La musica di Franco Battiato ha accompagnato gli italiani dalle belle illusioni degli anni ’70 fino agli sgargianti anni ’80, e da allora è sempre stata una delle loro preferite. Molto è già stato scritto su questo caposaldo della musica e della cultura pop italiana, ma ora, nel secondo anniversario della sua morte, ci sembra giusto rendere omaggio a quest’uomo così prolifico. E il modo migliore per farlo è includere e menzionare anche il suo luogo di nascita e la sua patria, la Sicilia.
Battiato ha uno stile tutto suo, che mescola le influenze culturali in un modo da sembrare naturale per chi è cresciuto in Sicilia. Non è un caso che il fascino di Battiato per le culture non occidentali provenga da un’isola che storicamente è stata teatro di civiltà diverse e che ancora oggi è un faro della multiculturalità in Italia. La Sicilia è un melting pot storico, con un fascino antico, da cui Battiato ha attinto a piene mani e che ha usato come trampolino di lancio verso mete ancora più millenarie, come il Medio Oriente e l’Asia.
Canzoni come “Stranizza D’Amuri”, cantata in siciliano, o “Secondo Imbrunire”, ambientata in Sicilia, descrivono questo fascino:
“Cortili e pozzi antichi
Tra i melograni
Chiese in stile normanno”.
Ha cambiato la sua “pelle musicale” come un serpente. Ha suonato pop, disco, progressive rock, musica psichedelica, opera e molto altro, ma non perché volesse cambiare. Piuttosto, direi, perché è stato in grado di capire lo zeitgeist culturale che lo circondava e di incanalarlo attraverso la sua musica. Faceva kosmische musik quando lo facevano i tedeschi, e produceva opera contemporanea nello stesso periodo in cui scriveva anche Philip Glass. Così facendo, Battiato sviluppò un linguaggio molto personale, con una forte inclinazione per l’orientalismo e la spiritualità, per lo più cantata attraverso simboli e allegorie che rimandavano alla tradizione mediorientale. Con il suo stile unico, ha affascinato schiere di fan in tutto il mondo e ha prodotto musica molto complessa accanto al pop mainstream.

Il suo lavoro strizza quasi sempre l’occhio alla tradizione “orientale”, spesso mescolata a influenze occidentali e a un linguaggio hippie-pop. I riferimenti esoterici ai “figli dei fiori” sono disseminati nei suoi testi. Le sue canzoni parlano di viaggi a Kathmandu, di danzatori dervisci, di donne Kathakali, di sufismo, di Etiopia, di boulevard russi, di treni per Istanbul, della filosofia di René Guénon e di molto altro ancora. (Guénon riteneva che uno dei segni più evidenti della regressione spirituale dell’umanità fosse la tendenza a un crescente materialismo che si esprime, tra l’altro, con un narcisismo ossessivo. Nonostante fosse piuttosto famoso, Battiato evitava lo star system, tenendosi il più possibile lontano da quel mondo).
Il suo lavoro è sicuramente un prodotto del suo tempo: non riesco a immaginare un musicista contemporaneo affascinato dagli stessi argomenti, così tanto legato a un’estetica bohémien degli anni ‘70.
Il secondo marchio di fabbrica della produzione di Battiato è la lente attraverso la quale sembra osservare il mondo che lo circonda, collocandosi a metà strada tra lo sconcerto e la curiosità. La sua musica evoca una tensione tra il mondo spirituale e interiore e l’esistenza umana quotidiana e mondana, fatta di carne, corpi e desideri, un tono che sembra definitivamente siciliano nella sua tensione tra passione viscerale e apprezzamento della semplice bellezza. È proprio questa tensione che rende le sue opere così durevolmente belle e interamente umane. Questo concetto è perfettamente catturato nei testi delle sue canzoni, come “Centro Di Gravità Permanente”, o “L’Animale” quando canta: “Ma l’ animale che mi porto dentro non mi fa vivere felice mai, si prende tutto anche il caffè, mi rende schiavo delle mie passioni e non si arrende mai e non sa attendere e l’ animale che mi porto dentro vuole te”.
Dopo aver esplorato temi e influenze musicali più “cosmiche” negli anni ‘70, il musicista è tornato, per così dire, sulla terra e ha rivolto la sua attenzione ancora una volta alla Sicilia. È allora che ha prodotto il trittico di dischi che sono ampiamente considerati i suoi lavori più iconici e migliori: “L’era del cinghiale bianco”, “Patriots” e “La Voce del padrone”. Erano – e restano tuttora – dischi imprescindibili per ogni cosiddetto intenditore di musica italiana.

Tra gli anni ’70 e ’80, la musica di Battiato era molto radicata in luoghi reali: Venezia, Istanbul, alberghi in Tunisia, Albania, Siberia, Russia, Iraq, Turchia. In questi luoghi, Battiato si ispirava alle antiche civiltà e al loro sapere. Canzoni come “Meccaniche Celesti” e “Cucurrucucu”, tra le altre, attingono chiaramente a queste influenze. In apparenza, queste canzoni possono sembrare sciocche o “pop-peggianti”, ma in realtà illustrano il clima politico dell’epoca e sono impregnate di cultura. Basti pensare a una canzone come “Magic Shop”, in cui l’artista prende in giro l’ossessione tutta anni ’70 per la spiritualità del prêt-à-porter. La sua irriverenza è evidente in testi come “Una signora vende corpi astrali/Buddha vanno sopra ai comodini“.
Dopo il famoso trittico, e per tutti gli anni ’80, Battiato pubblica altri album, questa volta meno riusciti ma ugualmente fondamentali. I dischi diventano più intimi (Orizzonti Perduti), pur mantenendo un commento esoterico e irriverente sull’assurdità del mondo (Scalo a Grado). Battiato riempie tutti gli stadi, produce altri musicisti e appare in televisione, usando l’ironia come strumento per navigare nello star system. Negli anni ’90 continua a sperimentare con il suono, incorporando elementi rock e metafisici, raggiungendo il successo con canzoni come “Di Passaggio” e “La Cura”.
Il suo album del 1998 “Gommalacca” occupa un posto speciale nel mio cuore: registravo i suoi video da MTV e li guardavo in continuazione. Battiato ha tenuto testa a band internazionali contemporanee che hanno fatto il giro del mondo in quegli anni.
Nel corso della sua prolifica carriera, che ha attraversato tre decenni, trenta dischi e innumerevoli mashup di generi, il fascino duraturo di Battiato risiede in ciò che, a mio avviso, lo rende anche così quintessenzialmente siciliano: come la sua isola natale, la musica di Battiato è complessa, allo stesso tempo difficile da individuare e collocare ed estremamente distintiva. È un arazzo di influenze culturali, con una spiritualità profonda e mistica e un’emozione cruda che può derivare solo dall’aver vissuto la realtà stratificata e diversificata di un luogo come la Sicilia.
Ed è proprio per questo che continuerà a vivere anche dopo la sua morte. Come lui stesso canta:
“Cittadini del mondo
Cercano una terra senza confine
La vita non finisce
È come il sogno
La nascita è come il risveglio
Finché non saremo liberi
Torneremo ancora
Ancora e ancora
Lo sai
Che il sogno è realtà
E un mondo inviolato
Ci aspetta da sempre
I migranti di Ganden
In corpi di luce
Su pianeti invisibili
Molte sono le vie
Ma una sola
Quella che conduce alla verità
Finché non saremo liberi
Torneremo ancora
Ancora e ancora”.