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Gennaio a Rimini Amarcord

“Rimini è un pastrocchio, confuso, pauroso, tenero, con questo grande respiro, questo vuoto aperto del mare. La nostalgia diventa più nitida lì, specie il mare d’inverno, le creste bianche, il gran vento, come l’ho visto la prima volta…”

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.

Gennaio è un mese pieno di aspettative per un nuovo anno carico di “fuoco”, buoni propositi, sogni e progetti che scaldano l’anima e lasciano correre l’immaginazione. Gennaio è il primo dei dodici mesi durante i quali nell’immaginario collettivo tutto ha il sapore di un nuovo inizio.

Così è stato per Federico Fellini, di cui festeggiamo il compleanno il 20 gennaio 1920. È nato a Rimini, da una madre romana, Ida, e un padre romagnolo, Urbano. Da giovane, Fellini ha lasciato la sua città natale, per passare un anno in Toscana e una vita a Roma. È arrivato alla stazione Roma Termini diciannove anni dopo la sua nascita, con un obiettivo: studiare legge. Era il 1939 e come tutti sanno il giovane Fellini era tutto tranne che un uomo di legge. Invece, poco dopo il suo arrivo nella capitale italiana, ha deciso di seguire la sua ispirazione e i sussurri del genio creativo che aveva e nascondeva dentro di sé da tempo; una creatività unica che ha iniziato a emergere attraverso i suoi disegni, fumetti e articoli satirici apparsi su vari giornali nazionali, prima nella bellissima Firenze, poi nella capitale e infine in tutto il mondo. Le sue opere cinematografiche hanno letteralmente cambiato il mondo del cinema e messo in primo piano città italiane notevoli nella storia della settima arte: Roma, la città della “dolce vita”, ma anche Rimini, la città natale del regista.

Non solo ha immortalato Rimini, grazie alle abili ricostruzioni a Cinecittà, come nel suo film premio Oscar “Amarcord” (uscito nel 1973), ma la racconta anche nel suo libro del 1967: “La mia Rimini”. La scelta del titolo Amarcord deriva dal dialetto della sua terra d’origine, la Romagna; è l’abbreviazione di “Mi ricordo”. Per l’esattezza, “A m’arcord” in romagnolo è un’abile miscela di quattro parole: amore, ricordo, amaro e cuore. Fellini, quando pensò alla sceneggiatura di questo film, voleva evocare un sentimento di addio “a una certa stagione della vita, quell’adolescenza inguaribile che rischia sempre di possederci.” Parole che non solo evocano un sentimento molto personale ma sono diventate sinonimo del suo stile cinematografico.

La parola “ricordo”, che compone l’ultima parte di “A m’arcord”, deriva dal latino “recordari”, una parola che ha il prefisso “re” e il sostantivo “cor” che è cuore. Nel cuore risiede la memoria e lì si manifesta sempre come un sentimento sincero, che sia positivo o negativo. Come testimonia anche la lingua francese, l’espressione “imparare a memoria” è in realtà “par coeur”, ricordare attraverso il cuore.

Come Fellini ricordava le immagini della sua città e le ha rese indimenticabili al mondo attraverso i suoi film, Rimini ha voluto ricambiare quel sentimento dedicando un’intera area urbana a San Giuliano fatta di murales e schizzi alla sua memoria. Questo è uno dei quartieri più caratteristici della Riviera Romagnola fatto di colori unici e stili architettonici, proprio come l’area amata da Fellini che circonda il circo della città di fronte a Castel Sismondo, a due passi dal mare, con case dai tetti bassi e acciottolati una sopra l’altra, dove ognuno di noi può rivivere il sogno. San Giuliano si trova appena oltre l’imbattibile ponte in pietra d’Istria dell’imperatore Tiberio, una delle meraviglie più visitate di Rimini insieme alla ” Domus del chirurgo“, un complesso di mosaici romani tra cui quello di Orfeo. Entrambi si trovano a pochi passi dal Tempio Malatestiano, un gioiello rinascimentale di Leon Battista Alberti che ospita un crocifisso di Giotto e un affresco di Piero della Francesca. Rimini offre molte facce, come si addice a una città che è spesso cambiata, ma che sembra sempre in balia del passato, ancorata alle tradizioni, ai ritmi e agli eventi della natura.

Ed è proprio così, perché estate o inverno, la Riviera restituisce un sapore agrodolce, che rimane, forte e persistente.

Con il sole, il Grand Hotel di Rimini sembra una roccia di sale bianco illuminata dal sole, che si erge sul mare. Per più di mezzo secolo ha rappresentato il gusto del vivere all’italiana. L’edificio in stile Liberty, il parco e le grandi terrazze furono progettati nel 1908 e nel 1994 furono dichiarati monumento nazionale dalla Soprintendenza alle Belle Arti.

Nelle serate estive il Grand Hotel diventava Istanbul, Baghdad, Hollywood. Sulle terrazze, protette da tende di piante fitte, si intravedevano le schiene nude di donne che sembravano d’oro, strette da braccia maschili in smoking bianchi. Qui, la location da favola delle mille e una notte ospitava personaggi come Alberto Sordi, Sofia Loren, Lady Diana, lo stesso Fellini, non più ragazzino con l’amico Titta Benzi, ma uomo maturo e di successo. L’hotel a cinque stelle sull’Adriatico era il cardine dell’età d’oro della città, quando era il punto di riferimento preferito dei VIP del jet set internazionale, del mondo del cinema e dello spettacolo che poi, spinti dalla febbre della disco degli anni ’80, si riversavano nel Lady Godiva, la discoteca storica più ambita del periodo situata in via Luci del Varietà. Purtroppo non esiste più.

A gennaio, però, a prescindere dalla neve o dalla nebbia, il lussuoso Grand Hotel di Rimini si trasforma in una leggenda felliniana, in un edificio ovattato e silenzioso, un faro segreto, elegantemente illuminato da qualche luce natalizia che ne segnala la presenza nel buio della notte, come se fosse l’insegna al neon di qualche cinema dimenticato. L’atmosfera sognante gli conferisce una sfumatura fantasmagorica, che sembra dissolversi al solo passaggio, in un soffio.

Della sua città, Fellini diceva:

“Rimini è un pastrocchio, confuso, pauroso, tenero, con questo grande respiro, questo vuoto aperto del mare. La nostalgia diventa più nitida lì, specie il mare d’inverno, le creste bianche, il gran vento, come l’ho visto la prima volta…”

Tra le tante presenze del regista a Rimini lo si ricorda anche all’aeroporto e nella piazza del Grand Hotel, che portano il suo nome, e al Cinema Fulgor, in corso d’Augusto, l’antico decumano dei romani. Quando Federico era bambino era attratto dalla magia della celluloide e dal buio della sala che proiettava il film di Bartolomeo Pagano Maciste all’Inferno (1925). L’edificio settecentesco che ospita il Cinema, casa dei più bei film dell’epoca, è uno dei simboli di Rimini. Il leggendario Fulgor era uno dei nomi con cui si dice che Fellini avesse battezzato i quattro angoli del letto di casa sua, un angolo per ogni cinema di Rimini. Fu inaugurato per volere di Ida Ravulli, ma apparteneva ai fratelli Valloni e, nel 1920, proprio lo stesso anno in cui nasceva il regista di Amarcord, il Fulgor prese la sua forma definitiva sotto le mani dell’architetto Valadier. Quello che per Fellini all’epoca era solo una baracca e un parco giochi per burattinai, presto divenne un vero e proprio edificio Liberty, un tempio dorato con poltrone in velluto rosso. Forse il regista, nella sua infanzia, lo vedeva già così.

E se c’è una delle tante cose che un maestro del cinema può insegnarci, è che la vita dei sogni non è meno importante di quella diurna. Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni di polvere di stelle. E le stelle non sono coriandoli, giusto?

Rimini, Grand Hotel, settembre 1983. Omaggio a Fellini. Il regista in un momento di pausa.

Elegante ristorante dalle pareti blu con sedie arancioni, tovaglie bianche, opere d'arte, specchio dorato e vista sul bar. Arredamento caldo e classico. Elegante sala da pranzo con pareti blu, specchio dorato e poster d'epoca. Sedie arancioni su tavoli rivestiti di bianco. Presenti i loghi Helvetia e Bristol.