Rimango sorpreso quando la gente mi chiede di scrivere qualcosa tipo un articolo. Spesso, è qualcuno che mi sta conoscendo, in quella fase magica tra l’incontrarmi e il conoscermi davvero. Fraintendono l’entusiasmo che porto nella mia vita personale e pensano che porterò la stessa gioia nella scrittura pubblica.
Fammi spiegare. Se dopo una giornata passata a goderci le bellezze della regione, siamo a cena con gli amici, immersi in chiacchiere stupide e risate, Marina potrebbe pensare che sono affascinante. In un momento di distrazione, potrebbe persino chiedermi di scrivere qualcosa per Italy Segreta. Ma sarebbe un errore, e dovrei dirle: se scrivo qualcosa, probabilmente sembrerò antipatico. E se l’argomento è (sorpresa!) la Puglia, non sarò solo antipatico, sarò proprio insopportabile. Lei ha insistito.
Non vi sembra che la conversazione di oggi sulla Puglia, sul turismo e su come combatterlo stia diventando vecchia? Su come ribaltare l’immagine da cartolina creata dai social media, o l’idea della cultura locale contemporanea che finalmente manda in pensione il folklore ormai esausto? Non abbiamo già affrontato tutto questo? Perché non parliamo di qualcos’altro per cambiare?
Marina dice: “Scrivi quello che vuoi.”
Mi sembra che ogni volta che si parla di cultura in Puglia, tutti si lamentino troppo. Sento gli echi di tutti questi “attivisti” sociali locali – sicuramente grandi attori, ma socialmente impegnati non ne sono così sicuro – che hanno sempre qualcosa da dire.
Per capire davvero il panorama culturale in Puglia, bisogna immaginare un sacco di piccole realtà provinciali, ognuna che si alterna a parlare e cerca di esistere, sopravvivere e farsi notare, che sia attraverso una mostra, un festival o un progetto di inclusione. Spesso sono associazioni, collettivi, hub, progetti – uniti per chiedere finanziamenti allo stato. Parlo della generazione che, dai ” bollenti spiriti” in poi, ha imparato il gergo per scrivere progetti in una lingua che non esiste, per partecipare a bandi, e per sedersi finalmente al tavolo con quei politici locali analfabeti, tutti a sbavare alla prospettiva di fondi pubblici mentre gli altri sperano di assicurarsi uno stipendio per qualche anno in più.
Poi, dopo aver studiato centinaia di pagine di proposte, due o tre volte l’anno, i nostri “attori” arrivano all’atto finale, la performance di FARE DAVVERO ciò per cui hanno chiesto i soldi. Arrivano esausti, ho notato, al punto che implementare ciò che è stato concordato con le istituzioni spesso sembra un atto di restituzione formale, l’ultimo passo stanco di un processo che non ha nulla a che fare con l’evento stesso. Mentre da un lato copre le spese, dall’altro uccide lo spirito e compromette i risultati.
Se Post Disaster, noto per la sua eccellente estetica e programmazione, può permettersi di organizzare un festival gratuito sulle terrazze di Taranto dove a volte la partecipazione è scarsa, se Cave Contemporary (a cui tengo molto) può permettersi di farsi cacciare dall’ex convento dei Cappuccini a Grottaglie per “cattiva condotta”, perdendo una location fantastica e tutta l’attrezzatura acquistata per loro, e se a Taranto stiamo ancora dipingendo murales cantando il mantra “il nostro museo a cielo aperto salverà il mondo”, qualcosa non va.
Mi chiedo se questo sistema assistenziale di fondi regionali, nazionali ed europei, invece di aiutare le realtà locali a sviluppare il proprio discorso e alla fine renderle indipendenti e sostenibili, produca un meccanismo perverso in cui nessuno si prende la responsabilità e agisce solo quando viene coccolato e protetto dalle istituzioni.
I miei sospetti sono cresciuti quando, qualche settimana fa, tra una chiamata e l’altra col mio avido commercialista (i fondi europei mica mi pagano le tasse), mi è arrivata una mail da un collettivo di ragazze ottimiste che l’anno scorso hanno messo in mostra tutte le realtà artistiche della Puglia; in copia, più di 70 tra artisti, curatori, festival e vari operatori culturali. La mail faceva seguito a un incontro tra alcuni dei 70 e i suddetti ignorantoni politici. Ammetto di averla letta superficialmente e con un occhio solo ho sbirciato alcune delle risposte. Mi è sembrato di capire che il coro cantava che: non solo le cose si fanno solo quando e se finanziate dall’alto, ma anche che i bandi sono difficili da scrivere e devono essere semplificati! La classe politica è troppo distante e la cultura e l’arte DEVONO essere finanziate e supportate dalle istituzioni!
Per evitare che quello che volevo rispondere rimanesse intrappolato in una mail destinata solo a questi 70, che di conseguenza mi avrebbero preso in antipatia, colgo l’occasione per dire una volta per tutte cosa penso: MA DOVE CAZZO STA SCRITTO?
Dove sta scritto che se ti piace disegnare, fare musica o teatro, devi subito avere diritto a finanziamenti? Dove sta scritto che se al fabbro giù in strada piace il ferro, lui si deve sbattere ad affittare uno spazio, pagare le bollette, comprare i materiali, trovare i clienti, produrre quello che LORO vogliono e sperare di essere pagato abbastanza per sopravvivere, mentre tu ti puoi godere le birre a un concerto che volevi organizzare al quale non ti frega quanta gente viene perché è tutto pagato, e alla fine ne esci con un ruolo, una personalità, un atteggiamento?
Quanti dei progetti finanziati dai “bollenti spiriti” stanno ancora bollendo? Quanti di quei progetti di quell’ondata hanno generato opportunità durature e sostanziali di sostenibilità?