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Enrico Baj: Un Milanese, Anarchico Spensierato

Questo autunno e inverno, il Palazzo Reale di Milano festeggia il centesimo compleanno dell'artista con una retrospettiva super coinvolgente

“Ma nemmeno lo spirito ribelle e anarchico dell’artista poteva resistere alle sue radici borghesi milanesi.”

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.

Rocchetti di filo, schegge di vetro montate su pezzi di metallo, ritagli, medaglie, bottoni sovrapposti a nastri, ciondoli e decorazioni, ritagli, paillettes, rosette, merletti, pezzetti di ogni tipo ricomposti a formare occhi, nasi o orecchie. Questi sono i pezzi che compongono il cast di personaggi creati da Enrico Baj, il cui universo surrealista e fantascientifico usava l’ironia e il grottesco come armi per mandare a quel paese il conformismo borghese – e sfidare qualsiasi forma di potere costituito, in realtà. Era un universo che poteva essere solo il prodotto di un certo tempo e luogo: la Milano di metà secolo.

"Berenice" by Baj (1960); Copyright 2015 © ARMELLIN F.

Guardando la superficie delle opere del pittore e scultore – strutturata, quasi scultorea – ti viene voglia di fare un giro per le mercerie, quelle botteghe di merceria con caratteri d’altri tempi e pareti tappezzate di scatole di bottoni. Inspiegabilmente ancora in attività oggi, queste botteghe storiche erano un tempo gli epicentri dell’opulenza e della vanità della città – una fonte d’ispirazione perfetta per l’artista anarchico, che prendeva in giro il bisogno borghese di auto-convalida e la richiesta di abbellimento in mezzo a cui era cresciuto.

Nato nel 1924 da una famiglia milanese benestante (ci vuole uno per riconoscerne un altro!), Baj ha vissuto una vita ultra-milanese. Ha studiato in rinomate istituzioni della città, iniziando dal Liceo Berchet e passando all’Accademia di Belle Arti di Brera, cuore della scena artistica. La sua prima mostra personale, nel 1951, si tenne alla Galleria San Fedele, allora aperta da soli due anni e ora una delle gallerie storiche della città. Dalla metà degli anni ’60, espose regolarmente allo Studio Marconi, probabilmente il più grande spazio espositivo di Milano in quegli anni, e sarebbe diventato uno degli artisti più frequentemente esposti e amati del suo amico e gallerista Giorgio Marconi.

Enrico Baj, 1964

Vivere a Milano significava anche essere esposti a influenze culturali d’oltralpe, in particolare da Parigi: André Breton, il padre del Surrealismo francese; Marcel Duchamp, l’idolo Dada; Raymond Queneau e Asger Jorn lasciarono tutti il loro segno sull’italiano. Un maestro nel riciclaggio, Baj riutilizzava tutto ciò che gli capitava, inclusi i movimenti artistici. Il milanese reinterpretava movimenti e artisti chiave, tra cui il Futurismo e la pittura Metafisica, per adattarli alla sua visione critica e satirica. Una delle sue opere più famose, La vendetta della Gioconda (The Revenge of the Mona Lisa, 1965) è grottescamente giocosa e intenzionalmente distorta, sostituendo i tratti pudichi dell’originale di da Vinci con qualcosa di molto più caotico: il volto occhialuto di Duchamp, che aveva già deturpato la Gioconda con dei baffi in L.H.O.O.Q. (1919).

Un’altra delle sue opere più famose, l’installazione monumentale in tecnica mista I funerali dell’anarchico Pinelli (1972), che copre un’intera parete e si riversa sul pavimento, fa riferimento a un dipinto futurista di Carlo Carrà. Il risultato di tre anni di lavoro, questo pezzo lungo dodici metri è stato ispirato dalla morte dell’attivista politico Pino Pinelli, che cadde sospettosamente da una finestra mentre era in custodia della polizia presso la Questura di Milano nel 1969. Era stato trattenuto come sospetto per la strage di Piazza Fontana, un attacco terroristico che uccise 17 persone e ne ferì 88, inizialmente attribuito agli anarchici ma poi scoperto essere opera di gruppi neofascisti. Alludere a Carrà e al Futurismo, le cui tendenze autoritarie avevano allineato il movimento artistico con il fascismo, significava capovolgere i loro ideali, indicare i pericoli del nazionalismo cieco, del militarismo e della feticizzazione della tecnologia. Questi erano temi che turbinavano intorno all’Italia durante i cosiddetti ” anni di piombo” – in particolare a Milano, un punto caldo dell’attività politica da entrambi i lati dello spettro – e che hanno influenzato gran parte del suo lavoro.

Un fascino e una repulsione per l’incombente minaccia della guerra nucleare durante il tormentato periodo politico della sua vita portarono Baj a co-fondare il Movimento di Arte Nucleare nel 1951 – con un programma piuttosto ambizioso: “Gli Artisti Nucleari vogliono e possono reinventare la Pittura. Le forme si disintegrano: le nuove forme dell’umanità sono quelle dell’universo atomico.” Una risposta artistica all’ansia esistenziale dell’era post-Seconda Guerra Mondiale, il movimento, con figure da incubo e composizioni grottesche, rifletteva l’imprevedibilità di un mondo che aveva sperimentato il potere distruttivo delle armi nucleari. Un acuto critico della contemporaneità, il lavoro nucleare di Baj affrontava l’ossessione della società per la tecnologia con legioni di robot e manichini, mentre i suoi Generali deformati prendevano in giro l’autoritarismo e l’orgoglio maschile. Quest’ultima serie – che raffigurava personale militare con caratteristiche esagerate e petti pomposi e decorati – si leggeva come caricature della fragilità del potere.

"Parata a sei" by Baj (1964)

"Generale" by Baj (1961); Photo by Gianni Ummarino

Il quartiere milanese di Brera era terreno fertile per questi artisti Nucleari – come lo era per la maggior parte dei movimenti d’avanguardia del momento in città. Si ritrovavano al mitico Bar Jamaica per un caffè o un cocktail, o al club jazz Santa Tecla, ora chiuso, che Baj e i suoi contemporanei Joe Colombo e Sergio Dangelo una volta decorarono con un montaggio di poster disintegrati e manichini sospesi dal soffitto. I locali storici di Milano erano lo sfondo perfetto per le iniziative culturali degli artisti; spesso invitavano fisici e scienziati a presentare insieme alle loro opere, favorendo collaborazioni che spingevano i confini sia dell’arte che della scienza. Erano gli anni in cui gli artisti firmavano ancora manifesti e si divertivano ad appartenere a movimenti sia politici che artistici. A Baj piaceva così tanto il suo che arrivò persino a fare causa al collega Salvador Dalì per una disputa sul plagio quando il surrealista sosteneva di essere l'”inventore della pittura nucleare”; Baj ottenne una sentenza preliminare a suo favore dal Tribunale di Milano nel 1954, soprattutto perché l’artista spagnolo non si era nemmeno preoccupato di presentarsi.

Ma nemmeno lo spirito ribelle e anarchico dell’artista poteva resistere alle sue radici borghesi milanesi. Alla fine degli anni ’60, Baj e sua moglie si trasferirono in una villa Art Nouveau a Vergiate, una cittadina bucolica ai piedi delle Alpi italiane. La casa, che si adattava alle migliori abitudini dell’alta società, era comodamente vicina sia ai laghi che alla città e diventò il centro della vita della coppia fino alla morte di Baj nel 2003. I suoi interni massimalisti presentano opere di André Breton, Marcel Duchamp, Man Ray, Gerhard Richter e Joe Colombo, appese in stile salotto, insieme a decine di dipinti e opere su carta dello stesso Baj, tra divani del XIX secolo e mobili rigorosamente antichi: Baj, sempre provocatore, aveva un profondo disprezzo per il design moderno.

"BAJ chez BAJ" at Palazzo Reale; Photo by Lorenzo Palmieri

Di recente, una retrospettiva al Palazzo Reale di Milano, “BAJ chez BAJ”, ha celebrato il centesimo compleanno dell’artista. Curata da Chiara Gatti e Roberta Cerini Baj, la vedova dell’artista e depositaria dell’eredità di Baj, la mostra presentava quasi 50 opere dai primi anni ’50 all’alba del 2000, inclusa la tanto discussa Il funerale dell’anarchico Pinelli, dodici anni dopo essere stata esposta nella stessa sala. Camminare per Palazzo Reale in questi giorni è come entrare in un’altra dimensione, una in cui i generali ti puntano contro i loro nasi bulbosi, in cui i piangenti di Pinelli graffiano l’aria, in cui personaggi grotteschi ti fissano, con occhi vuoti, fin nelle profondità dell’anima. È una dimensione in cui forme caotiche smantellano tutto ciò che sapevi della conformità, lasciando solo un’anarchia caleidoscopica dell’immaginazione.

“Un anarchico spensierato”–così il catalogo della mostra descriveva l’artista. Io ci aggiungerei anche “milanese”.

"Femme d’aprés" by Picasso (1969)

"Vieni qua, biondina" by Baj (1959)

"Louise Marie Thérèse Victoire de France, Princesse" by Baj (1975)

Elegante ristorante dalle pareti blu con sedie arancioni, tovaglie bianche, opere d'arte, specchio dorato e vista sul bar. Arredamento caldo e classico. Elegante sala da pranzo con pareti blu, specchio dorato e poster d'epoca. Sedie arancioni su tavoli rivestiti di bianco. Presenti i loghi Helvetia e Bristol.