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Alberto Bazoli trasforma Milano in musica con il nuovo album Missori

fotografie di Dave Masotti

ASCOLTA MISSORI QUI - Un gruppo di edifici moderni e classici sotto un cielo blu con fili che si incrociano sopra la testa. Il testo al centro recita: "ASCOLTA MISSORI QUI". ASCOLTA MISSORI QUI - Un gruppo di edifici moderni e classici sotto un cielo blu con fili che si incrociano sopra la testa. Il testo al centro recita: "ASCOLTA MISSORI QUI".

L’ultimo giorno di giugno, Milano era afosa a 37°C. Le strade intorno alla Torre Velasca—la torre brutalista, progettata dallo Studio BBPR, che si erge sopra la metro Missori—erano quasi deserte, l’aria densa di calore e gas di scarico. Ma Alberto Bazzoli è arrivato per la nostra intervista impeccabilmente composto: una cravatta paisley stretta al colletto di una camicia bianca con bordo smerlato e rifiniture in pizzo, jeans a zampa che sfioravano il marciapiede, una giacca verde tenue appoggiata con disinvoltura su una spalla. Tra le dita, due anelli massicci—uno con una “A, ” l’altro con una “B”—catturavano il sole impietoso. Sembrava più il quinto Beatle perduto che il milanese moderno—sudore maledetto.

L’imponente Torre Velasca, non a caso, non era solo il nostro punto d’incontro: è anche il fulcro della copertina del nuovo concept album di Bazzoli, Missori, un tributo alla città che si svela nella sua ombra. Interamente strumentale, l’album segue un impiegato fittizio che vaga tra le abitudini e i fantasmi di Milano. Bazzoli si affretta a chiarire che non è realmente l’impiegato in questione, ma “nasce da emozioni che ho provato davvero.” Attraverso otto tracce sontuose e impeccabilmente arrangiate, Missori miscela noia, nostalgia e un tocco di stile cinematografico (che ricorda artisti del calibro di Ennio Morricone).

Nato a Bologna, la stella nascente si è fatta le ossa in varie band blues, ha co-fondato il progetto disco-music Superpop e più recentemente ha collaborato alle tastiere agli album dei Baustelle Elvis e El Galactico. Missori segna il suo primo lavoro solista—un’impresa composta nel corso di diversi anni mentre si stabiliva nella città che ora chiama “casa”.

 

Missori è stato registrato con una serie di strumenti vintage e tecniche analogiche (il vinile in edizione limitata include persino un elenco completo di tutta l’attrezzatura old-school utilizzata su ogni traccia). Pianista jazz e organista formatosi in conservatorio, Bazzoli ha una nota passione per le tastiere classiche (è un amante dell’organo Hammond in particolare). Quell’amore per il suono vintage colora ogni nota su Missori: dai morbidi accordi di Fender Rhodes che aggiungono una sfumatura malinconica, agli archi di synth avvolgenti direttamente da una colonna sonora di un film anni ’70. Ciò che eleva Missori oltre il pastiche è la sua produzione; con il produttore Jolly Mare, Bazzoli ha scolpito un suono che sembra senza tempo, caldo e analogico nella texture, ma spinto da un flusso narrativo nitido e una finezza moderna.

Ognuna delle otto tracce dell’album si svolge come una mini scena all’interno di questa storia più ampia. La seconda, “Patrizia”, per esempio, arriva con un’andatura speranzosa e romantica (è “lo stereotipo della donna milanese sicura di sé,” ci dice Bazzoli) e l’allegro “Tran Tran”—un termine colloquiale italiano che si riferisce a ciò che potremmo chiamare “the daily grind” o “same old, same old” in inglese—accenna all’avvicendarsi del lavoro dalle nove alle cinque. Nel frattempo, la noir “Fuori Orario” evoca le strade notturne della città.

Con la traccia finale, “Refrain,” il nostro uomo comune immaginato sembra trovare una quieta epifania—una consapevolezza che anche una vita ordinaria a Milano, spesso etichettata come grigia e fredda (sia letteralmente che metaforicamente), racchiude una poesia speciale. E se dovessero esserci ancora dei dubbi, basta girare il disco sul lato A, posizionare la puntina e lasciare che questo sogno urbano si ripeta.

IS: Sei nato a Bologna e poi cresciuto a Forlì, prima di trasferirti a Milano. Come hanno plasmato quei luoghi—in particolare la tua città adottiva—il nucleo emotivo e lo spirito della tua musica e Missori?

AB: Esatto sono nato a Bologna, ma fino ai 19 anni sono cresciuto a Forlì. Mi sono poi trasferito a Bologna quando ho iniziato a studiare al conservatorio. Milano, invece, è la mia città da pochi anni, ma da subito mi ha influenzato e ispirato. Mi ha permesso di conoscere nuove e valide persone con cui collaborare professionalmente. Missori parla del rapporto di un uomo con la sua nuova città e con i ricordi della sua provenienza d’origine. 

IS: Ti sei diplomato in pianoforte jazz al Conservatorio “Frescobaldi” di Ferrara e hai anche affinato le tue abilità all’organo Hammond. È stato questo background accademico a portarti per la prima volta verso il suono delle tastiere vintage che domina Missori?

AB: Sicuramente la formazione jazz mi ha reso un musicista versatile, di spirito, però, sono un curioso autodidatta. Tutto quello che ho imparato, e che ha forgiato il mio stile, infatti, lo devo in gran parte alla mia esperienza personale, parallelamente a quella del conservatorio, ai dischi che ho ascoltato e ai musicisti che ho frequentato e conosciuto. La voglia di iniziare a suonare è nata spontaneamente, ascoltando musica da ragazzino, ed era un modo per stare insieme ai miei amici dell’epoca. 

Detto ciò, in particolare in Missori, ho messo in campo tante delle conoscenze acquisite al conservatorio, ma in maniera condensata, perché avevo voglia di esprimere tutto il mio essere onnivoro in campo musicale.

IS: Puoi dirci di più sulle tecniche che hai usato per registrare Missori?

AB: Tutti i pezzi nascono da provini, alcuni scritti nei primi anni del mio trasferimento a Milano, altri precedenti. Queste bozze hanno sempre, oltre a un’armonia e una melodia, degli appunti di timbri di strumenti che voglio che siano protagonisti, e che servono a conferire l’atmosfera al pezzo. 

Mi sono deciso a concretizzare il disco quando ho conosciuto Fabrizio Martina aka Jolly Mare, che é anche il produttore di Missori.  Con lui abbiamo iniziato a produrre e arrangiare i provini. Una delle passioni che abbiamo in comune io e Fabrizio è la strumentazione vintage che, infatti, ritroviamo usata in Missori. Ovviamente però integriamo sempre quelle che sono strumentazione e modus operandi vintage ad una produzione moderna. 

IS: Come hai sviluppato la narrazione dell’impiegato? È stata guidata più dalla musica, dalla storia o dall’immaginario urbano?

AB: È difficile delineare bene l’origine del tutto. È un processo per me un pó catartico a ritroso. Penso di avere una buona intelligenza visiva e attraverso questo senso spesso mi addentro anche nella musica. Suoni, note, armonie organizzate in un certo modo mi comunicano immagini embrionali, che mi affiorano alla mente in tutta la loro chiarezza solo lavorando sul pezzo, aggiungendo colori. Come uno scultore. Guardando il blocco di marmo vede la statua ma è solo scolpendo man mano che la figura affiora e la si puó vedere chiaramente la prima volta. Quindi per risponderti: si, principalmente volevo fare un disco sulla città Milano, ma è stata la musica stessa a suggerirmi cosa narrare.

IS: Consideri Missori autobiografico in qualche modo?

AB: Il disco è biografico in quanto nasce da emozioni che ho realmente provato, ma non sono io il lavoratore di Missori con la valigetta. Sono un osservatore e mi piace guardare gli altri e immaginarmi cose. Mi piace vivere in mondi fantasiosi inventati e quelle emozioni, le provo davvero, ovviamente.

IS: Cosa ti interessa del quotidiano, dell’ufficio, dell’ordinario?

AB: Sono affascinato dai rituali della civiltà borghese, che sta scomparendo.

IS: Cosa intendi per i “rituali della civiltà borghese”?

AB: La società borghese, come tutte le società prospere, ha creato i suoi usi e costumi. Questi, che hanno fatto parte dell’infanzia di molti e sicuramente della mia, attualmente sono in via di estinzione. Riti a volte futili, ma pieni di fascino e significati, hanno costruito un immaginario. Troviamo quegli stessi stereotipi dentro tutta la storia della arte che ci precede: film, canzoni, fotografie. Diffidando profondamente del progresso e di tutto ció che, chiamando “novità”, accogliamo senza filtri, amo setacciare e analizzare ritualità mondane appena tramontate, intravedendone sacre verità quotidiane da custodire con gelosia: una ricetta, un vestito, un luogo di attività ludica, un utensile da tavola. Tutte queste testimonianze, fossili di rituali scomparsi, o comunque svuotati del loro significato iniziale, hanno perso la loro sacralità per la società di oggi. Una società, per certi aspetti involuta su se stessa, e quindi impoverita di senso

IS: Come hai deciso titoli come “Patrizia” e “Balcone con vista”—che evocano personaggi e scene—per accompagnare la musica?

AB: Patrizia è un nome di fantasia. Sono figlio della tendenza antiquata di chiamare le canzoni con i nomi di donna. La Patrizia di Missori è una donna borghese che cammina per le vie del centro con collane di corallo. Il nome per me si avvicina perfettamente allo stereotipo della sicura milanese, un po’ nobile decaduta, un po’ borghese.

Balcone con vista è invece dedicato al balcone di casa mia che è al sesto piano e che è un tipo di orizzonte urbano al quale non ero abituato: mi affaccio e vedo la città, ma anche le piccole case con i panni stesi e i balconi di ringhiera alla Celentano; questa vista equivale alla mia siepe di Leopardi.

IS: Missori, pur richiamando le colonne sonore italiane vintage (Morricone, Umiliani) e la musica anni ’70, sembra anche moderno. Come bilanci la nostalgia con l’originalità nel tuo approccio creativo?

AB: Mi piace lavorare sulla musica strumentale perchè è così demodè che sei veramente libero di fare associazioni musicali disparate. Ma non mi piace riprodurre pedissequamente ciò che viene dal passato, amo comunque calarlo nella vita reale. Per anni ho prodotto musica seguendo una catena di registrazione identica a quella che si usava negli anni ‘60 e ‘70 ovvero senza l’utilizzo dei computer. Da questa esperienza però ho capito che, per come sono fatto io e per il risultato musicale che ne deriva, è importante avvalersi della strumentazione dell’epoca ma senza rinunciare alle comodità e alla velocità dei mezzi moderni, proprio perché siamo nel 2025 e non nel 1970. Ma se li i pezzi erano registrati in presa diretta con meno strumenti, in Missori c’è più stratificazione musicale e più produzione.

IS: a proposito, Missori sembra una colonna sonora in cerca di un film. Se lo fosse—che aspetto avrebbe quel film? Chi lo dirigerebbe?

AB: Sarebbe un film vagamente neorealista, in bianco e nero, diretto da Alberto Sordi o Mario Monicelli.

IS: Perché hai scelto la Torre Velasca come emblema visivo per Missori? Cosa ti ha attratto dell’edificio?

AB: Sono un grande appassionato di architettura e trovo Torre Velasca una costruzione stupenda. È poi un simbolo del quartiere Missori di Milano che richiama in maniera didascalica il titolo del disco.

IS: Com’è stato entrare nella torre per la prima volta?

AB: La mia percezione è stata simile a quella provata per altri monumenti di quelle dimesioni e altezze: da fuori i nostri sensi ce la fanno apprezzare in una sua totalità estetica, all’interno invece ci perdiamo in uno spazio in cui fatichiamo ad orientarci. La sensazione è stata molto piacevole, di sospensione. Sarebbe un sogno avere uno studio di registrazione a quelle altitudini!

IS: Prima di questo, hai pubblicato L’Organo Ep. 1 nel 2020, e hai lavorato con Superpop e Baustelle. Dopo quelle esperienze, perché hai deciso che Missori dovrebbe essere il tuo primo concept album solista? Perché ora?

AB: La mia attività principale è fare il pianista. E il pianista passa la maggior parte del suo tempo a servizio. Non mi ero mai preso un momento per lavorare alle mie cose, ma ho sempre lavorato per altri. Ma il suonare con altri per me è fondamentale perché ti da nuovi stimoli. Con L’Organo ho fatto un tentativo di produzione autonoma, ma solo ora mi sento di poter trasmettere una complessità più variegata in maniera chiara e ordinata

IS: Cosa vuoi che provi chi ascolta l’album?

AB: Sentirsi bene. Sentirsi nel posto giusto per quella musica.