L’Emilia-Romagna è una regione dove le vecchie divisioni politiche tra circoli sociali comunisti (“circoli“) e gli interessi del partito Democristiano (“democristiani“) legati alle parrocchie locali sono stati sostituiti negli ultimi anni da un tipo di competizione più gustosa: le faide alimentari. Oggigiorno, i dibattiti più accesi riguardano il modo giusto di chiamare le specialità iper locali, tortellini in competizione con cappelletti, gnocco fritto che sfida torta fritta. In Modena, crescentine–piccole focacce rotonde ripiene di salumi e formaggio–vengono sempre più chiamate tigelle, un termine sbagliato che deriva dai dischi di terracotta originariamente usati per cuocerle. L’account Instagram @dontcallmetigella, o Movimento per l’Uso Corretto di Tigella, sta combattendo questa inesattezza.
Nel frattempo, a oltre 12.000 chilometri di distanza, Beatriz Leonelli Neira sta tranquillamente cucinando quello che lei chiama carcentas (pronunciato “car-sen-tas” con accento spagnolo), ignara della disputa sul nome di queste focacce in Italia. Ha imparato la ricetta da sua nonna, Elisa Covili Cantergiani, che tradizionalmente le cuoceva sui suddetti dischi di terracotta. Beatriz ora usa una tigelliera di ghisa per comodità, ma l’essenza delle sue carcentas rimane la stessa: le focaccine delle dimensioni del palmo vengono tagliate a metà e farcite con un ricco mix di prosciutto, coppa, pancetta, aglio, rosmarino e formaggio, noto come “pesto”–da non confondere con la versione al basilico.

Beatriz Leonelli with her carcentas; Photo by Daiha Manriquez Leonelli
Carcentas/crescentine non sono l’unica delizia emiliano-romagnola a deliziare le cucine della città natale di Beatriz, Capitán Pastene, un villaggio nelle montagne Nahuelbuta del Cile meridionale dove un gruppo di emigrati dalle montagne dell’Appennino modenese trovò una nuova casa all’inizio del XX secolo. È una comunità che può essere fatta risalire tutta a un certo Giorgio Ricci; Giorgio, che viveva in Cile, raccontò una storia di terre fertili, persuadendo i suoi compaesani modenesi a trasferirsi. Tra il 1904 e il 1905, 88 famiglie, principalmente dalle città di Zocca e Pavullo, intrapresero il faticoso viaggio di 32 giorni verso il Cile, tentate dalle promesse di prosperità. All’arrivo, fu chiaro che Giorgio aveva un talento per l’esagerazione: invece di campi fertili, trovarono fitte foreste incolte – proprio quello che, in effetti, gli antenati di questi modenesi avevano trovato anche nelle montagne del Frignano in Italia, disboscandole per fondare le prime comunità della zona. Tornare indietro non era un’opzione, e così gli emigrati perseverarono, stabilendo una nuova comunità che chiamarono “Nuova Italia” (poi diventata Capitán Pastene). E la loro eredità vive ancora.
Dal circa 70% di residenti con origini italiane ai cognomi familiari che adornano le porte (Balocchi, Leonelli, Venturelli), il volto modenese del villaggio non è difficile da trovare. Capitán Pastene è un piccolo e affascinante villaggio, le strade larghe, lunghe e fiancheggiate da grandi e belle case di legno. Al centro del villaggio c’è, ovviamente, una chiesa, la Iglesia de San Felipe Neri, ma anche il cinema più antico di tutta l’America del Sud, il Cinema Pastene, dove si proiettano ancora film di Fellini, l’iconico regista emiliano-romagnolo.
“Le stagioni sono un po’ come in Italia, ma al contrario e senza la neve invernale che adorna le montagne modenesi,” dice Patricio Fulgeri, un discendente di italiani del villaggio di Verica (nel comune di Pavullo). Non me la sento di distruggere la sua visione idilliaca delle cime innevate di Modena – un ricordo, ahimè, che svanisce con i tempi (il cambiamento climatico, sai!).

A family from Vignola and a Mapuche family in 1905; Photo courtesy of MigrER
Patricio gestisce uno dei ristoranti del paese, L’Emiliano, seguendo una tendenza iniziata solo 20 anni fa dal carismatico Don Primo Cortesi; quest’ultimo ha fondato la trattoria “Don Primo” e un prosciuttificio nel 2004 per celebrare il centenario dell’arrivo dei suoi antenati. I suoi locali sono diventati rapidamente attrazioni turistiche chiave, attirando visitatori da tutto il Cile (incluse alcune celebrità e personaggi pubblici di alto profilo), e portando una nuova economia in una città che prima si basava sull’industria del legno. Questi sforzi gastronomici hanno avuto tanto successo che il Ministero dell’Economia cileno ha assegnato al Prosciutto di Capitán Pastene (ne parleremo dopo) una Denominazione di Origine.
Ovunque ti giri, trovi piatti tipici della zona di Modena: tortellini in brodo di cappone, tagliatelle al ragù, carcentas, e rosette (rotolini di pasta a forma di piccole rose, ripieni di prosciutto e besciamella–un tesoro modenese). Mentre lo spirito della cucina emiliana rimane forte, gli ingredienti locali la fanno da padrone–qui, la ricotta e la mortadella cedono il passo ai sapori del popolo Mapuche, il gruppo indigeno originario di questa parte del Cile meridionale. I Mapuche, la cui cultura è profondamente legata alla terra, hanno accolto gli emigrati italiani, e i due popoli si sono scambiati consigli e trucchi culinari per creare piatti italiani adattati agli ingredienti locali. Non è raro trovare ruca Mapuche ruca (case) piene dei deliziosi profumi di salsicce italiane, prosciutto affumicato, porotos con rienda (un piatto tipico cileno con fagioli bolliti, spaghetti, chorizo, zucca a dadini, peperoncino e cipolle) fatti con pasta all’uovo, e persino tortellini aromatizzati con merkén.
Il merkén, un peperoncino rosso essiccato, affumicato e macinato, è un simbolo perfetto della fusione tra le culture Mapuche e Modenese. Gli emigrati italiani hanno usato per la prima volta questa spezia affumicata nella produzione del prosciutto, per ottenere un profilo di sapore profondo come non se ne trovano in Italia: il prosciutto ora inizia con un accenno di agrumi, poi mescola sapidità con sapori di pepe affumicato e terroso. Fu lo stesso Primo Cortesi il primo ad adottare questa spezia, incorporandola orgogliosamente nella sua ricetta di tortellini – una mossa che potrebbe aver fatto alzare qualche sopracciglio. Era noto per dire: “Lascia che gli italiani si arrabbino” (sappiamo tutti quanto gli italiani possano essere suscettibili riguardo al loro cibo). Oggigiorno, il merkén è un Presidio Slow Food e viene persino usato sulle pizze a Capitán Pastene.

Digging into tagliatelle; Photo by Italo Piccioli
“La forte influenza e atmosfera italiana del Frignano sono inconfondibili, evidenti nel cibo delizioso e nei volti della gente, immediatamente riconoscibili ai visitatori della provincia di Modena”, dice Mario Parenti, figlio del defunto Antonio Parenti. Antonio, un consigliere del paese di Pavullo, Modena, è stato la forza trainante dietro il gemellaggio delle località modenesi e cilene nel 2000. Mario ora porta avanti questo lascito, organizzando progetti di scambio con le scuole, portando bambini da Modena a Capitán Pastene e viceversa, per mantenere vivo lo scambio culturale.
Questo spirito di connessione è evidente anche nella Sagra di Capitan Pastene annuale, un evento che, negli ultimi 20 anni, ha celebrato gli emigrati modenesi che, lasciando i loro paesi natali negli Appennini, hanno attraversato l’Atlantico e le Ande e si sono costruiti una nuova vita. (Se non hai familiarità con le sagre, o festival del cibo, dai un’occhiata a questa storia. La sagra di quest’anno – tenutasi tra il 9 e il 10 marzo, le date di arrivo delle due ondate di migrazione – ha avuto una partecipazione di 12.000 persone e, come sempre, sono stati serviti piatti tipici del Nord Italia, incluse le carcenta (sempre una vera attrazione), polenta, pasta, pizza e prosciutto. Le signore locali della Croce Rossa hanno persino allestito un tavolo per fare tortellini insieme – proprio come farebbero nelle cucine delle case in tutta l’Emilia. Arrivare a Capitan Pastene è come inciampare in un universo parallelo di facce familiari, mattarelli dritti dalla cucina della nonna, tagliatelle tagliate a raffica, e persino castagne arrosto proprio come a casa. È come se un pezzo delle montagne modenesi fosse stato preso e lasciato cadere in Cile – stesso fascino, solo un po’ più affumicato.