandelli ha rischiato di non diventare una stilista perché i suoi genitori volevano che diventasse un’insegnante di scuola elementare, professione che ha realmente svolto per qualche anno fino a quando un’amica le ha suggerito di seguire la sua vera passione: la moda. Nel 1954, la Mandelli girava per Milano con la sua Fiat 500 piena di disegni che vendeva ai negozi milanesi. Ben presto viene notata da un giornalista della rivista Grazia e dieci anni dopo tiene la prima sfilata del suo marchio Krizia a Palazzo Pitti a Firenze, per la quale riceve il prestigioso premio della Critica della Moda. In seguito posa per un ritratto di Andy Warhol e, grazie alle sue idee apparentemente radicali e alla sua cerchia di amici, acquisisce il soprannome di “Crazy Krizia”.

 

Il nome del marchio Krizia deriva dall’antico dialogo del filosofo greco Platone, Κριτίας, che parla della vanità femminile e che incarna l’approccio di Mariuccia Mandelli alla moda e la sua capacità di riflettere l’atmosfera progressista degli anni Settanta nelle sue creazioni. Dopotutto, Mandelli è stata la prima a presentare in passerella hot pants scandalosamente corti nel 1971. Quando, prima di morire, le fu chiesto in un’intervista come fosse la sua donna Krizia ideale, Mandelli rispose “la mia donna è libera”, consolidando così il suo posto di rivoluzionaria negli annali della storia della moda italiana.

Mina wearing Krizia

By Manuelarosi - Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=91820044

 

Gianfranco Ferré (1944 – 2007)

Gianfranco Ferré è forse più conosciuto per essere stato direttore creativo di Christian Dior dal 1989 al 1996, ma il suo marchio omonimo è stato uno dei brand italiani più influenti degli anni Ottanta e Novanta. Ferré ha studiato architettura a Milano e questo ha influenzato il suo successivo lavoro di stilista: grazie alle sue silhouette elaborate e scultoree si è guadagnato la fama mondiale di “architetto della moda”. In effetti, la sua formazione architettonica era particolarmente evidente nell’uso di cuciture esagerate e di camicie bianche voluminose con polsini oversize, che sono diventati entrambi segni distintivi delle sue creazioni.

 

Ferré inizia la sua carriera disegnando accessori per Walter Albini, ma presto fonda il suo marchio nel 1974, disegnando sia abbigliamento femminile che maschile. I viaggi in India di Ferré gli ispirano l’uso del giallo, del rosso e del fucsia nelle sue creazioni, insieme alla prominenza del paisley, che porta un tocco esotico d’Oriente nella Milano degli anni Ottanta. Tuttavia, è la sua insolita nomina alla maison Dior nel 1989 da parte di Bernard Arnault a catapultare Ferré nella fama mondiale. Il suo arrivo a Parigi suscita molte perplessità, poiché all’epoca era inaudito che una casa di alta moda parigina assumesse uno stilista straniero, ma Ferré si guadagna ben presto un fedele seguito di clienti di Dior e si afferma come celebre designer. Dopo la sua permanenza da Dior, Ferré torna a Milano e continua a disegnare per il suo marchio fino alla sua prematura scomparsa, avvenuta nel 2007 a soli 62 anni. Famoso per il suo talento sartoriale e per le sue silhouette androgine, Gianfranco Ferré rimane uno degli stilisti italiani più celebri anche dopo la sua morte.

Courtesy of © Fondazione Gianfranco Ferré

 

Elio Fiorucci (1935-2015)

Fiorucci: un marchio sinonimo di cultura disco, jeans attillati e t-shirt ornate da cherubini con occhiali da sole – l’uniforme non ufficiale dei ragazzi cool degli anni Ottanta. Le origini di questo famoso marchio sono però molto più umili: il quattordicenne Elio Fiorucci inizia a lavorare nel negozio di scarpe di famiglia a Milano insieme ai suoi cinque fratelli. Ben presto si mette a disegnare scarpe per conto proprio, guadagnando il denaro necessario per viaggiare in tutto il mondo in cerca di ispirazione. Viaggia a Ibiza, in Messico e, soprattutto, arriva a Londra durante gli anni Sessanta, dove viene talmente galvanizzato dagli stili radicali di Carnaby Street e King’s Road che, al suo ritorno in Italia, Fiorucci fonda il proprio marchio di moda ispirato alle tendenze dei marchi inglesi Mary Quant e Biba.

 

Fiorucci non era interessato a seguire le orme dei marchi italiani tradizionali: voleva invece creare qualcosa di più audace, eclettico e dirompente, qualcosa di mai visto in Italia. I negozi Fiorucci erano completamente diversi dai tradizionali negozi di abbigliamento, con opere di Keith Haring alle pareti, DJ set dal vivo e bar all’interno che servivano cocktail e stuzzichini. Il suo negozio di New York divenne addirittura noto come lo “Daytime Studio 54” per la sua atmosfera selvaggia e per il suo status di luogo di ritrovo per talenti giovani e brillanti. Andy Warhol aveva persino un ufficio all’interno del negozio, dove fondò la rivista “Interview”. Oltre che per questa sua intuizione di convertire la vendita al dettaglio in qualcosa da vivere e sperimentare (piuttosto che solo comprare), Fiorucci è forse più noto per la nascita dei jeans elasticizzati: denim con l’aggiunta di lycra per creare un effetto quasi spray che per quel tempo risulta brillantemente scandaloso. Fiorucci è immortalato nella canzone “He’s The Greatest Dancer” delle Sister Sledge: “Indossa i vestiti più belli, i migliori stilisti che il cielo conosca, ooh, dalla testa fino alle dita dei piedi, Halston, Gucci, Fiorucci…”.

 

Elvira Leonardi Bouyeure a.k.a. Biki (1906 – 1999)

Moda e musica vanno spesso a braccetto e la vita di Elvira Leonardi Bouyere ha certamente intrecciato i due mondi. Nata a Milano subito dopo l’inizio del XX secolo, Bouyeure ha avuto fin da piccola una grande affinità con la musica grazie al nonno, il celebre compositore Giacomo Puccini. Fu Puccini a dare a Bouyeure l’insolito soprannome di “bicchina” da bambina, che significa “birichina”, poi diventato “Biki”. Dopo molti viaggi a Parigi per conoscere il mondo della moda (qui incontra il futuro marito, il collezionista d’arte Robert Bouyeure), Bouyeure decide di aprire il proprio marchio di moda a Milano nel 1934, per poi allargarsi anche a Zurigo, Saint Tropez e Portofino.

 

La stilista ha un ruolo particolarmente importante nella storia della moda, essendo probabilmente la prima “celebrity stylist”. Bouyeure si circonda di famose figure musicali e teatrali durante la sua infanzia, essendo la nipote di un compositore di fama mondiale, e quindi gravita per forza di cose attorno alle stelle del palcoscenico e dello schermo. Bouyeure veste molte attrici con i modelli Biki, tra cui Sophia Loren e Brigitte Bardot, ma è la cantante lirica Maria Callas a far esplodere il brand Biki. Quando la giovane Callas arriva a Milano per esibirsi alla Scala negli anni Cinquanta, viene criticata per il suo modo di vestire poco alla moda. Bouyeure vede la Callas esibirsi e ne rimane talmente colpita che si offre di vestirla per tutte le apparizioni pubbliche. Grazie a Bouyeure, la Callas diviene presto un’icona della moda mondiale e continua a indossare le sue creazioni fino alla fine della sua carriera operistica, consacrando Biki come una rinomata sarta milanese e un’originale stilista che sarebbe passata alla storia.

Maria Callas

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Mila Schön (1916 – 2008)

Maria Carmen Nutrizio, detta Mila, è stata una figura chiave nello sviluppo della moda moderna grazie al suo occhio per i dettagli, alle silhouette rigorose e all’amore per i famosi couturier che hanno ispirato le sue creazioni. La Schön nasce nel 1916 da genitori italiani nella regione della Dalmazia, nel nord-est dell’Italia, che poi diventa parte della Croazia dopo la seconda guerra mondiale. Sposa un ricco uomo d’affari austriaco che conosce a Milano (da qui il suo cognome germanico) e da giovane donna benestante nell’Italia del dopoguerra Schön è cliente abituale dei couturier Cristobel Balenciaga e Christian Dior. Dopo il divorzio e il conseguente tracollo finanziario, la giovane italiana decide di disegnare i propri abiti, non potendo più permettersi di acquistare l’alta moda, e i suoi modelli si guadagnano presto una fedele clientela di donne italiane benestanti. La Schön presenta la sua prima collezione nel 1965 a Palazzo Pitti a Firenze e l’anno successivo apre un negozio nella famosa via Montenapoleone a Milano. I suoi modelli diventano riconoscibili per il taglio preciso e le linee eleganti e minimali e la firma di Schön si rafforza grazie all’uso della lana “double-face” per creare cappotti reversibili (a causa della sua apparente avversione per le fodere lucide).


I suoi modelli sono indossati dalle donne eleganti dell’alta società negli anni Sessanta, in particolare da Jacqueline Kennedy e da sua sorella Lee Radziwill, che Schön veste con una tunica di perline per il Black and White Ball di Truman Capote del 1966. Schön disegna persino le uniformi delle hostess dell’Alitalia nel 1969, creando eleganti completi di lana verde con minigonne e cappelli con fiocco abbinati. Oggi Mila Schön è riconosciuta come una stilista italiana all’avanguardia e la sua eredità rimane quella dell’uso della lana double-face, che in seguito diventò una delle peculiarità dello stile anni Sessanta. Diversi modelli della Schön sono oggi esposti al Metropolitan Museum of Art di New York e al Victoria & Albert Museum di Londra.

Benedetta Barzini in Mila Schon Rome,1968

Mila Schön in her atelier 1969; Courtesy of Mondadori

 

Molti di questi ex giganti del fashion business sono ormai tristemente scomparsi dalla memoria, ma la loro eredità continua a vivere nella moda che indossiamo oggi. Sarebbe impossibile elencare tutti gli stilisti italiani che hanno contribuito a plasmare l’industria della moda nel corso degli anni, e spero di essere perdonata per quelli che non sono riuscita a includere. Milano non sarebbe la capitale della moda che è oggi senza queste figure fondamentali che hanno creato il Made in Italy, ormai famoso in tutto il mondo: grazie a loro, l’Italia si è affermata come paese dell’eccellenza sartoriale e ha plasmato in modo significativo il mondo della moda come lo conosciamo oggi.

Elegante ristorante dalle pareti blu con sedie arancioni, tovaglie bianche, opere d'arte, specchio dorato e vista sul bar. Arredamento caldo e classico. Elegante sala da pranzo con pareti blu, specchio dorato e poster d'epoca. Sedie arancioni su tavoli rivestiti di bianco. Presenti i loghi Helvetia e Bristol.