Il recente fascino che circonda la pittrice e monaca rinascimentale Plautilla Nelli segue una narrazione familiare. La storia ispiratrice si svolge un po’ sulla falsariga di: “genio-donna-artista-finalmente-riceve-riscatto-storico-dopo-secoli-di-oscurità”, ed è una storia che conosciamo fin troppo bene. La maggior parte degli articoli sull’ormai venerata suora si affrettano a sottolineare che era solo una delle quattro donne citate nella fondamentale opera di Giorgio Vasari del 1550, “Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti”, considerata una pietra miliare dell’erudizione storica dell’arte, e questa narrazione è innegabilmente importante. Recuperare il lavoro di tutte le brillanti artiste che hanno raggiunto il successo, nonostante le probabilità che si sono presentate contro di loro, rimane quanto mai attuale e necessario. Se non lo facciamo, la nostra comprensione del passato rimane sbilanciata, distorta e, francamente, meno interessante.
Ma c’è un altro aspetto della storia di Nelli che merita di essere approfondito: quello che ruota attorno all’emancipazione e al potere creativo sperimentato dalle donne all’interno dei confini della vita conventuale fiorentina. Questa narrazione meno conosciuta fa luce sull’ingegno femminile nel corso del XVI secolo, fornendo una comprensione più ampia e ricca della vita durante l’epoca rinascimentale.
Nata nel 1524 da una famiglia di mercanti, l’autodidatta Suor Plautilla entrò a soli quattordici anni tra le mura del convento domenicano di Santa Caterina da Siena. Poco dopo, iniziò a realizzare copie in miniatura nello stile del “maestro” rinascimentale Fra’ Bartolomeo, ottenendo innumerevoli commissioni da parte di famiglie nobili e guadagnandosi la reputazione di una delle pittrici devozionali più ricercate della città.
Durante l’Alto Rinascimento, il numero di monache in Italia esplose. Secondo la storica dell’arte Karen Chernick, nel 1515 la popolazione monacale raggiunse le duemila e cinquecento unità nella sola Firenze e nel 1552 circa una fiorentina su diciannove era suora. Questi numeri possono essere attribuiti a una serie di fattori, tra cui la consuetudine delle famiglie di mandare in convento le donne che non erano destinate a ricevere l’ingente dote riservata alle figlie maggiori. Ma l’aspetto forse più affascinante è che l’ingresso in un convento era spesso una soluzione creativa, piuttosto che un ostacolo, per donne come Nelli, il cui status di suora le permise di dedicarsi all’arte quando le donne erano praticamente bandite da questa professione.
I corsi di disegno dal vero erano ritenuti inadatti e potenzialmente dannosi per la condotta morale delle donne rinascimentali, e la pittura di paesaggio era un genere altrettanto impegnativo, semplicemente perché l’osservazione diretta della natura era limitata dalle regole di decoro della società, che imponevano alle donne di essere affiancate da un accompagnatore quando si avventuravano al di fuori della sfera domestica. Alle donne era consentito dipingere come parte della loro formazione culturale, ma, come spiega la direttrice italiana della “Advancing Women Artists Foundation” Linda Falcone, l’unico modo per ottenere commissioni su larga scala (e per raffigurare le drammatiche scene bibliche che avevano portato un grande successo agli artisti maschi) era entrare in convento. La vita religiosa offriva anche un’alternativa ai doveri domestici e spesso restrittivi associati al matrimonio e alla maternità, permettendo alle donne di perseguire le loro inclinazioni accademiche e, nel caso di Nelli, la libertà di liberare il suo notevole talento di pittrice. In più di un modo, quindi, i conventi fungevano da terreno di coltura per le capacità intellettuali e artistiche delle donne, funzionando di fatto come prime residenze artistiche.

Plautilla Nelli, “The Last Supper”
L’idea che l’esistenza monastica fornisse un ambiente favorevole alla creazione artistica è stata a lungo riconosciuta dalla storia dell’arte e molte delle opere più celebri del Rinascimento italiano sono state dipinte da monaci, ma quando si tratta di opere d’arte prodotte dalle loro controparti femminili, queste sono rimaste nascoste per secoli tra le mura dei conventi e solo di recente hanno iniziato a emergere sotto i riflettori. Una di queste opere è la sorprendente rappresentazione de “L’Ultima Cena” di Nelli, finalmente esposta al pubblico nel 2019 al Museo di Santa Maria Novella di Firenze dopo ben 450 di deposito.
La tela monumentale, larga sette metri e alta quasi due, raffigura la rivelazione del tradimento di Gesù da parte di Giuda e rimane la prima rappresentazione conosciuta della scena biblica realizzata da una donna. In precedenza, il soggetto era stato eseguito solo da artisti maschi che avevano raggiunto l’apice della loro carriera. Distinguendosi per l’accurata composizione, l’audace pennellata e l’abile uso del chiaroscuro, il dipinto rivela un’artista piena di incrollabile fiducia. Intraprendere la rappresentazione dell’Ultima Cena si sarebbe rivelata un’impresa estremamente costosa per il giovane Nelli, che avrebbe richiesto più assistenti e l’uso di intricate impalcature. Secondo Serafino Razzi, frate domenicano e fratello di una delle monache-artiste di Santa Caterina, sebbene l’artista non avesse una formazione formale in pittura, gestiva un laboratorio artistico femminile di successo all’interno del suo convento, impartendo le sue conoscenze alle consorelle che condividevano le sue ricerche artistiche.
Si decise di collaborare alla realizzazione dell’enorme dipinto, che avrebbe poi adornato la sala da pranzo comune per la contemplazione religiosa delle monache. Dimostrando la loro intraprendenza, le monache pittrici misero insieme i fondi ricavati dalle loro commissioni individuali per finanziare collettivamente l’impresa. Il dipinto avrebbe richiesto una forza enorme, una concentrazione incrollabile e uno sforzo disciplinato. È impossibile non sentirsi profondamente toccati dalla dedizione condivisa di queste donne, che hanno unito le forze per finanziare e aiutare a completare la tela di Nelli come un’entità unica.
Nel 2006, solo tre opere sono state confermate a nome di Plautilla Nelli. Ad oggi, la pittrice-suora è ufficialmente accreditata con venti dipinti e disegni. È stupefacente contemplare la quantità di opere d’arte innovative che hanno trascorso secoli nell’oscurità solo perché la loro firma era femminile, ed è sconfortante pensare che tante altre non riceveranno mai il riconoscimento che meritano. Ma abbandonando le piccole commissioni per cui era nota per affrontare una delle scene bibliche più amate del Rinascimento, la Nelli ha sfidato le aspettative di genere del suo tempo, ponendosi alla pari di rinomati pittori uomini come Leonardo da Vinci e Andrea del Sarto. Come se non bastasse, il coraggio della Nelli la costrinse a firmare il colossale affresco, un’audace dichiarazione di paternità, molto insolita per l’epoca. Discretamente nascosta nell’angolo superiore sinistro del dipinto, l’iscrizione in latino lascia intendere che la Nelli era ben consapevole del pesante significato che si celava dietro la sua ambiziosa impresa: “Orate pro pictora“, scrisse. “Pregate per la pittrice”.