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Guida Fashion Stylist al Made in Italy

Da Venezia a Palermo, tra gemme nascoste, tessuti artigianali e outlet di ceramiche

“Per parlare di Made in Italy oltre i luoghi comuni, era la persona giusta”

Di che cosa parliamo quando parliamo di Made in Italy? Moda, misurando il mercato, cibo, avrei detto io, stile probabilmente risponderebbero all’Estero. Saper fare è la risposta di Nicolò Milella, che di lavoro scopre e seleziona cosa belle per riviste di moda e di design, dividendosi fra set fotografici e consulenze creative. Conosce tutti, tiene a bada le PR milanesi della moda e di hobby colleziona porcellane. Per parlare di Made in Italy oltre i luoghi comuni, era la persona giusta.

L’artigianato italiano è una cosa seria infatti, soprattutto oggi. Prima tutto era artigianale perché non c’era alternativa, bene o male si faceva a mano e basta. Le cose sono cambiate con l’industrializzazione e la globalizzazione, ossia quando abbiamo cominciato a produrre e a comprare mille cose, fatte male e in fretta, progettate apposta per essere cambiate e buttate via. L’artigianato di massa è scomparso per colpa del consumismo (mica a causa della tecnologia) ed è sopravvissuto quello di nicchia, alimentato dai grandi brand dell’alta moda e del design. Da chi sceglie il bello come stile di vita e come modello di consumo. 

Per cercare l’artigianato (quello vero) non basta quindi passeggiare per le vie del centro e lasciarsi ammansire dalle vetrine di souvenir e “prodotti tipici locali”, ma serve andare a cercare indietro nella storia e dietro le porte di laboratori segreti. L’artigianato italiano che tutti vorrebbero non è a buon mercato, non è alla moda, ma è davvero originale. E molto spesso non è quello che ti aspetti. 

Per carpire gli indirizzi di Nicolò, tento di procedere per città: Venezia? Chiedo per cominciare dal vetro di Murano. Pizzi e broccati! Mi risponde lui – al terzo bicchiere di vino durante un brunch al Four Seasons si finirà per parlare di porcellane, di via della seta. E di tartarughe.

Venezia, lungo la via della seta

A Venezia la seteria è arrivata attraverso Bisanzio, lungo la via della seta, dalla Cina, e si sviluppata grazie al contributo dei tessitori lucchesi arrivati in città ai primi del Trecento. È una storia affascinante, che si può visitare fra le mura del nuovo Museo Mariano Fortuny, appena riaperto al pubblico e assolutamente da visitare. «Mariano Fortuny fra Ottocento e Novecento fece quello che Bevilacqua aveva fatto nella sua tessitura secoli prima, ma con un procedimento a suo modo innovativo. Cominciò a stampare con blocchi di legno riproducendo i disegni dei damaschi che prima venivano fatti con trama, ordino e i telati. Venezia porta con sé il fascino del passato. Pensa alle plissettature di Fortuny, sono un rimando all’antica Grecia come le sue lampade, sembrano lanterne marocchine».

Courtesy of Fortuny; Photography by Alessandra Chemollo

L’innovazione del vetro, della porcellana e dei bicchieri

Venezia è stata fucina di innovazione in Italia, grazie alle sue connessioni con il resto del mondo. E in questo la storia del vetro non è dissimile. Mentre in altri paesi le vetrerie sono sorte nelle vicinanze dei luoghi di estrazione delle materie prime o del combustibile, Venezia e Murano hanno sempre dovuto importare tutto da lontano, tranne i maestri vetrai, che sono stati chiamati all’estero fin dal Rinascimento per il loro sapere. Seguso è una delle dinastie vetrarie più antiche dell’isola di Murano, la cui tradizione si tramanda dal 1397 lungo 23 generazioni, ed è visitabile su prenotazione – mi spiega Nicolò. «Venini, il marchio più noto, esiste dal 1921 ed è diventato famoso grazie alla collaborazione con i tanti designer con cui hanno lavorato». Fanno bicchieri? Chiedo in cerca di idee per lo shopping. «Fanno lampadari. Il vetro di Murano come oggetto da tavola è arrivato recentemente, prima si beveva nell’argento o nel peltro, il vetro era rarissimo. Il lampadario era uno status symbol e il numero dei suoi bracci contava il denaro e quindi il potere. I bicchieri fanno souvenir perché Carlo Scarpa per Venini disegnò dei bicchieri che la gente potesse usare tutti i giorni, senza stelo. Li hanno inventati loro, ma visto che li si trova un po’ ovunque per averli davvero di Venini te li fanno solo su ordinazione!». Si possono comprare però quelli di Striulli, vetreria che ha aperto solo trent’anni fa e che fa vetreria contemporanea.

Nicolò è un collezionista di porcellane e così finiamo anche a parlare di quella, veneziana. La storia della porcellana veneziana è stata breve visto che è stata prodotta per meno di un secolo nel Settecento – gli stessi anni in cui in Germania si sviluppa la porcellana di Meissen. Siamo agli albori della produzione occidentale. «L’invenzione della porcellana è cinese, e le corti europee si innamorarono delle porcellane Ming alla fine del Trecento. Gli europei anno solo maîtrisée la tecnica, come a Venezia nella manifattura di Geminiamo Cozzi. Ha ancora oggi a catalogo un servizio Settecento, si chiama Striche, è fatto a righe, giallo come l’oro. Sembra fatto negli anni quaranta tanto è moderno!» – mi spiega Nicolò.

Courtesy of Seguso

Alla ricerca dello sfarzo

Nel Settecento però le corti erano quelle di Napoli e Palermo, il Regno delle Due Sicilie, il vero sfarzo lo si trova a Sud. «In Campania hanno un artigianato altissimo nella lavorazione del cotone, nel lino e del cachemire». A Capri tutti conoscono i sandali, come quelli di Canfora che li ha fatti a Jackie Kennedy e a Grace Kelly. «Ma se i ciabattini ci sono ancora ma sono scomparsi i sarti che ti facevano i pantaloni Capri su misura in mezza giornata e i costumi in crochet o in cotone». C’è anche chi fa il cachemire come Farella, che tesse manualmente i suoi scialli in quello che fu il laboratorio tessile delle suore novizie, nel centro dell’isola. Pochi chilometri dopo, a Vietri sul Mare per strada i negozi espongono ceramiche fatte a mano come souvenir, ma ci si può non accontentare di una piccola bottega e andare dritto alla fonte: alla grande fabbrica di Solimene. Ricoperta di piastrelle e disegnata dall’architetto Paolo Soleri, è una delle architetture più significative del ‘900 e ospita il laboratorio e l’outlet aziendale delle seconde scelte. «Solimene nasce rudimentale, ma è la riedizione di qualcosa di classico. I piatti con gli animaletti vengono dal ricordo di un vissuto» e sono un vero classico, diffuso ovunque, dai ristoranti alle case, non un prodotto di nicchia per star di Hollywood – che si può portare a casa per pochi euro. 

 

Jacqueline Kennedy wearing Canfora sandals

Lo stile italiano e i mestieri dimenticati

Le ceramiche di Solimene fanno parte dello stile italiano, un po’ come le teste dei mori rese celebri nel mondo dagli stilisti Dolce&Gabbana: «Tutti parlano delle ceramiche di Caltagirone, ma a Santo Stefano c’è una produzione meno nota ma molto interessante. Usano ancora disegni medioevali, meno iconograficamente siciliani, ma molto più simili a quelli che puoi trovare a Marrakech. E ti fanno capire che cosa hanno sedimentato le dominazioni». Bizantini, Arabi, Normanni, di qui sono passati tutti e tutti hanno lasciato qualcosa di unico, che si è fuso con gli usi e costumi precedenti. Dopo secoli sono ancora lì perché a Sud le tradizioni hanno resistito più a lungo che a Nord e questo ha permesso di preservare alcuni saperi più a lungo. «In Sicilia è sempre esistito il concetto del corredo, e resiste ancora. Sfilato, punto principessa, il merletto a filet sono tutte cose che nessuno più produce, o nemmeno conosce altrove. Ma c’è un’azienda ad esempio, La Tela di Penelope, che produce ancora tutto a mano e dove le donne anziane insegnano alle giovani tessitrici i segreti del mestiere». Mestieri che oggi difficilmente i giovani vogliono fare, ed infatti la scomparsa delle professioni è il vero allarme nazionale: senza tovaglie buone, servizi della domenica e liste nozze si rischia di veder sparire saperi secolari. Nicolò tira fuori il telefono per farmi vedere le foto di Marcello Meli, l’ultimo tartarugaio di Palermo. Ebanista da generazioni fa ancora tutto come avrebbe fatto un suo trisavolo, solo che oggi prosegue la tradizione solo con il restauro, di pochi preziosissimi pezzi antichi. Ha molto in comune come le tartarughe, è un animale in via di estinzione pure lui. Serve salvarli, ma per farlo non basta proteggerli come i panda, serve renderli utili. E fortunatamente sembra arrivato il momento storico in cui ci siano stufati di sprecare e circondarci di robaccia vogliamo tornare ad investire in oggetti durevoli e sostenibili, attuali come un corredo o un servizio di porcellana.

Courtesy of Fortuny

Courtesy of Farella

Courtesy of Fortuny

Courtesy of Geminiamo Cozzi

Mariano Fortuny Museum, Venice

Seguso, Venice

Striulli, Venice

Geminiamo Cozzi

Canfora, Capri

Solimene, Vetri sul Mare

La Tela di Penelope