Era come se avessi perso l’udito per due mesi. Appena ho messo piede fuori dall’area arrivi di Milano Malpensa e ho sentito il chiacchiericcio frenetico di “”pronto nei cellulari e il sibilo di una macchina da espresso, seguito dal “tintinnio” di una tazzina di porcellana, ho capito che l’Italia era il mio vero amore.
L’avevo lasciata per un altro amore due mesi prima. Con un furgone carico me n’ero andata via dai cieli alpini, dai cappuccini, dalle notti piene di risate nei cortili macchiati di vino rosso. Giorni di scoperte sotto il sole cocente. Sorrisi calorosi dalle signore del frutta e verdura, che mi pizzicavano le guance mentre me ne andavo col mio bottino.
Ero venuta in Italia con un cuore coraggioso, e avevo portato quel cuore coraggioso con me a sostegno di un altro. Dodici ore dopo, c’era Barcellona. Niente facce familiari, niente macchine per l’espresso che sibilavano con crema perfetta, niente più Italia. Sono stati due mesi di strazio a battere le strade con gli occhi chiusi e le orecchie tappate. Due mesi a mettermi in un posto dove sapevo di non appartenere. Due mesi a condividere la mia nuova passione per vino, olio, e roba del genere – ma che cadeva nel vuoto. Due mesi di appuntamenti per un caffè falliti con nuovi amici. Due mesi a precipitarmi nei bar che pubblicizzavano panini, sperando di respirare qualche secondo di familiarità. Due mesi in cui la mia vera relazione crollava, mentre il mio spirito si faceva un giro. E quando tutto è crollato, l’Italia mi aspettava.
Sono salita sull’aereo meno di 24 ore dopo che un amore era finito e un altro era iniziato. Era un amore e un apprezzamento per tutto ciò che avevo costruito, le persone che avevo incontrato e la persona che ero diventata nell’ultimo anno – finalmente in grado di realizzarsi.
Mi sono innamorata della mia città, Torino. Mi sono innamorata della sua lingua, l’italiano. Mi sono innamorata di tutti i volti che non mi erano familiari, ma che mi sorridevano comunque. Mi sono innamorata di un posto che sembrava casa e mi ha aperto la porta.
Sono scesa dall’aereo sorridendo, quando pensavo che avrei pianto. Non avevo un posto dove vivere, ma avevo l’Italia.
E potevo sentire di nuovo. Ogni parola pronunciata con passione, ogni fruscio di una giacca di pelle indossata da un uomo profumato che passava. Ogni ambulanza che sfrecciava per le strade. Mi sono seduta nel bar dell’aeroporto con un’amica e abbiamo bevuto dei cappuccini. Abbiamo riso e pianto. Abbiamo macchiato il tavolo di vino rosso quella notte. Le signore della frutta e verdura mi hanno riaccolto con un pizzicotto sulla guancia, proprio come avevano fatto mesi prima.
Io e i miei amici ci siamo seduti nella piazzetta in una fredda domenica sera e abbiamo sorseggiato i nostri spritz. Ero a casa. Casa era l’Italia. E la amavo.