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Essere napoletano a Natale: guida al cibo di Napoli

Cronache di pranzi e cene sontuosi

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.

Ho già scritto un articolo sul cibo di strada napoletano, potevo forse perdermi quello sui piatti tipici natalizi di Napoli? Quando si parla di abbondanza, soprattutto durante le feste, non si può non menzionare la città di Pulcinella.

In molte famiglie, il menu concordato per la Vigilia di Natale, Natale, Santo Stefano e Capodanno è una decisione che si prende una volta nella vita e rimane così per sempre: pesce il 24 dicembre, carne il 25 dicembre, “avanzi” e altre specialità specifiche il 26. A Capodanno di nuovo pesce, e ovviamente lenticchie e cotechino.

Io sono pugliese, quindi parlo per la mia famiglia: dai D’Addetta non c’è mai stata una regola fissa, cucinavamo quello che ci piaceva, ma fondamentalmente, a parte i grandi colpi di scena creati da papà Gino, seguivamo le linee guida napoletane con una forte propensione per il pesce, la nostra grande passione.

Ora, ascolta: se ti trovi a Napoli a Natale, cosa mangeresti? Ci sono alcuni piatti essenziali, quelli che una volta che li nomini tutti intorno a te sanno che sta per iniziare una festa. Cominciamo con gli antipasti e i contorni, due su tutti: i broccoli di Natale e la pizza di scarole o, una variante che alcuni preferiscono, la scarola m’buttunata.

I broccoli di Natale o vruoccole ‘e fronna si chiamano così per distinguerli dalle cime di rapa, che sono più corte e legnose, e perché si trovano solo per un breve periodo a dicembre; vengono serviti come contorno al pesce o alla carne, ma non vanno confusi con i più famosi friarielli. La pizza di scarole, invece, potrebbe essere un primo o un secondo piatto a sé stante: un grande elemento della tradizione culinaria napoletana in generale, la scarola è una verdura amatissima, quasi sempre preparata con uvetta, capperi, olive e pinoli. Quando parliamo di pizza di scarole, però, intendiamo una sorta di focaccia ripiena: sotto e sopra troviamo due dischi di pasta e la scarola condita a riempire. Se vuoi fare un passo avanti, dimentica l’impasto e mantieni l’intera scarola e farciscila (da qui m’buttunata) con gli stessi ingredienti di prima, uvetta, pinoli, capperi e olive, e infornala (o friggila, se sei più audace).

La ricetta di alcune famiglie prevede anche l’uso di carne o tonno, ma la ricetta autentica esclude tali modifiche.

Continuiamo il menu con i primi piatti e facciamo una distinzione: la Vigilia di Natale il pesce è protagonista. Un must che non manca mai sono gli spaghetti a vongole. Un vongole, con la a. La prima volta che ho sentito questa espressione, ho fatto la saputella. “Si dice spaghetti CON le vongole”, ho detto. Mi hanno risposto: ” Signurì, a Napule ‘e cos’ girano ind’a nata manera! ‘Cca s’ rice spaghettoavvvongole! Accussì, rafforzativo !” (Signorina, a Napoli le cose funzionano in un altro modo! Qui si dice spaghetti A vongole, non spaghetti CON le vongole!).

Non potevo ribattere. Quindi, fai lo stesso anche tu.

Rigorosamente “in bianco”, gli spaghetti delle feste: molto semplici, aglio, olio, vongole e tanto prezzemolo. E pasta al dente, per favore, niente cose strane, si servono semplici spaghetti (o al massimo, linguine) e tutti saranno felici.

Un altro grande classico è virz’e rise, riso con la verza, un piatto tipico della cucina povera campana, una specie di zuppa calda e cremosa più che un risotto, una panacea nei giorni d’inverno. La storia di questa combinazione è antica: prima dell’avvento della pasta, i napoletani erano chiamati mangiafoglia (mangiatori di foglie), per via della loro dieta basata su verdure e ortaggi a foglia, torze e torzarelle, come si dice in dialetto. Poi, quando il riso fu introdotto dagli aragonesi tra il 1400 e il 1500, la popolazione povera, invece di preparare il sartù (sformato di riso, molto ricco, con carne macinata) per mancanza di fondi, sostituì la carne con le verdure più umili e così nacque il riso con la verza.

Outsider nella lista è il brodo di pollo, o come si chiama a Napoli, ‘a gallina a bror. Questo non è un vero e proprio piatto, ma è assolutamente essenziale perché è la base per un’altra ricetta molto importante, tipica delle feste, sua maestà la minestra maritata, ‘a menesta’ mmaretata.

Definita da molti come l’unica e sola protagonista della tavola natalizia, la minestra maritata discenderebbe addirittura dai greci e dai romani o, più recentemente, dalla dominazione spagnola. Perché questo nome? “Maretata” in napoletano si traduce come “sposata”, quindi, in una zuppa di carne e verdure, è chiaro come i due elementi principali si uniscano felicemente in matrimonio. Tradizionalmente si prepara con verdure a foglia, come la catalogna, il cavolo, la scarola, gli spinaci (le torze e torzarelle di cui parlavamo prima) e carne di maiale di vari tagli, tanto formaggio e una lunga e paziente cottura aiutata dal brodo di pollo.

Esiste una versione meno conosciuta e più leggera, chiamata la minestra zitella, la sorella meno grassa; se la “maritata” ha verdure e carne, la zitella (nubile) si accontenta di sole verdure e brodo.

Ovviamente, non sono qui per menzionare ragù, lasagne, pasta al forno, cannelloni e tricchebballacche perché, dai… quelli non c’è neanche bisogno di dirli!

Simile ma di uso diverso (perché non è un primo piatto, ma un passe-partout) è la famosa insalata di rinforzo, solitamente consumata nei giorni successivi al Natale come piatto di recupero o in quelli precedenti come contorno: a base di cavolfiore, pappacelle, sottaceti, acciughe, olive, cambia da tavola a tavola, da ricetta a ricetta. Come per la minestra, ogni famiglia ha la sua versione e si chiama ” di rinforzo” perché accompagna i piatti principali, “rinforzando” l’abbondanza sulla tavola. Alcuni ci mettono solo verdure, altri aggiungono il baccalà, rendendo l’insalata un secondo piatto.

E qui volevo portarti, proprio ai secondi piatti. Se chiedi quali siano i più autentici, i napoletani ti risponderanno due cose: ‘o capiton e ‘o baccalà con le pappacelle.

Il capitone, numero 32 nella smorfia napoletana, è un piatto immancabile, se non altro per una questione scaramantica: mangiare il capitone significa mangiare il serpente del giardino dell’Eden, esorcizzando così il male. L’origine del suo uso, però, si può trovare anche nella sua particolarità: essendo un pesce molto grasso, è sempre stato piuttosto economico e per chi, in passato, aveva bisogno di mangiare qualcosa di sostanzioso era l’ideale.

Il baccalà con le pappacelle invece è il più chic: tipico del giorno di Natale, ma anche di Capodanno, il pesce deve essere rigorosamente fritto in grossi pezzi e servito, per “sgrassarlo”, con le pappacelle napoletane, peperoni piccoli e rotondi, molto carnosi e saporiti, conservati in aceto. L’abbinamento è così collaudato che è impossibile dissociarlo: quando a Napoli dici baccalà, dici anche pappacelle. È un po’ come dire sale e pepe, Stanlio e Ollio, Bonnie e Clyde.

Allora, pronti per i dolci? Sì, ma prima (giusto per tenersi leggeri) un po’ di sciavecarie o altrimenti chiamato ‘o spass: mandorle, nocciole, arachidi, pistacchi, noci, semi di zucca, fave secche, lupini, pinoli, fichi secchi piccoli, tutti riconducibili alla frutta secca, soprattutto se col guscio. Si mangiano tra un pasto e l’altro, come distrazione, come scusa per passare il tempo, come pausa tra una partita a carte e l’altra, una tombola e l’altra, accompagnati anche dall’immancabile frutta fresca.

E finalmente, signore e signori, i dolci! La festa! Che Natale sarebbe senza dolci? Non menziono nemmeno panettone e pandoro, perché qui stiamo parlando di tradizione: immancabili sulle tavole napoletane, oltre ai sempiterni babà e sfogliatelle, abbiamo i meravigliosi struffoli, mostaccioli, roccocò, raffaiuoli e susamielli. Ti fanno ridere, vero? Sono quasi tutti dolci di pasta secca, di forme, dimensioni e gusti diversi: i mostaccioli a forma di rombo, speziati e ricoperti di cioccolato; roccocò, taralli ricchi di mandorle o nocciole, raffaiuoli, simili ai mostaccioli, ma ricoperti di glassa di zucchero e di forma oblunga, e i susamielli, biscotti duri a forma di S da inzuppare nel latte o nel vino, arricchiti con miele e mandorle. E ovviamente, ultimi ma non meno importanti, gli struffoli che non hanno bisogno di presentazioni.

Cosa hai detto? Ti sta venendo fame? Questo Natale, tutti a Napoli!