Architetto, designer, fotografo, scrittore, sportivo, sciatore, pilota acrobatico, Carlo Mollino sfugge alle facili definizioni.
“Una statura asciutta e minuta, un viso scavato e soprattutto uno stile scattante, preso dal mondo del circo, un po’ à la Cocteau, un po’ alla Charlot” così lo descriveva l’assistente di Mollino al Politecnico di Torino negli anni ’60. Meglio conosciuto come l’architetto visionario del Teatro Regio di Torino, il cui auditorium curvo era notoriamente ispirato alla forma di un uovo, Mollino è spesso mitizzato come un eccentrico dandy e donnaiolo.
Gli aneddoti sono abbondanti, ma eccone solo uno: quando una volta l’artista Carol Rama lo invitò a cena con il neoeletto sindaco e uno stimato chirurgo, Mollino si presentò alla porta vestito da pastore, tutto disordinato e sporco.
“Mi sono lavato il culo”, ha dichiarato, gettando nell’imbarazzo gli altri ospiti.
Forse parte del mistero attorno a quest’uomo deriva dal fatto che parte della sua opera architettonica non è giunta fino a noi nella sua interezza. Nessuno dei suoi lavori di design d’interni è stato conservato (ad eccezione della sua casa/museo, che è stata restaurata) e la maggior parte dei suoi edifici non sono stati mantenuti nella loro costruzione originale. Nel corso degli anni, la Stazione dello Slittino Lago Nero – quello che Mollino chiamava uno “chalet volante”, una tradizionale baita in legno sospesa su contrafforti di cemento – e la Camera di Commercio di Torino – un blocco di uffici modulare che fu uno dei primi a essere costruito con uno spazio interno aperto sostenuto senza l’uso di colonne – sono state modificate. L’Auditorium RAI di Torino, a forma di conchiglia, le cui forme curvilinee si discostavano dalle rigide geometrie dell’architettura modernista dell’epoca, venne anch’esso sostanzialmente modificato. Persino il boccascena del Teatro Regio è stato integralmente sostituito negli anni Novanta.
Se sono vere alcune storie su Mollino – certamente amava la compagnia delle donne – abbandonarsi alle sue stravaganze non aiuta a coglierne l’essenza, perché il suo eclettismo ha una fonte precisa ed è il risultato della fortunata combinazione di un tempo e un luogo specifici: Torino a cavallo del secolo scorso.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento Torino si sviluppava come una delle aree industriali più dinamiche del Paese: altamente ricettiva verso le conquiste tecnologiche provenienti dall’Oltralpe, Germania e Francia in particolare, la città divenne un centro per l’aeronautica, l’elettronica, la chimica e l’ingegneria. Un tour de force architettonico, la Mole Antonelliana fu completata nel 1889. Nietzsche la adorava. Nel 1900, la casa automobilistica Fiat aprì il suo primo stabilimento (la città sarebbe presto diventata il più grande produttore di automobili italiano). Due anni dopo, la Prima Esposizione Internazionale di Arti Decorative Moderne diede la definitiva consacrazione all’Art Nouveau come nuovo stile artistico dominante.
Nel frattempo, il 6 maggio 1905, nacque Carlo, unico figlio di Eugenio Mollino, stimato ingegnere che progettò, tra i suoi tanti progetti, l’Ospedale Molinette, il più grande del Piemonte. Carlo è cresciuto in un ambiente benestante, coccolato dalla madre e dalle zie, costantemente vegliato dal padre, che si assicurava che il figlio seguisse le sue orme professionali. E così Mollino andò a studiare al prestigioso Politecnico, emblema di una società che ancora oggi valorizza la formazione tecnica – spesso sopra ogni altra cosa – e, più tardi, alla Regia Scuola Superiore di Architettura della città.
Viaggiare all’estero quando era ancora molto giovane lo mise in contatto con movimenti europei d’avanguardia come l’Espressionismo e il Surrealismo. Combinati con elementi di tendenze italiane, questi riferimenti lasciarono un segno profondo nell’estetica di Mollino, e il suo fascino per gli interni misteriosi e sofisticati del Decadentismo si confuse con il gusto per le forme lucide e ultramoderne provenienti dal Futurismo.
“Ogni elemento è immerso in un’atmosfera così magica e assume significati inaspettati, quasi a suggerire l’esilarante angoscia delle continue sorprese”, scriveva nel 1941 l’architetto Giuseppe Pagano a proposito del Circolo Ippico di Torino, uno dei primi progetti di Mollino.

Piedmont: Casa Mollino; Photo by Fulvio Rosso
La descrizione è così adatta che potrebbe essere applicata a quasi tutto ciò che ha progettato successivamente. Abbastanza presto nella sua carriera, Mollino trovò il modo di applicare la sua passione per l’ingegneria allo sport, alle automobili e alla fotografia. Nel 1950 pubblicò “Introduzione al Discesismo”, uno studio analitico sulle tecniche sciistiche, uno dei primi nel suo genere. Agonista della nazionale di sci, Mollino si è fotografato sugli sci in studio, trasformandoli in disegni stilizzati accompagnati da consigli tecnici su come muoversi armoniosamente; le sue tecniche perfezionate sarebbero diventate un mantra. Nel 1955 progettò l’auto da corsa Bisiluro – una carrozzeria in due parti a forma di siluro con posizione di guida asimmetrica – che corse alla 24 Ore di Le Mans (anche se, a causa di un incidente, l’auto purtroppo non terminò la gara). Un anno dopo ottiene il brevetto di pilota d’aereo, acquista il suo primo aereo e inizia anche un progetto fotografico sui nudi femminili. In una combinazione così insolita di conoscenza tecnica e creatività, Mollino sembrava implacabile.
Nel corso degli anni ’60 intraprende un progetto personale che, ironia della sorte, è diventato il motivo per cui oggi molti lo conoscono: il design degli interni di un appartamento al primo piano di una villa ottocentesca nel centro di Torino. Pareti ricoperte di stampe leopardate, arabeschi di maiolica, tappeti zebrati, sculture di forme femminili (una appesa sopra uno specchio dove ci si potrebbe aspettare una testa di animale braccato), tende damascate, poltrone di raso, un set completo di sedie Tulip di Eero Saarinen…il più chic pied-à-terre in città è l’incarnazione della fantasia di Mollino.
Affacciato sul fiume Po, l’appartamento, quella che lui chiamò la “Casa di Riposo del Guerriero”, non fu mai concepito come una vera e propria dimora ma, piuttosto, la manifestazione del simbolismo caratteristico di Mollino, il suo proprio santuario. Si dice che l’architetto non abbia mai trascorso lì una sola notte; alcuni dicono che non abbia mai nemmeno aperto una finestra.
Dopo la morte di Mollino nel 1973, la maggior parte dei mobili originali dell’appartamento andarono dispersi e scomparvero fino al 1999, quando la coppia padre e figlio Fulvio e Napoleone Ferrari intervenne e trasformò l’appartamento in un museo. Sebbene non avessero alcun legame personale con il famoso eclettico, usarono l’inventario dei mobili – e molta pazienza e ricerca meticolosa – per riportare lentamente l’appartamento il più vicino possibile alle sue condizioni originali.
“Non esistono fotografie d’epoca degli interni di casa Mollino, e questo è stato senza dubbio l’ostacolo più serio alla sua ricostruzione, avvenuta grazie ad un inventario effettuato dopo la morte di Mollino”, mi spiegano Fulvio e Napoleone, “oggi il 90% degli arredi originali sono stati riportati nella loro collocazione originaria”.

Museo Casa Mollino, Photography by Enzo Isaia
Il che è, di per sé, un risultato notevole. I mobili di Mollino sono unici come tutti gli edifici, le automobili e le creazioni che li hanno preceduti. Poiché non sono mai stati realizzati in serie, i suoi tavoli e le sue sedie sono diventati oggi i pezzi da collezione ricercatissimi. Tanto che, nel 2020, uno dei suoi tavoli da pranzo – un grande tavolo in compensato modellato disegnato nel 1949 – è stato venduto da Sotheby’s per oltre sei milioni di dollari, stabilendo un nuovo record mondiale d’asta per qualsiasi opera di design italiano.
Avendo dedicato oltre due decenni alla ricerca del suo lavoro, i Ferrari sono praticamente i migliori intenditori di Mollino: il duo ha pubblicato diversi libri su di lui e sul suo lavoro, tra cui “The Furniture of Carlo Mollino”, un catalogo completo dei progetti di mobili di Mollino con schizzi e foto d’archivio, per Phaidon Press.
“La costruzione di un mondo disegnato secondo la lucida visione di Mollino trova, nella sua casa, un’espressione di ‘natura filosofica’, mi dicono, “quegli interni non sono stati progettati per essere vissuti; piuttosto erano concepiti come un’autobiografia, una prova della sua conoscenza dell’esistenza”.
Oggi Casa Mollino è diventata un punto di riferimento per musei, collezionisti e case d’asta, fornendo consulenza sui mobili vintage e sulle fotografie dell’architetto. Ha quindi senso porre a Fulvio e Napoleone la domanda definitiva su una figura così enigmatica: chi era Carlo Mollino?
“Molte leggende metropolitane lo descrivono come un personaggio bizzarro, interessato all’eros, dominato dalle ossessioni. Al contrario, fu un grande ingegnere che si dimostrò un ottimo teorico capace di dimostrare di persona le sue teorie», rispondono, aggiungendo che ha lasciato un segno enorme nella storia dell’architettura del XX secolo.
Forse possiamo trovare un’ultima risposta alla domanda nelle parole di quest’uomo. “L’architetto, oltre che poeta e matematico, deve essere anche meccanico, contabile, avvocato, uomo volgare, maestro di buone maniere, mangiatore di rospi e mago, ballerino con vecchie signore, incantatore di serpenti. Pena di morte se rifiuta”. Mollino stesso, ancora una volta, descrisse i connotati della sua arte.
Eclettismo: ancora e ancora.