Nella valle delle Langhe piemontesi si trovano la cascina e i terreni agricoli del collettivo agricolo e abitativo La Casa Rotta, anche se lo spirito di questo luogo è tutt’altro che rotto. In un lunedì pomeriggio di fine settembre, quando l’aria è calda e umida di umidità, stanno organizzando una festa di addio per Giorgio, uno dei loro residenti temporanei. Tavoli a cavalletto con vassoi di cibo e pile di piatti sono sistemati lungo un argine, con l’erba che spunta intorno alle caviglie nude di piedi abbronzati che indossano zoccoli e sandali. Un microfono è incastrato nella terra, e davanti ad esso si trovano tappeti colorati, un tamburo e un cartello con scritto “raccontateci una storia”. Le persone chiacchierano, cantano e bevono la birra prodotta da loro stessi con i cereali coltivati nei campi vicini. Il bucato è appeso a un filo che corre lungo la riva, formando una buffa sagoma contro il terreno agricolo alle spalle. In un luogo in cui la natura ha una forza smisurata, queste persone hanno imparato a vivere semplicemente accanto a essa.
Nelle Langhe le cose si chiamano col loro nome. Tradotto letteralmente come “lunghe colline”, le Langhe, con le loro strade tortuose e le loro ripide pendenze, rendono il viaggio in auto poco piacevole, ma questo può essere perdonato per lo scenario che si presenta al vostro passaggio. Le colline verdi e ondeggianti, ornate dagli inconfondibili orpelli verdi dei vigneti, sono delimitate dalle punte bianche delle Alpi. Il termine stesso “Piemonte” si traduce in pedemontana, mentre Alba, forse la città più famosa delle Langhe, è dipinta di creme, gialli e rossi che ricordano la sua omonima, l’alba. Come questi toponimi potrebbero suggerire, il paesaggio naturale detta l’identità visiva, culturale e commerciale della regione. L’economia è basata sull’agricoltura e sui prodotti della terra. Alba ospita un mercato agricolo settimanale dove produttori come La Casa Rotta vendono i loro prodotti. Il movimento “Slow Food”, ormai globale, è nato a Bra, a pochi chilometri a ovest della città, mentre i vigneti di Barbaresco e Barolo, famosi in tutto il mondo, riempiono le valli e le basse colline tra le Langhe e le Alpi.

Stefano Vegetabile
Tra gli innovatori del cibo che hanno sede qui c’è Stefano Vegetabile, agricoltore e consulente agricolo con un nome appropriato come quello delle colline che chiama casa. Nel 2011, Stefano e la sua compagna Ivana hanno acquistato un vecchio casale con l’obiettivo di fare dei prodotti buoni uno stile di vita. Hanno iniziato con “tanti sogni e pochi soldi”, ma sufficienti per comprare la cascina e iniziare a costruire quello che oggi lui definisce un “ecovillaggio”. A poco a poco, grazie a un’enorme quantità di materiali donati e all’immaginazione, la casa rotta è stata riparata. La Casa Rotta ha comunque mantenuto il suo nome e ora si riferisce all’associazione agricola che comprende la cascina originale, altre due cascine, un’azienda agricola biodinamica chiamata Nuove Rotte e i suoi 24 ettari di terreno. La Casa Rotta è cresciuta e i suoi residenti, inizialmente familiari e amici di Stefano, si sono allargati a visitatori e volontari dall’Italia e dall’estero che vogliono condividere il loro stile di vita. Vivono insieme come un collettivo, condividendo il carico di lavoro e le entrate, pagando a ogni residente un salario in base al lavoro che svolge. Un obiettivo a lungo termine di Stefano è quello di rendere il suo modello di business economicamente sostenibile tanto da poter essere replicato. Quando ha iniziato, progetti come il suo erano rari, ma negli ultimi anni organizzazioni agricole e no-profit hanno avviato progetti con un’aria simile in tutto il Paese, da Germinale in Valle Stura a Libera Terra, una no-profit che riutilizza terreni precedentemente controllati dalla mafia per destinarli all’agricoltura sostenibile.
Prima del loro arrivo, i terreni che circondano La Casa Rotta erano adibiti alla coltivazione delle pesche, una prelibatezza locale spesso servita ripiena di amaretti e arrostita fino a farne marmellata. Ma la qualità del terreno era stata impoverita dalle moderne tecniche di coltivazione: pesticidi e fertilizzanti chimici avevano danneggiato il suolo e lo avevano reso privo di minerali essenziali. La visione di Stefano era quella di riportare la terra in salute attraverso una combinazione di conoscenze moderne e metodi antichi. Per farlo, si è ispirato al modello delle famiglie piemontesi della rivoluzione preindustriale, che possedevano un piccolo appezzamento di terra e lo coltivavano da sole. Ciò significava creare le condizioni perfette per la crescita dei prodotti senza aiuti artificiali o chimici, privilegiando la qualità dei prodotti rispetto alla quantità. Invece di usare insetticidi, Stefano piantò una varietà di flora che attirava i predatori naturali di questi insetti; invece di usare fertilizzanti, Stefano studiò le foglie e tracciò le dimensioni delle piante per collocarle in base alla loro risposta alla luce solare.

Questo paradiso ecologico non potrebbe essere completo, tuttavia, senza il grano, essenziale per l’identità gastronomica della regione (e dell’Italia, se è per questo). Il grano moderno è più corto nello stelo rispetto alle varietà antiche, una sfortunata conseguenza evolutiva che causa stress alla pianta, con conseguente maggior contenuto di glutine. Stefano e il suo team, invece, hanno privilegiato i ceppi antichi più resistenti allo stress e più digeribili: il collettivo ha contattato gli agricoltori locali che avevano ereditato secoli di conoscenze agricole, ha cercato in tutta Italia – dalla Puglia all’Alessandrino – e ha collaborato con le università di gastronomia e di agricoltura. Alla fine hanno scoperto che, selezionando varietà che avevano subito un’ibridazione minima e piantandole insieme, si è verificata una sorta di selezione naturale in cui le varietà in grado di adattarsi ai climi moderni hanno prosperato, iniziando un processo di auto-ibridazione e adattandosi all’ambiente moderno in cui crescevano. Il risultato è stato un raccolto che presentava i vantaggi genetici delle varietà più antiche, con un contenuto di glutine inferiore e quindi più facile da digerire, e con la capacità di crescere nel clima ecologico moderno. Oltre alla sua qualità, il grano prodotto da Nuove Rotte potrebbe non causare la stessa intolleranza del grano moderno. Stefano mi dice che persone che hanno livelli più lievi di intolleranza al glutine hanno mangiato i loro prodotti farinacei senza alcun problema. I benefici per la salute dei cereali antichi e delle tecniche di coltivazione preindustriali indicano una correlazione tra la modernizzazione dell’industria agricola e l’aumento delle intolleranze alimentari. Le implicazioni positive per la salute di una deindustrializzazione, come quella portata avanti da Stefano, potrebbero essere vaste.

Con lo sviluppo della fattoria e l’espansione della comunità, Stefano e Ivana hanno gradualmente imparato a trovare il giusto equilibrio tra struttura e libertà per consentire al collettivo di funzionare sia come casa che come azienda. In effetti, casa e lavoro si incontrano spesso: una volta la comunità ha riciclato una vecchia poltrona per farne una fioriera per la fattoria, scavando la seduta e riempiendola di terra. Mentre la vita domestica e l’attività commerciale possono sovrapporsi, le case stesse sono autonome, pur facendo parte di un insieme. Sono divise per scelte di vita in modo da facilitare la vita in comune – chi è vegano vive insieme, così come chi è più spirituale – e c’è un’enfasi sulla trasparenza per evitare conflitti o fraintendimenti. Permettere le differenze di opinione e la crescita individuale è fondamentale, soprattutto perché il collettivo conta dei bambini tra le sue fila. Vedendoli insieme come un gruppo, è difficile distinguere chi è parente di chi. I bambini, con i capelli lunghi e castani che gli girano intorno alla vita, corrono tra gli altri residenti, che sono un misto di persone di ogni età e provenienza, ma i bambini interagiscono con tutti con giocosità e libertà. Con i recenti discorsi sulla solitudine e la disconnessione che derivano dalla cultura del lavoro a distanza, è facile capire come comunità collettive come La Casa Rotta risolvano questi problemi dell’era attuale, offrendo uno stile di vita alternativo che dà priorità alla connessione umana.
La Casa Rotta dipende da una rete estesa di amici in agricoltura biodinamica per raggiungere la piena circolarità. Gli scambi di prodotti consentono di avere a disposizione una gamma diversificata di alimenti. “Abbiamo una fiducia totale in ciò che mangiamo… è bello poter dire: questo è il formaggio di Arianna; Matteo ha fatto questo vino”, dice Stefano. “È come se fossi in comunione con quella persona, mangiando insieme anche se non c’è in quel momento”.
Per Stefano, essere vicino al mondo naturale e lavorare al suo fianco è ciò che dà senso alla vita. Provenendo lui stesso da un ambiente agricolo, ha il desiderio di dimostrare che esistono modi diversi e migliori di coltivare il cibo. La filosofia di Stefano è semplice: una pianta è un essere vivente e dà il meglio di sé quando viene trattata come tale e le vengono date le condizioni in cui può prosperare. Questa stessa filosofia si applica ai residenti de “La Casa Rotta”.