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Ciccio Sultano e il gusto dei secoli di dominazione siciliana

“Il nostro racconto abbraccia millenni di storia, ingredienti e ricette che si sono stratificate nell’Isola al centro del Mediterraneo. È un viaggio nel tempo e nello spazio, che parte dalla tradizione e guarda al futuro.”

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.

Basta aprire una cartina, la Sicilia è il cuore del Mediterraneo. Lo è in senso geografico e per secoli lo è stato anche politicamente. Il mare che oggi divide l’Europa dall’Africa e dal Medio Oriente, frontiera fra Stati, confine naturale oltre che culturale, da difendere, da ben 6mila anni prima di Cristo è stato un punto di congiunzione. Culla delle civiltà che hanno prosperato sulle sue coste, accomunate da un mare “in mezzo alle terre”, come dice il suo stesso nome, è stato soprattutto fonte di ricchezza, di scambi commerciali, bacino di risorse e di globalizzazione di quello che l’allora “mondo conosciuto”. Nel suo centro, la Sicilia, isola attraversata, abitata e contesa da sempre, tanto da aver sedimentato nelle sue rovine greche e romane, nei palazzi Barocchi, negli ingredienti arabi così come nelle ricette bizantine e in quelle borboniche, un sunto della storia d’Europa. È il passato che si respira passeggiando per le strade e sedendosi a tavola, e che va conosciuto per capire davvero l’identità di questa terra.

Per esplorarlo si può leggere un libro, o scegliere una narrazione fatta con il linguaggio della gastronomia da Ciccio Sultano, chef siciliano che attrae a Ragusa gli appassionati gourmet da tutto il mondo. Arrivano dagli Stati Uniti come dalla Corea per assaggiare i suoi piatti, che sono un compendio della storia delle dominazioni siciliane e al tempo stesso un racconto della Sicilia di oggi, dei sui produttori e delle sue potenzialità. “La Sicilia più che una regione, è una nazione, grande come alcuni stati europei. Non basta la vita di un cuoco per raccontarla tutta,” ma lui da più di vent’anni ci prova continuamente, senza sosta.

In una via del centro con vista sulla cupola della chiesa settecentesca di San Giorgio, ha trovato casa il suo ristorante, Duomo. Si trova all’intero di Palazzo La Rocca, elegante abitazione borghese, in un appartamento trasformato in sole sale da pranzo, intime ed eleganti. Ha aperto nel 2000 fra gli stessi muri che hanno fatto da set al film Divorzio all’italiana con Marcello Mastroianni. Siamo nel cuore di Ragusa Ibla – borgo arroccato su un colle e patrimonio UNESCO per la concentrazione di chiese e palazzi finemente decorati. Ad un passo da Modica, città del cioccolato, e da Noto, perla del Barocco, Ragusa resta ancora un po’ fuori dalle rotte più battute dai turisti, ma se vi sembra di averla già vista è perché proprio qui sono state ambientate molte scene di uno sceneggiato italiano che ha fatto il giro delle tv internazionali: il Commissario Montalbano. L’immaginaria città di Vigata creata da Andrea Camilleri, lo scrittore dei romanzi gialli da cui è tratta la serie, è stata ambientata qui e la sua piazza e le sue vie che si vedono sullo schermo sono proprio quelle di Ragusa Ibla. Un gioiello architettonico ribattezzato “l’isola nell’isola”, al centro di un vasto territorio agricolo in cui si producono frutta, verdura e formaggi, eccellenze come il caciocavallo Ragusano, l’Olio extra-vergine di oliva dei Monti Iblei, la Carota Novella di Ispica e vini come il Cerasuolo di Vittoria. Più vicina a Malta che a Messina, dal punto di vista gastronomico Ragusa è anche un luogo di incontro fra le due macro culture che hanno influenzato la Sicilia: da un lato quella orientale, con la tradizione ellenica e araba, dall’altro quella occidentale, con i lasciti dei normanni e degli svevi.

Duomo © Benedetto Tarantino

Della cucina siciliana si conoscono pochi piatti, quasi degli stereotipi, come la caponata, i cannoli, le granite, mentre invece la stratificazione culturale unica dell’isola ha determinato una grande differenza fra Catania e Palermo, fra est ed ovest. E la differenza non sta nella diatriba fra arancin-o o arancina-a (maschile o femminile a seconda delle zone), ma una storia profonda più di duemila anni. “Romanticamente possiamo dire che la Sicilia è un arancino: il riso e lo zafferano sono gli Arabi, la carne a pezzi che diventa ragù con i francesi, il rosso del pomodoro degli spagnoli, il formaggio dei greci, una stratificazioni racchiuse da una crosta del pane” mi spiega Ciccio. Secoli prima di Cristo infatti, i greci portarono l’olivo e le vigne, i Romani il grano e la pasta. Prima dell’anno Mille gli arabi introdussero il cous cous, il riso, le spezie, gli agrumi, le mandorle, i pistacchi, i le granite e lo zucchero di canna, che diventeranno secoli dopo Pasta Reale e Frutta di Martorana. Agli ebrei si deve l’uso delle frattaglie e di piatti come il pane con la milza che si mangia a Palermo, mentre ai cattolicissimi normanni arrivati nel IX secolo l’uso della cucina di magro, simbolo di purificazione, del baccalà e di ricette candide come il biancomangiare.

Gi Spagnoli lasciarono il Pan di Spagna e poi dalle americhe importarono il cioccolato, il pomodoro e ricette molto diffuse nella Sicilia orientale come le impanate, molto simili alle empanadas spagnole. Se a Trapani si fa il pesto come a Genova è per merito dei marinai, nel Settecento la diffusione dei monsù ( i monsieur, ovvero i cuochi francesi che erano di moda all’epoca) significò l’introduzione di ricette complesse come i timballi e le cassate, opulente come le corti nobiliari. I Borboni e i contatti con Napoli fecero diffondere la pizza. 

L’isola è ricca di diversità a tavola, nelle ricette e nei sapori, infatti piatti diffusisi ovunque sono comunque differenti: a Palermo la pasticceria è più dolce, la ricotta dei cannoli è forte, di pecora, a Catania si usa meno zucchero e ricotta di vacca; la caponata nella Sicilia occidentale è agrodolce e ha uvette e mandorle, a Oriente si fa con più pomodoro, pinoli e basilico… “Quello che per molte culture è strano, per noi è quotidiano; come l’agrodolce o l’amaro, il dolce, il salato tutto insieme, una mescolanza di sapori, culture, momenti interessanti e di grande complessità,” spiega Ciccio.

Cannolo © Melissa Carnemolla

Il nostro racconto abbraccia millenni di storia, ingredienti e ricette che si sono stratificate nell’Isola al centro del Mediterraneo. È un viaggio nel tempo e nello spazio, che parte dalla tradizione e guarda al futuro è la frase che si trova come benvenuto nel menù del ristorante Duomo, due stelle Michelin. Ci sono infatti cucine ego-riferite, chiuse nei ricordi familiari e in pochi chilometri quadrati di influenze, invece qui, senza scadere nel folklore, la narrazione della cucina italiana si fa più profonda. Della cucina povera e di quella di casa, si trovano le erbe spontanee, la verdura di campo, la venerazione per il pane di grani antichi, ma si scava fra testi letterari e riferimenti storici “Non ho mai fatto una cucina della nonna o fatta di soli ingredienti poveri, ho sempre fatto una cucina opulenta, una cucina barocca come la Sicilia.”

Si “tradisce la tradizione” per creare qualcosa di completamente nuovo e personale, non campanilistico né passatista. La ricotta è calda, servita con erbe terrose e caviale, la pasta viene condita con ricci di mare crudi e cotti, con burro di mandorla Pizzuta d’Avola, rispolvera la salsa citata dal Romano Apicio fatta con da succo di pesce, sedano selvatico, colatura di alici per ricordare il garum, speziata e dolce grazie al coriandolo e al vino passito. Come dessert porta Latte, una nuvola che omaggia la purezza spirituale delle ricette del XII secolo così come il lavoro dei produttori con cui collabora.

Panificio con Cucina © Melissa Carnemolla

Ha cominciato a fare il pane con grani antichi quando ancora non si trovava la farina, e la molivano da soli, dal 2015 ha aperto I Banchi, un panificio con bottega in cui si fa anche colazione, pranzo e cena e si comprano prodotti come il caciocavallo lavorato a mano, salumi e conserve. Il lavoro di ricerca della migliore materia prima passa per la scelta delle persone che nei campi e negli allevamenti sono la Sicilia di oggi. Si va dalla quinta generazione di casari ai giovani che sperimentano l’allevamento ittico a ciclo chiuso con coltivazione di erbe in idroponica – gli hanno dedicato un piatto a base di trota chiamato “Pesce circolare”. Tre principi guidano i piatti: identità, appartenenza e responsabilità, rispettoso delle attese di chi si siede a tavola e del futuro della sua terra. A cinquant’anni volevo ritirarmi, scalare una marcia, godermi la vita, lo avevo annunciato anni prima: nel 2020 avrei cambiato tutto. Poi il mondo è cambiato e nello sconquasso generale ha ritrovato la voglia di rilanciare.

Lo fa mostrandomi i Cantieri Sultano, laboratorio creativo, cocktail bar e cantina per i vini dove ci si accomoda per l’aperitivo. Ha comprato anche il piano superiore del palazzo, abbandonato, e un giardino rimasto incolto per decenni. Lo stiamo ripulendo, ci metterò delle sdraio, da lì la vista è meravigliosa. Dall’altro lato della vallata, tracciata dai terrazzamenti ricavati con muretti a secco, ci pascolano le vacche.

Ciccio Sultano © Melissa Carnemolla

Elegante ristorante dalle pareti blu con sedie arancioni, tovaglie bianche, opere d'arte, specchio dorato e vista sul bar. Arredamento caldo e classico. Elegante sala da pranzo con pareti blu, specchio dorato e poster d'epoca. Sedie arancioni su tavoli rivestiti di bianco. Presenti i loghi Helvetia e Bristol.

I Banchi

Cantieri Sultano

Duomo