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Carneficina al Carnevale: La Battaglia delle Arance di Ivrea

fotografie di Alessio Ferreri

“…la battaglia ti lascerà sicuramente insanguinato, ammaccato e coperto della stessa polpa d’arancia che è per sempre schiacciata in profondità tra i sampietrini.”

È il forte odore di arancia che ti fa capire che sei nel posto giusto.

È qui a Ivrea, in Piemonte, che la gente festeggia il carnevale con la più grande e violenta battaglia di cibo d’Italia: La Battaglia delle Arance. A febbraio – quest’anno, da domenica 11 a martedì 13 – nove squadre di aranceri (lanciatori di arance) si piazzano in arene di combattimento in tutta la città, e ingaggiano una battaglia – con le arance come unica munizione – contro figure mascherate che sfrecciano su carri trainati da cavalli.

Le origini della battaglia risalgono al XII secolo, quando gli abitanti di Ivrea bruciarono il palazzo del loro duca dopo che lui aveva tentato di attaccare la giovane figlia del mugnaio la notte del suo matrimonio. I visitatori sono benvenuti purché indossino un berretto frigio (un cappello rosso simbolico che ti fa sembrare Papa Puffo) e stiano lontani dal centro del conflitto. Oppure, se ti senti audace, puoi fare domanda per diventare un aranceri, ma attento: la battaglia ti lascerà sicuramente insanguinato, ammaccato e coperto della stessa polpa d’arancia che è per sempre schiacciata in profondità tra i sampietrini.

A few Aranceri take a break at the Ivrea Battle of the Oranges; Photo by Alessio Ferreri

Il giovane fotografo torinese Alessio Ferreri è andato per la prima volta alla Battaglia delle Arance quando aveva tre anni; questa prossima edizione sarà la sua ventesima. “Non c’è niente come l’adrenalina che provo in questo contesto; tutto il resto diventa noioso da fotografare”, ci dice Ferreri – comprensibile considerando che anche gli spettatori possono essere colpiti da un tiro vagante. “Sono stato colpito molte volte da tiri diretti o di rimbalzo. Non è raro tornare a casa con lividi, soprattutto se ti butti nella mischia per avvicinarti e scattare foto!” continua.

Alla fine di una battaglia – per non parlare del festival di tre giorni – le strade, i marciapiedi e le antiche mura della città sono completamente coperte di polpa d’arancia, e devi camminare faticosamente attraverso cumuli di bucce d’arancia ormai marroni come faresti con la neve; il terreno diventa scivoloso tanto quanto in quei giorni di ghiaccio. Anche dopo che gli spazzaneve e gli spazzini sono passati (c’è una grande pulizia ogni mattina), i sampietrini rimangono con un residuo lucido e invisibile su cui pneumatici e scarpe scivoleranno per settimane. Ma è facile perdonare il poltiglia, perché l’aria è profumata con il più delizioso aroma agrumato.

Anche se può sembrare uno spreco terribile di arance, in realtà è proprio il contrario, poiché le 900 tonnellate che vengono utilizzate durante il festival non sono di qualità commerciale; piuttosto, il carnevale paga gli agricoltori per le arance che altrimenti avrebbero buttato via, usando parte delle quote accumulate dai concorrenti – che pagano circa 120€ per registrarsi e competere – e dagli spettatori. Gli agrumi provengono principalmente dal Sud Italia, in particolare dalle regioni Sicilia e Calabria, e la maggior parte sono forniti da aziende agricole e società che operano nel Circuito Libera, che combatte contro la criminalità organizzata nell’agricoltura. Dopo le battaglie, la polpa d’arancia viene raccolta e conservata in serbatoi prima di essere trasformata in compost e utilizzata per l’energia. Certo, può sembrare disgustoso afferrare un’arancia leggermente molliccia e troppo matura, ma fa decisamente meno male quando una lanciata si schianta contro la tua gabbia toracica.

“La gente mi guarda come se fossi pazzo”, dice Ferreri parlando del festival a chi non c’è mai stato. Così, nel 2023, ha deciso di concentrare la sua fotografia sui partecipanti locali e sullo spirito festoso con cui partecipano. “Voglio mostrare il lato ‘umano’ del festival”, spiega. “Voglio sottolineare che il Carnevale di Ivrea è profondamente sentito dalla gente del posto.”

Photography by Alessio Ferreri