“Una casa come me!” era il motto del giornalista, scrittore e diplomatico italiano Curzio Malaparte, ogni volta che parlava della sua casa, costruita su una ripida scogliera a Capri.
Incredibilmente difficile da raggiungere, accessibile solo a piedi (con una camminata di 50 minuti dalla piazzetta di Capri) o in barca, l’edificio gode di uno status semi-mitico.
La sua sbiadita muratura rosso pompeiano, le scale a piramide rovesciata che conducono al tetto piatto e le finestre che si affacciano su paesaggi mozzafiato vivono per sempre nell’immaginario popolare.
Casa Malaparte – mai dire “Villa Malaparte” perché lo scrittore odiava il termine “villa” e i valori borghesi che lo accompagnano – è diventata in poco tempo un’icona dell’architettura moderna e dello stile di vita italiano.
Tutti ne sanno qualcosa, molti l’hanno vista da lontano, pochissimi hanno avuto il privilegio di poterla visitare, suscitando l’invidia di tutti gli altri, me compreso.
Nulla di Casa Malaparte è ordinario, a partire dal suo primo proprietario.
Metà tedesco, metà italiano, Malaparte nacque Curt Erich Suckert nel 1898.
Inizialmente sostenitore del Fascismo, a causa della sua indole indipendente, nel 1933 Malaparte fu privato della tessera del partito e mandato al confino interno per cinque anni.
Alludendo alla grandiosità del personaggio, che probabilmente non lo aiutò a riconciliarsi con i fascisti, il suo cognome pseudonimo, adottato nel 1925, che significa “parte cattiva”, è un gioco sul cognome di Napoleone “Bonaparte”, che in italiano significa “parte buona”.
Grazie a connessioni influenti, non ultima la sua amicizia con Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, nel 1938 Malaparte fu liberato e, ancora grazie a connessioni influenti, riuscì ad acquistare un terreno e ottenere il permesso di costruire in uno dei punti più remoti e belli della costa di Capri. Poi commissionò ad Adalberto Libera, probabilmente l’architetto italiano più potente dell’epoca, di progettargli una casa da posizionare sulla scogliera. Poco dopo, Malaparte litigò con Libera, se ne sbarazzò, rifiutò quasi interamente il progetto originale e andò avanti a costruirsi la sua casa eponima da solo.
Da allora, la casa è rimasta lì, su Punta Massullo, come una gigantesca creatura marina che dorme sulla riva, o un misterioso relitto riemerso dall’abisso.

Lì, nel 1963, Jean-Luc Godard girò Le Mépris, che segue le intricate relazioni di un produttore, un regista e uno sceneggiatore, alle prese con un adattamento cinematografico dell’Odissea.
Oltre al fatto che Casa Malaparte è l’unica cosa che abbia senso in tutto il film, Godard, gli va riconosciuto, ebbe la felice intuizione di collegare la casa alla mitologia greca antica. La scalinata evoca davvero un’ambientazione rituale, un altare cerimoniale, o un antico teatro che si affaccia sul Mar Mediterraneo. Le parole poetiche dell’architetto John Hejduk risuonano:
“È una casa di rituali e riti, è una casa di misteri, allo stesso tempo evoca il gelo dell’Egeo sulla testa cornuta di sacrifici passati, è un’antica rappresentazione ambientata in una luce italiana. Ha a che fare con gli dei primitivi e le loro inesorabili richieste. […] Ha a che fare con il vuoto delle grotte e l’inaccessibilità del sole. Ha a che fare con l’abbandono dell’astrazione e la seduzione del lirico”.
Anche la moda ha amato la casa: Vuitton, Dior e Zegna hanno girato campagne su e giù per le scale.
Karl Lagerfeld visitò la casa alla fine degli anni ’90 e scattò una serie di fotografie pittorialiste come ricordo. “Casa Malaparte è la visione di un uomo senza influenze visibili,” notò. “La luna, quando uscì, scivolò giù dalle famose scale che conducono al tetto piatto della casa – la magica terrazza sospesa alta sopra il mare.”
Il destino di un edificio moderno, se è davvero speciale, è di diventare un classico.
Fin dal primo giorno, Casa Malaparte ha ingannato il destino, diventando moderna e classica allo stesso tempo – cosa che non si può dire di molte opere di architettura.
La Pelle (La Pelle), il romanzo controverso di Malaparte, riassume perfettamente lo sconcerto, il senso di stupore e il carattere leggermente surreale del posto.
In un passaggio, lo scrittore fa da guida a un ospite:
“Mi chiese se avevo comprato la casa già costruita o se l’avevo progettata e costruita io stesso. Risposi – e non era vero – che avevo comprato la casa già costruita. E con un ampio gesto della mano, indicando la vista a strapiombo di Matromania, i tre giganteschi scogli dei Faraglioni, la penisola sorrentina, le isole delle Sirene, i blu distanti della costiera amalfitana e il remoto bagliore dorato della spiaggia di Pesto, gli dissi: ‘Ho progettato io il paesaggio’.”