Questa frase è incisa su una roccia presso il Massiccio della Maiella. Per gli abruzzesi è questo: una madre, femminile, mistica, fertile. Il Parco Nazionale della Maiella (uno dei ventiquattro parchi italiani) si raccoglie attorno al gruppo di montagne appenniniche e dal 2021 è un Global Geopark dell’UNESCO. Sotto la sua ala ci sono 74.000 chilometri di panorama mozzafiato, trentotto comuni, tre province e una spettacolare fascia geografica che ospita una ricchissima biodiversità: qui risiede un terzo delle specie floristiche italiane. La Maiella comprende la seconda vetta più alta dell’intera catena appenninica: la cima del Monte Amaro (2.795 metri) – “Montagna amara”, aspra proprio come la fatica per scalarla – rivela un brullo paesaggio lunare che si affaccia sull’orizzonte infinito. Ma i crinali e gli altipiani della Maiella si addolciscono lentamente in colline rigate da filari di ulivi e vigneti, che degradano verso l’azzurro del mare. Anche una local come me non può fare a meno di cedere, ogni volta, allo stupore.
La maternità della Maiella deriva dalle leggende contadine di Maja, la dea della crescita, soprattutto in natura. Si narra che Maja fuggì dalla Frigia con il figlio, il gigante Ermes, dopo che questi era stato gravemente ferito in battaglia, ma durante il viaggio naufragarono sulla costa abruzzese. Lì, Maja sentì parlare di preziose erbe medicinali che crescevano spontaneamente sulla cima di una montagna e, con il figlio sulle spalle, iniziò a scalarla. Ma Ermete morì prima che lei potesse raggiungere la sua meta e il gigante venne sepolto sul Gran Sasso, un monte il cui profilo gli è valso il soprannome di “Gigante addormentato”. Quanto a Maja, gli abruzzesi le hanno dato dimora eterna sulla maestosa montagna di fronte al sepolcreto del figlio, che porta il suo nome e le sue sembianze: il profilo di una donna sdraiata, localmente nota come la “Bella Addormentata”. La leggenda narra che, durante i giorni di tempesta, il suono del vento che soffia è il grido di Madre Maja per Hermes.
Ecco una guida ai paesi – la loro storia, le bellezze naturali e i cibi imperdibili – della Maiella orientale:
PRETORO
Quando scende la notte, Pretoro si anima con il caldo bagliore delle case illuminate e dei lampioni, creando un pittoresco presepe contro la sagoma scura della Maiella. Arroccata in cima alla montagna, questa pittoresca cittadina è ricca di case incantevoli, vicoli tortuosi, grotte di pietra intricatamente scolpite e una scalinata di 1.407 gradini che porta alla piazza principale.
Pretoro è nota per essere la città del lupo appenninico, protetto in una speciale area faunistica. Una delle sue celebrazioni più affascinanti è il “Miracolo di San Domenico e del Lupo”, la prima domenica di maggio: la processione, dedicata al santo, vede la presenza dei serpari, gli acchiappa-serpenti.
Pretoro è nota anche per i suoi abili fusari, artigiani del legno che realizzano minuziosamente gli strumenti per la filatura della lana. In inverno, nella vicina Passolanciano-Majelletta – una delle stazioni sciistiche più famose d’Abruzzo – si può scendere dalle piste con una vista mozzafiato sul mare Adriatico.
Da non perdere la torta del lupo: un tipico dolce al cioccolato fondente e vino rosso, imbevuto di rum e ripieno di squisito cioccolato gianduia, inventato dalla signora Paola Alimonti nel suo laboratorio “Dolcezze del Parco” nel 2009.

GUARDIAGRELE
Nel romanzo di Gabriele D’Annunzio “Il trionfo della morte”, Guardiagrele emerge come un’ambientazione significativa, in quanto luogo di nascita del protagonista e dominante nella narrazione del secondo libro. Spesso definita “La Terrazza d’Abruzzo” per la sua posizione tra le montagne e il mare, la città è rinomata per il suo storico artigianato e per la vivace comunità di abili orafi, ferraioli, ceramisti, falegnami e artigiani del rame.
Il centro gravita attorno alla Collegiata di Santa Maria Maggiore, fiancheggiata da due portici che conservano affreschi storici, in particolare quello di San Cristoforo, e sormontata da un complesso di nove campane che suonano gioiosamente ogni domenica. Dirigendosi verso il mare a est si raggiunge la Villa Comunale, il parco pubblico da cui si gode un panorama che arriva fino alle isole Tremiti.
A Guardiagrele i turisti fanno la fila per acquistare le famose sise delle monache, dette anche tre monti, un dolce tipico locale a base di pan di Spagna, crema pasticcera e zucchero a velo che si può assaggiare da “Emo Lullo”, una pasticceria che le produce dal 1889. Per gli amanti dell’alta cucina, si consiglia di recarsi allo stellato “Villa Maiella”.

PENNAPIEDIMONTE
Pennapiedimonte, letteralmente “la Penna ai piedi del Monte”, è scolpita nella pietra bianca della Maiella orientale. Su un ripido costone roccioso che domina la valle del fiume Avello, il centro storico di Pennapiedimonte è costellato di case in pietra, antichi frantoi, cantine, stalle e magazzini scavati nella roccia. Le tracce storiche dei mastri scalpellini sono evidenti nei cornicioni, nei capitelli, nei portali e nelle sculture in pietra delle facciate del paese.
Dal Belvedere Balzolo si può ammirare la magnificenza della Valle dell’Avello, i suoi profondi canyon e le grotte pastorali: qui, consiglio di portare un pranzo al sacco con salsicciotto di Pennapiedimonte e strozzacavalli. Sul Belvedere si trova uno sperone di roccia che ricorda una donna in preghiera: la leggenda vuole che sia la Dea Maja che accudisce il figlio. Il Balzolo è il punto di partenza di diversi sentieri escursionistici – un tempo utilizzati dai pastori con le loro greggi durante la transumanza – per raggiungere le cime più alte della Maiella.

CIVITELLA MESSER RAIMONDO
Qui il territorio montuoso si trasforma in colline ondulate, scolpite dai fiumi Verde e Aventino e delimitate dal sereno lago di Sant’Angelo. L’antico borgo, arroccato sulla collina, evoca le sue radici medievali: i vicoli che si intrecciano e la via principale convergono verso il pinnacolo dove si erge orgoglioso il grande Palazzo Baglioni. Per un affascinante viaggio nella storia del paese, seguite il Percorso Civitas, un sentiero che vi condurrà ai punti di riferimento e ai cartelli che ne raccontano la storia.
Delizie da non perdere? La torta di mandorle e le campanelle civitellesi, salsicce di maiale piccanti chiamate “campanelle” perché, appese nelle cucine dei contadini a stagionare, oscillavano come campane con il vento. Quando fuori fa particolarmente freddo, prendete un bicchiere di mosto cotto e un piatto di sgattone, un tipo di pasta cotta nel brodo di vino caldo.
Spero che abbiate la fortuna di trovare paesani che giocano alla ruzzola. In origine il gioco prevedeva l’utilizzo di un pecorino stagionato, ma oggi la ruzzola è un cilindro di legno avvolto in uno spago: vince chi lo fa girare più lontano. È sempre un momento di autentica gioia vedere gli anziani del paese giocare dopo cena.

FARA SAN MARTINO
Questo borgo medievale è incorniciato dalle Valli di Santo Spirito e Serviera ed è attraversato dal fiume “Verde”. Le acque cristalline del fiume hanno dato impulso a famosi pastifici – come De Cecco, Delverde e Giuseppe Cocco – che hanno fatto di Fara San Martino la capitale mondiale della pasta. La forza dell’acqua, incanalata in ripide cascate, ha messo in moto anche le numerose gualchiere (macchinario per la manifattura laniera) che sono sorte lungo il suo corso. Da visitare la “Gualchiera Orsatti”, risalente al XIX secolo e oggi sede del Museo delle Tradizioni.
Qui, profonde gole rocciose si aprono lungo le pareti della Maiella come sinuosi canyon bianchi, che svelano a poco a poco un prezioso gioiello archeologico: l’Abbazia di San Martino in Valle, scavata nella roccia, risale all’anno 832.
Accessibile attraverso la Porta del Sole, Terra Vecchia è la parte più antica del borgo, caratterizzata da strette rampe e ripide scale che conducono all’antico quartiere. Fu proprio questo ipnotico labirinto di vicoli e scalinate a suscitare il genio creativo di Maurits Cornelis Escher, incisore e grafico olandese, che immortalò Fara San Martino nella sua incisione del 1928.

LAMA DEI PELIGNI
Lama dei Peligni è circondata da boschi che cambiano colore a seconda delle stagioni: verde infinito in estate, rosso fuoco in autunno e bianco scintillante in inverno. Da vedere la Piazza Umberto I, con portici e un campanile del XVI secolo, e, accanto, il Belvedere Francesco Verlengia, che prende il nome da un illustre bibliotecario italiano.
La città ospita anche una riserva faunistica e un museo dedicato alla capra-antilope camosciata appenninica e le Grotte del Cavallone: le grotte naturali più alte d’Europa, raggiungibili con una cestovia a due posti. Le formazioni hanno ispirato all’artista Francesco Michetti la scenografia de “La Figlia di Iorio”, la tragedia scritta dal poeta e drammaturgo Gabriele D’Annunzio.
Da non perdere la sfogliatella lametina, ispirata a quella napoletana. Donna Anna ha reinterpretato la ricetta, dono della cognata campana, con le materie prime abruzzesi: marmellata d’uva (al posto della ricotta), marmellata di amarene, mosto cotto e noci di bosco. La ricetta viene tramandata di madre in figlia, seguendo una discendenza tutta al femminile. Per assaggiarla, recatevi da “Pizza e Dolci” Da Emilia o da “I Segreti di Donna Anna”.
